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«Little Murmur» di Aakash Odedra Company danza la dislessia, per addomesticare il brusio indistinto delle parole

Intervista. Una settimana di respiro internazionale per Festival Danza Estate è: in scena la compagnia fondata da Aakash Odedra, coreografo britannico con un background artistico tra la contemporanea e le danze tradizionali indiane. Sabato 25 giugno, in doppia replica, al Cineteatro di Boccaleone

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Little Murmur di Aakash Odedra Company

Con una solida formazione in danze bharatanatyam e kathak, Aakash Odedra guida dal 2011 la compagnia intitolata a suo nome, con sede a Leicester, nel Regno Unito. È stato grazie a uno spunto performativo e all’incontro con Ars Electronica che Odedra, in collaborazione con Lewis Major, ha iniziato a lavorare sulla traduzione in danza delle sue difficoltà di apprendimento, nel 2014. Affetto da dislessia, il coreografo ha da sempre, naturalmente, trovato nella danza una forma di comunicazione congeniale, attraverso cui esporsi con piena consapevolezza, scavalcando la frustrazione che rappresentavano le parole scritte. Da una ricerca sulla confusione e sulla lotta costante per prendere contatto e possesso dei propri mezzi di espressione è nato «Murmur», che da sette anni la compagnia presenta con successo in tutto il mondo.

Oggi, grazie alla collaborazione con The Spark Arts for Children, «Murmur» assume una nuova forma: in versione più breve, la compagnia la rende una pièce rivolta al pubblico dei più piccoli. Per parlare direttamente, attraverso la danza, a chi è nel bel mezzo di questa stessa confusione e difficoltà nel suo percorso di apprendimento e, forse, non ha ancora strumenti per affrontarle serenamente. In scena, un turbinio di vento, pezzi di carta e luci crea uno spazio magico visivo e sonoro, all’interno del quale si muovono i danzatori. Sul palco del Cineteatro di Boccaleone (sabato 25 giugno con doppia replica, alle 10.30 e alle 16.00), vedremo Kallirroi Vratti, giovane danzatrice che ha iniziato a lavorare come apprendista con la Aakash Odedra Company con «Little Murmur», dopo essere entrata a contatto con la compagnia al termine del suo percorso accademico in Regno Unito.

LD: Cosa sapevi del mondo della dislessia, prima di questo lavoro, e cosa hai imparato?

KV: La conoscevo molto poco, al di là del fatto che si tratta di un disturbo dell’apprendimento. Il poco che ho potuto vedere personalmente è stato grazie a un bambino nella mia famiglia che ne è affetto. Poi, quando ho iniziato a lavorare con Aakash, ho cominciato a fare qualche ricerca. L’idea di partenza per la pièce è nata da Aakash e dalle sue difficoltà di apprendimento e in particolare da quando, a circa 20 anni, ha letteralmente scoperto di aver sbagliato, fino a quel momento, a scrivere e a pensare il suo nome: invece di tre «a» ne aveva sempre pensate due. Ne è derivata una vera e propria rivoluzione a livello identitario e «Murmur» è nato con l’intenzione di esplorare i propri strumenti di espressione.

LD: Un percorso molto personale, quindi. Come sei entrata nello spirito del lavoro, da un punto di vista artistico, e che tipo di ricerca hai fatto sul movimento?

KV: In «Little Murmur» siamo in quattro danzatori ad essere coinvolti, a rotazione. Per Aakash farci entrare nella modalità espressiva della pièce ha significativo prima di tutto ascoltarci, nelle nostre personali esperienza di difficoltà. Ognuno di noi, nello spettacolo, attraversa un percorso diverso di riscoperta della propria identità. Da un punto di vista di movimento, per me è stato sicuramente molto interessante confrontarmi con la tecnica di danza di Aakash, che è un danzatore kathak, quindi ha un background di danza tradizionale, che fonde alla danza contemporanea. In parte ho imparato alcune basi del suo linguaggio di danza, in parte invece ho integrato con la mia personale formazione, che è più legata all’acrobatica e al floor work. Ho quindi tradotto la sua ricerca nel mio vocabolario di movimento, per il mio solo nello spettacolo. In ciascuno dei nostri pezzi c’è poi una parte parlata, dei momenti di intimità in cui dialoghiamo con noi stessi e con il pubblico. Noi quattro danzatori abbiamo origini diverse e usiamo lingue diverse: io, ad esempio, uso a volte l’inglese e a volte il greco. Per la replica a Bergamo, il testo è stato tradotto in italiano.

LD: «Little Murmur» ha debuttato a febbraio 2022 nelle scuole di Leicester e ha continuato il tour nei mesi successivi, tra scuole e teatri. Com’è stato accolto in questi diversi ambienti?

KV: All’inizio è stato pazzesco, soprattutto nell’ambiente scolastico! Abbiamo adattato luci e tecnica alle aule delle scuole e poi l’abbiamo reso nella sua versione teatrale. Io avevo già lavorato con bambini prima, ma mai in ambito performativo ed è stata una bella sfida: soprattutto quando sono nel loro ambiente, a scuola, bisogna sempre mantenersi aperti alle loro sollecitazioni, agli stimoli che lanciano, e adattare il gioco e il movimento alle loro reazioni. È molto divertente ma anche molto impegnativo. I bambini, poi, sono assolutamente affascinati dagli effetti tecnici e scenografici creati da alcuni elementi chiave: in scena abbiamo un proiettore che rimanda delle proiezioni con cui creiamo un gioco di interazione. C’è poi un effetto legato al vento, alle correnti e in particolare a dei pezzetti di carta: i bambini l’hanno adorato.

LD: Avete avuto rimandi da persone del pubblico che hanno rivisto loro stesse, le proprie difficoltà o il proprio vissuto?

KV: Ci è capitato spesso che alcune persone venissero a cercarci dopo la rappresentazione, per ringraziarci e farci capire che è un lavoro molto importante, quello che stiamo facendo. In alcune occasioni, ad esempio ai festival, il pubblico era soprattutto di adulti ed è stato impressionante vedere la differenza di reazione rispetto ai bambini: tra gli adulti, abbiamo visto un forte impatto emotivo, legato spesso ad un senso di intimità e alla possibilità di riconoscere le proprie storie.

LD: Una delle idee veicolate da una performance come “Little Murmur” è che abbiamo sempre una possibilità alternativa all’intelligenza verbale e delle parole, e cioè quella del corpo.

KV: Personalmente, mi ha molto colpito vedere questa cosa concretizzarsi nel modo in cui si esprime Aakash: nel movimento è estremamente articolato e preciso. È come se, attraverso la sua danza e la ricerca a cui si è dedicato per la pièce, avesse trovato un modo di rielaborare e rivivere tutta la sua storia, trovando una forma di controllo in quello che, forse, da bambino poteva sembrargli caos. È evidente che per lui è essenziale ritrovarsi e identificarsi pienamente nella danza. Nel lavoro del danzatore, poi, è fondamentale l’ascolto, che va affinato al massimo: è un continuo allenamento all’ascolto di sé stessi, del pubblico, degli altri performer in scena.

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