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Tra comicità e cinismo feroce, riscoprire la semplice umanità di Paolo Villaggio

Intervista. L’omaggio di Matteo Nicodemo a un grandissimo intellettuale, che va ricordato a tutto tondo. «Il profumo dei pitosfori» in scena il 27 maggio alle 20.45 alla biblioteca comunale di Mapello

Lettura 3 min.
Paolo Villaggio in una scena del film Fantozzi 2000 (ANSA)

La massima «Com’è umano, lei!», il basco, i pantaloni ascellari, la figliola scimmia: sono solo alcuni dei tratti che compongono il mondo clownesco dei personaggi più famosi che ci ha regalato Paolo Villaggio, e che hanno segnato un’era della comicità italiana. Eppure, vale sempre la pena curiosare oltre le immagini più celebri di un artista, per evitare che, nel tempo, diventino soltanto una galleria da appendere a puro fine decorativo, come la celebre foto di scena di Alberto Sordi in «Un americano a Roma» intento a mangiare un piatto di spaghetti, che sempre di più si vede popolare le pareti di tanti ristoranti.

Vale la pena ricordare e osservare i cinquant’anni di carriera di un Paolo Villaggio autore e scrittore, intellettuale, presentatore, pensatore, ma soprattutto, forse, il profilo umano che ne emerge: è questo lo spirito che ha ispirato l’ideazione de «Il profumo dei pitosfori», monologo teatrale con testo, regia e interpretazione di Matteo Nicodemo, che si definisce, prima di tutto, «un suo grandissimo fan». Dopo aver inseguito ed esplorato le figure del poeta russo Iosif Brodskij a Venezia, nel monologo «Venezia quasi teatrale», e dello scrittore Pitigrilli in «Pitigrilli: lo scrittore che fece arrossire mamma», per citare alcune delle sue produzioni, Nicodemo presenta la sua personale lettura di un autore dalla genialità eclettica e prolifica, che ha saputo rivoluzionare non solo la televisione e il cinema del nostro paese, ma anche i suoi costumi.

MN: Ho sempre amato Paolo Villaggio. Tutti i bambini, credo, si affezionano al personaggio di Fantozzi o di Fracchia; è in un secondo momento che si scoprono in tutta la loro complessità. Mi sono subito reso conto che Fantozzi parlava di me. Quindi ho isolato alcuni episodi della sua vita e della mia per farne una narrazione, allo scopo di descrivere un personaggio che non è solo Fantozzi, ma anche un pezzo di cultura italiana.

LD: Come è nato questo monologo?

MN: Ho iniziato a documentarmi, a leggere testi di Villaggio e su di lui, a guardare video… Ne sono emersi aspetti molto rilevanti, ad esempio tutto ciò che riguarda la sua storia familiare, come il meraviglioso rapporto con la moglie o con il padre. Il mio desiderio è che ne venga fuori una narrazione meno fantozziana. Credo che un personaggio come Fantozzi non debba rischiare di rimanere nella memoria collettiva come una macchietta. Capita spesso che grandissimi attori o artisti in generale siano ricordati solo per alcuni ruoli celebri; basti pensare ad Adolfo Celi, che ricordiamo solo per la sua parte in «Amici miei», quando in realtà ha avuto una carriera cinematografica importantissima. Prima di tutto, quindi, mi interessava rendere omaggio alla figura di un grandissimo intellettuale.

LD: Fantozzi parla di te, di noi, ci somiglia.

MN: Mi colpisce molto che tutti viviamo grandi sventure, ma tendenzialmente aspettiamo che succeda qualcosa agli altri per riconoscerle. In più, nel riconoscerle non è scontato provare empatia o compassione, ma anzi spesso si provano sentimenti negativi, secondo la regola del mal comune, mezzo gaudio. In questo, Fantozzi parla di noi. Le situazioni che vive sono spinte al parossismo ma in realtà sono emblematiche di qualcosa che è profondamente umano, così come lo è il suo atteggiamento nei confronti degli altri.

LD: Studiando Villaggio, la sua vita e la sua carriera, ti ha ispirato di più la comicità fantozziana o lo spirito un po’ amaro della sua figura come intellettuale?

MN: Quello che ho voluto approfondire di più e che ho trovato più sorprendente è stato il lato umano di questo grande attore. Inizialmente, lo pensavo molto più viziato dal fatto di essere una celebrità, invece mi sono reso conto che ha molto da insegnare. Credo sia essenziale ricollocare queste figure, a volte mitizzate, nel loro vissuto, nel loro pensiero e nella loro voglia di scoprire la vita. Con questo spettacolo, la mia ambizione è semplicemente ridare al pubblico qualcosa di meno noto su questo autore.

Un altro aspetto che mi interessa mettere in rilievo è la presenza della Storia. Col suo Fantozzi, Villaggio ha saputo raccontare decenni di storia italiana; gli episodi di Fantozzi sono colmi di citazioni di momenti più o meno epocali, raccontati con uno sguardo sornione. Lavorare a questo monologo per me è stata un’occasione per ripercorrere questi momenti in modo interessante, ripassare la Storia e vederla sotto gli occhi della comicità.

LD: Una comicità a volte spietata.

MN: Paolo Villaggio era un cinico, ma osservando soprattutto la sua produzione degli ultimi anni è evidente che il suo cinismo si scioglie progressivamente. Verso la fine della sua vita ha portato in tournée uno spettacolo teatrale, in cui ad un certo punto se ne viene fuori con un ricordo finale struggente e si scusa con il pubblico per non averlo fatto ridere. Trovo anche splendido il modo in cui ha saputo rappresentare l’idea del declino: negli ultimi Fantozzi decide di mettere in scena un vero anziano, mostrando con onestà la stanchezza della fine. È stata una scelta molto coraggiosa, una rinuncia alla comicità.

LD: Se Villaggio fosse vivo oggi e tu avessi la possibilità di bere un caffè con lui, cosa gli chiederesti?

MN: Devo dire che l’idea mi spaventa! Tutti temiamo che le persone che ammiriamo si rivelino meno gentili di quello che potrebbero essere. In realtà penso che lo considererei alla pari di un mio storico professore universitario che stimavo molto: vorrei stare ad ascoltarlo. Villaggio fa parte di quelle figure che hanno talmente tanto da dire e da insegnare che mi basterebbe davvero restare in ascolto. D’altra parte, ha lavorato con i più grandi: Federico Fellini, Mario Monicelli, Gabriele Salvatores, per citarne solo alcuni. E in più aveva una chiave di lettura della realtà che sta via via sparendo: in primis perché la sua vita e la sua arte sono uno spaccato fondamentale della storia italiana, dalla Seconda Guerra Mondiale al boom economico, agli Anni di Piombo fino ai giorni nostri. Non solo certe cose noi non le abbiamo viste, ma oggi non abbiamo più quelle lenti e quella stupefacente capacità di interpretare il mondo.

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