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«Un altro lunedì» per raccontare storie possibili di donne imprenditrici

Articolo. Debutterà il primo maggio allo spazio Daste lo spettacolo ideato da Chiara Magri con la regia di Laura Curino. Al centro delle «Storie di acrobatica quotidianità per signore» l’esperienza imprenditoriale femminile, sotto il vessillo de «La città che inventa», per Bergamo e Brescia 2023

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Lorenzo Lotto, «Ritratto di Lucina Brembati», 1518 circa, olio su tavola, Accademia Carrara (Bergamo)

Saranno dodici le vite che risuoneranno all’interno di «Un altro lunedì. Storie di acrobatica quotidianità per signore», uno spettacolo che racconta il percorso imprenditoriale di donne bergamasche capaci di combattere rigidi schemi sociali per affermare la loro personalità. Laura Curino – attrice e regista nel panorama internazionale – e Chiara Magri hanno deciso di entrare nel tessuto urbano, che è soprattutto umano, per riconsegnare al pubblico storie di speranza e possibilità in un’epoca che ammette spesso un pessimismo sterile.

Ho avuto la fortuna di intervistarle. Tra le loro parole, ritroviamo anche Beatrice Marzolati, storica assistente alla regia di Laura Curino, Giulia Manzini, attrice bergamasca con esperienza decennale, Tomas Toscano e Andrea Dellavalentina, direttore e funzionario CNA.

CDM: «Un altro lunedì» debutterà il primo maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori, presso lo Spazio Daste di Bergamo, dopo più di un anno di lavoro. Sia la data che il luogo sono molto significativi.

CM: Possiamo dire che l’unica casualità è solo che quest’anno, il primo maggio, sia un lunedì. L’idea di questo spettacolo è nata a giugno 2021: volevamo raccontare il mondo del lavoro come qualcosa che arricchisce umanamente. Siamo partite da storie che esulano da una rappresentazione della realtà rivista e corretta. Abbiamo poi scelto per la prima messa in scena un luogo storico per il lavoro, ora punto di riferimento vivo e vivace del Comune di Bergamo.

LC: Il Daste, in fondo, è uno stato culturale. I luoghi, poi, assorbono le presenze: quando si riesce a unire una rappresentazione artistica a un luogo ad essa affine, il suo significato si moltiplica. C’è un fascino che pervade lo spazio, mentre ricorda al pubblico un pezzo della sua storia.

CDM: Come svela il sottotitolo, proponete di raccontare «Storie di acrobatica quotidianità per signore». In che modo il teatro di narrazione è riuscito a diventare specchio di una funambolica realtà?

CM: Poter raccontare le vite di imprenditrici è momento fondamentale, innanzitutto, per parlare di donne, seguendo la strada dell’umanità più vera. Ci sono storie meravigliose che nessuno ha mai raccontato.

LC: Parliamo di “acrobatica quotidianità” perché per le “nostre” imprenditrici è tutta una questione di equilibrio tra sfera pubblica e privata; sono donne che hanno spinto sull’acceleratore sociale, convincendo un intero contesto a seguirle. Una delle donne che abbiamo intervistato, per esempio, pur appartenendo a un contesto culturale notevole, ci ha raccontato come le sue scelte scolastiche fossero state indirizzate, sottolineando la grande rivendicazione del suo ruolo di donna non solo da parte delle maestranze, ma anche da parte di chi le voleva bene.

CDM: E perché si racconterà «Un altro lunedì»?

CM: «Quando non si lavora / è sempre sabato / Vorrei che ritornasse presto un altro lunedì» canta Jovanotti in «Sabato». Il brano parla di due disoccupati che hanno perso il lavoro da poco e si trovano a vivere un eterno sabato. Lorenzo Cherubini l’ha pubblicato in un contesto completamente diverso da quello in cui ci saremmo ritrovati nel 2021; eppure questi versi risuonavano forte anche nel post Covid. «Un altro lunedì» è anche metafora di un nuovo inizio: vorremmo che si iniziasse a percepire l’esperienza lavorativa con un rinnovato approccio. Il lavoro deve essere esperienza di sé a tutto tondo, in continuità con la vita privata, senza orari rigidi che definiscono compartimenti stagni. Se non mettiamo alcune donne a comando delle aziende, come potremo pensare di cambiare alcune condizioni di Welfare e di mercato?!

CDM: Le dodici vite che racconterete, in fondo, diventeranno restituzione tangibile di una micro “storia del lavoro” a cavallo del secondo millennio.

CM: È stato un grande lavoro di ricerca, supportato dal Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio. Dopo un confronto con la CNA, ho scoperto che nella provincia di Bergamo ci sono tra le 15mila e le 20mila imprese intestate a donne. Non è un numero che deve sorprendere: molte volte sono intestatarie per convenienza di un’attività gestita in toto dal marito; c’è poi una fetta sostanziale di piccole-micro imprese relative ad ambiti specifici tradizionalmente femminili (ristorazione, parrucchiere, estetiste, moda). Noi, però, abbiamo voluto raccontare di medie imprese femminili anticonvenzionali: abbiamo scelto donne abituate a stare tra macchinari compressori d’aria, titolari di una storica camiceria, incaricate di ruoli importanti in cantiere, tra la polvere e i muratori. Sono tutte di età differenti: attraversano generazioni e porteranno il nostro pubblico a viaggiare nel tempo.

CDM: Perché amate tornare sul punto di vista femminile? Quale pensate sia il valore aggiunto che dà?

LC: Le donne sono state sempre importanti nella mia vita, tanto che a volte ero combattuta se andare alle prove di spettacoli o al “collettivo femminile” di cui facevo parte. La consapevolezza di dover lavorare su questioni di genere è arrivata molto presto; quando Chiara mi ha contattata per un progetto dal deciso colore femminile, ha alimentato un fuoco. Io non posso prescindere dal mio genere, ma non basta il mio genere per definire il mio lavoro. Le donne hanno dovuto superare il pregiudizio di quello di cui devono o non devono occuparsi. Raggiungono dei posti di direzione, hanno bisogno di grandissima concentrazione, ma non separano mai la propria sfera privata, non abbandonano mai nessuno dei luoghi della loro anima.

CM: La donna, infatti, quando agisce, agisce nella sua interezza. Siamo in un’epoca in cui, per ogni cosa, è richiesta un’alta specializzazione. Tuttavia, le donne sanno essere “totali” nel loro approccio al mondo lavorativo, e questo non vuol dire che non siano specificatamente preparate nel loro settore. Sanno portare sul posto di lavoro una forma mentis che non è ingabbiata in nessuno schema e può diventare modello produttivo. Con questo spettacolo non parliamo solo alle donne, altrimenti avremmo perso la partita.

CDM: Qual è stato l’iter con cui vi siete avvicinate a queste vite?

CM: Quando si racconta una storia è necessario evitare qualsiasi forma moralistica di esemplificazione: la narrazione è estremamente potente di per sé. Noi abbiamo intervistato queste donne, siamo entrate nella loro realtà, senza plasmare alcuna risposta; l’ascolto ha creato un legame profondo e noi siamo grate di poter raccontare la passione che le definisce.

LC: Ci siamo trovate davanti a vite ferventi e questo ci bastava.

CDM: Alle dodici voci verranno affiancate altrettante opere di ritrattistica femminile presenti in Accademia Carrara. Qual è stata la strategia vincente per trovare il giusto specchio iconologico? E quale il valore aggiunto delle opere pittoriche?

LC: Le opere che abbiamo scelto, innanzitutto, non sono quadri idealizzati. Quando capitiamo davanti a «Ricordo di un dolore» di Giuseppe Pellizza da Volpedo, per esempio, rimaniamo attratte dall’intensità umana. Ci piace l’idea di trovare in questo modo le radici delle storie che racconteremo: spesso le donne non venivano ritratte nella loro quotidianità, ma fungevano da simbolo del valore di un uomo di famiglia, di una casata.

CM: Queste opere, tra l’altro, non verranno mostrate. Crediamo che l’evocazione di un dipinto sia meglio di qualsiasi brutta riproduzione, materiale o digitale.

CDM: Per le nuove generazioni, la difficoltà di pensarsi in prospettiva all’interno di un’occupazione lavorativa, il disagio di non potere – talvolta – scegliere liberamente la propria strada, sono problematiche vive. Avete in programma incontri specifici anche negli istituti di scuola superiore.

LC: Crediamo fortemente che questo spettacolo possa diventare apertura nei confronti dei giovani. Gli ostacoli delle donne giovani che abbiamo intervistato diventano occasione per fare domande, per chiedersi se è vero che, per produrre macchine industriali, non c’è bisogno di formarsi culturalmente. Il bello è che siamo partiti da storie, non da teorie. Tutto quello che racconteremo è vita vissuta.

CM: Concretamente, la nostra attenzione si focalizzerà principalmente sugli istituti di formazione professionale: sono quelle scuole che, tante volte, nella mentalità comune, sono dimenticate. Gli Istituti Professionali e i corsi Enaip sono ritenuti di minor prestigio, funzionali al fatto che uno studente debba imparare una mansione pratica e si accontenti, senza sviluppare necessariamente una cultura. Noi li incontreremo perché crediamo nella nobiltà della loro pratica operativa, che deve trovare nella complementarietà tra lavoro e vita privata una piena realizzazione di sé. Quest’anno scolastico faremo un paio di incontri a marzo, ma la parte più attiva sarà verso ottobre e novembre.

CDM: Tra Bergamo e Brescia Capitali della Cultura, sotto il vessillo tematico de «La città che inventa», avete già in programma più di undici repliche.

CM: Al momento, a parte quelle nelle scuole, sono già 12 le repliche previste nei territori di Bergamo e Brescia previste nei territori di Bergamo e Brescia con un calendario in aggiornamento. Dopo la prima ne faremo 3-4 tra maggio e giugno, mentre le altre saranno approssimativamente tra settembre e dicembre. La Fondazione Cariplo e CNA con i loro contributi sostengono il progetto ma siamo ancora alla ricerca di altri fondi sia istituzionali che privati, soprattutto per la circuitazione, e siamo contente di suscitare interesse. La Fondazione Zaninoni, ad esempio, ci sosterrà con un piccolo ma significativo contributo.

CDM: È un tema attualissimo, tra l’altro, la discriminazione femminile sul posto di lavoro. In che modo saprete essere trait d’union per un disegno di futuro possibile e rincuorante?

LC: Il lavoro fonda la definizione di noi stessi. Noi donne, nel corso della storia, abbiamo avuto la possibilità di ritrovarci in pochissime mansioni: madre, sorella, casalinga, religiosa. «Un altro lunedì» definisce un tipo di donna nuovo, che fa passi giganteschi in momenti di crisi notevole, al pari delle Suffragette o di Florence Nightingale. Gli anni che passano ci insegnano che la storia è corse, avanzamento e regressione. Oggi, per esempio, vediamo tante donne che hanno conquistato l’accesso a posizioni privilegiate, ma solo perché sono meno costose degli uomini; noi sappiamo bene che, ogni lunedì, una donna deve conciliare la sua presenza su più fronti. È ora però che le ragazze sappiano chiaramente che dirigere un’azienda è una loro possibilità. Possono, e noi siamo qui a raccontarlo, ad augurarlo.

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