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Apologia degli anni Ottanta a Bergamo

Articolo. Un racconto su com’era la nostra città nel tanto vituperato decennio del disimpegno. Il Burghy in piazza Pontida, il “bronx” di Monterosso, Città Alta come quartiere popolare e l’AIDS dopo la libertà sessuale dei Settanta. Un periodo in cui si riscoprì la cura di sé e le buone maniere. La raffinatezza e l’eleganzaUn racconto su com’era la nostra città nel tanto vituperato decennio del disimpegno

Lettura 8 min.

Lo scatto della porta fece sobbalzare Lorenzo.
Riccardo entrò improvvisamente nello studio con un risoluto sorriso e il padre staccò gli occhi dal portatile, sorridendo.
Toc toc, chi è? canticchiò. Sono Riccardo. Prego, entra e accomodati.
La cantilena di Lorenzo fece ridere il ragazzo.
“Allora torno indietro e rifaccio l’entrata?” chiese quest’ultimo con evidente ironia.
Con un cenno del capo, Lorenzo indicò la sedia di fronte a lui.
“La prof di Storia ci ha chiesto di preparare una ricerca.”
Tra l’altro, la prof avrà più o meno la tua età, commentò a voce più bassa e con aria velenosa.
Lorenzo con una smorfia fece segno al figlio di andare avanti.
“Ci ha chiesto di fare una ricerca storica sulla nostra città.”
Argomento e secolo a piacere, bastava che riguardasse la Storia di Bergamo.
“E tu cos’hai scelto?”
“Non ci crederai” annunciò Riccardo con il risolino che si faceva più complice e protendendosi verso il padre.
Gli anni Ottanta a Bergamo! annunciò enfaticamente e scrivendo il titolo nell’aria.
Lorenzo scoppiò a ridere.
“Il mio racconto delle Compagnie teen-ager ti ha davvero colpito” commentò.
“Tu mi hai colpito, papà” replicò il ragazzo. “Mi ha impressionato l’entusiasmo del tuo racconto e sono sicuro che contagerà anche la mia ricerca.”
Spiegò che l’avrebbe fatta con due compagni – è un lavoro di gruppo, aveva stabilito la prof – uno dei quali era un terribile secchione, forse la più secchia della classe. Quindi lui avrebbe fatto la parte più faticosa.
Mettere giù tutto.

“Io mi occupo di cercare le informazioni” disse.
Quindi di trovare le fonti.
“E io sarei la tua fonte” commentò Lorenzo.
Riccardo annuì con aria gioviale.
“Ne conosci una migliore?” chiese.
Internet, i giornali, le biblioteche, disse il padre.
“Ma tu li hai vissuti, quegli anni” ribatté il ragazzo.
Lorenzo guardò il suo lavoro sul portatile e ci pensò su.
Pleeeeeease fece Riccardo con le mani giunte e gli occhi da gattino implorante.
“Pensa che proprio l’altro ieri” disse il padre, alzandosi e andando alla finestra “ho incontrato il mio grande amico Lele.”
Scommetto che anche lui è un Ottantiano, commentò Riccardo.
Lorenzo annuì affabilmente, confermando che erano amici fin da quegli anni.
“Ovviamente abbiamo anche chiacchierato dei vecchi tempi.”
Riccardo era già pronto al posto di combattimento, seduto e con miniregistratore uscito da chissà dove.
“Cos’è quello?” chiese il padre, bonariamente accigliato e indicando il piccolo apparecchio. “Prendi invece carta e penna dalla scrivania.”
Facciamo le cose come ai vecchi tempi.
Riccardo sbuffò ma obbedì al padre.
“Non faremo tutto oggi” cominciò Lorenzo “ti racconterò degli anni Ottanta a Bergamo ma anche più in generale.”
Ti va bene?
Riccardo fece di sì con solennità.
“Allora cominciamo” disse il padre, andando a spegnere il suo portatile.
Riccardo disse di aver già trascritto a casa ciò che Lorenzo aveva raccontato l’ultima volta che si erano visti.
“Bene” commentò l’altro.
“Adesso” disse ancora il ragazzo “so tutto delle Compagnie di Bergamo negli anni Ottanta.”
Il padre disse più volte no con l’indice. Quelle di cui aveva parlato lui erano solo una parte, magari cospicua ma sempre una parte, delle Compagnie.
Probabilmente innumerevoli.
L’amico Lele gliene aveva citate altre: quella del Monterosso, un quartiere che allora era considerato una specie di Bronx dove chi aveva il vizietto del fumo andava a fare acquisti; quella di Città Alta, che allora non era la zona più in della città bensì una cittadella dal carattere popolare e la cui Compagnia era fatta di gente tosta e un po’ chiusa verso l’altra Bergamo.
“Ti sembrerà strano Ricky, eppure negli anni Ottanta vivere in Città Alta non era da ricchi.”
Anzi, quasi il contrario.
C’erano poi le due Compagnie di Santa Lucia, quella della Chiesina dove si trovavano i più giovani e quella della Rotonda, con i più grandi; c’era quella di Piazza Dante, fighetti e più grandi della media; c’era quella del Landi, che ovviamente si riuniva davanti al negozio Landisport; la Compagnia delle Cabine di via Locatelli.
Cabine? chiese stupito Riccardo.
Lorenzo annuì, ridacchiando.
Cabine telefoniche.
“Ah, credo di aver capito” rispose poco convinto il ragazzo.
E poi ogni Compagnia aveva anche la sua storia.
“Per esempio, il Parchetto originava da quella della Catena.”
Ricordo, sussurrò il figlio.
“Mentre l’embrione della Funicolare nacque davanti a Burghy, una sorta di McDonald italiano, in Piazza Pontida.”
Successivamente spostò alla birreria del Basket, nella stessa piazza, per poi finire finalmente nella sede storica davanti alla Funicolare.
“In ogni caso, elencarle tutte è davvero difficile e per farlo ci vorrebbe una ricerca molto lunga.”
Avrei bisogno di dieci Lele per farla.
Riccardo rise.
“Fermiamoci qui, con le Compagnie” concluse Lorenzo.

Incassando l’ok del figlio, rivelò subito dopo il nuovo tema del giorno.
Apologia degli anni Ottanta.
“Prego?” chiese il ragazzo.
Lorenzo squadrò il suo viso dubbioso.
“Visto che frequenti un liceo, mi aspetto che tu sappia cosa significa Apologia.”
Difesa, disse timidamente l’altro.
“Bravo” si complimentò il padre, alzando il pugno vittorioso.
“Vedi Ricky, sono anni – anzi, decenni – che sento questa maledetta litania.”
Gli Ottanta sono il decennio dell’Edonismo, dell’Effimero, dell’Inconsistenza.
“Sono gli aggettivi più usati per denigrarli, soprattutto da chi ha vissuto il decennio precedente.”
“Quello dei pantaloni a zampa d’elefante!” esclamò il ragazzo.
E di molto grande Rock, aggiunse Lorenzo.
“Però purtroppo gli anni Settanta non erano solo hippies e buona musica.”
“Sono chiamati infatti anni di piombo” disse con tono grave.
“Un decennio all’insegna dell’Impegno – politico soprattutto – delle pallottole e dell’intellettualismo.”
Sarà stato per rigetto o nausea, continuò Lorenzo, ma gli Ottanta ribaltarono la società. Sparirono le pose intellettualoidi, il linguaggio politicizzato, l’abbigliamento trasandato, la violenza e il dogma dell’Impegno; ci fu la riscoperta della cura di sé e delle cosiddette buone maniere. La moda si fece più raffinata e tutto il decennio si votò a cercare la bellezza.
Niente più sesso libero e promiscuità sessuale: subito dopo i Settanta, all’inizio degli Ottanta arrivò l’Aids; si tornò perciò a stare un po’ più attenti e a sognare il grande amore.
Gli Ottanta furono un decennio elegante; per esempio, a differenza dell’attualità, sputare per terra era una pratica volgare.
“Nemmeno i punk lo facevano, allora.”
Oggi lo fanno perfino i calciatori in mondovisione.
“Sign o’ times, parafrasando Prince.”
Riccardo rise di gusto.
Negli Ottanta fece furore l’aerobica, riprese il padre, le donne tornarono a voler essere belle e seducenti.
“Paradossalmente Jane Fonda, una grande contestatrice dei Settanta, fu proprio la sacerdotessa della pratica in questione.”
Giravano tanti soldi, trovare lavoro era facile e l’economia sembrava una nave con le vele spinte da un vento impetuoso e inestinguibile; avendo parecchia grana a disposizione, gli enti pubblici organizzavano continuamente eventi culturali, mostre, festival e si stampavano libri senza preoccuparsi del budget. La Cultura aveva ancora la lettera maiuscola.
Non esistevano cellulari, iPad, pc portatili e nessuno aveva in casa il pc. Niente e-mail né app.
“Come facevate?” chiese il ragazzo con aria sinceramente allarmata.
“Al posto dell’email scrivevamo lettere, ragazzo mio.”
Con carta e penna, si affrettò a precisare il padre.
“Ti assicuro che era bellissimo ricevere una lettera e leggere la scrittura di chi la mandava.”
Soprattutto se era la donna che amavi.
“Inoltre, parlare con gli altri da lontano era facile anche allora.”
C’era già quell’apparecchio con la cornetta dentro la quale si parla e si ascolta, rispose il padre.
“È stato inventato nella seconda metà del 1800.”
Però allora il telefono se ne stava tranquillo nelle case o era comunque legato a un muro tramite un solido cavo.
“E nessuno ne era schiavo.”
Riccardo non poté fare a meno di guardare il suo smartphone appoggiato sulla scrivania.
“Ma più di tutto c’erano i luoghi di ritrovo fissi, dove si era sicuri di trovare le proprie amicizie.”
Vedi a cosa servivano le Compagnie?
Il figlio taceva come ipnotizzato.
“Ti sarebbero piaciuti gli Ottanta, Ricky”
Era tutto più facile, perfino la politica: due blocchi contrapposti, l’URSS e gli USA, Russi e Americani, che facevano finta di farsi la guerra – chiamata fredda perché sempre latente e solo minacciata – ma che in fondo si erano spartiti per bene il mondo. Ogni singolo conflitto, anche il più piccolo, era sempre e comunque monitorato da entrambi. E loro decidevano quando doveva terminare. L’economia dipendeva da loro e dal petrolio degli arabi.
Non era giusto nemmeno così, ovviamente.
“Però almeno tutto era ordinato, sotto controllo.”
Non c’è cosa più brutta del caos, Ricky.
“Con il caos la libertà non serve più a niente, anzi, riesce quasi a peggiorare la situazione.”
Gli Ottanta erano stati un decennio unico, stretto fra la contestazione e la politicizzazione dei Settanta e i Duemila, compressi dalla tecnologia e dove tutto sembra condannato all’eterna bruttura.
“E i Novanta?” lo interruppe Riccardo. “Non ne parli mai.”
“Sono stati il proseguimento degli Ottanta ma anche il loro canto del cigno.”
“Si vede che hai nostalgia di quegli anni, papà.”
Lorenzo rispose che era abbastanza comune, tra i suoi coetanei, sentire la mancanza degli Ottanta.
Guardati in giro, Ricky.
“Chi rimpiange seriamente gli anni Cinquanta con la ricostruzione sulle macerie o i Sessanta e il cosiddetto boom con la sempre più evidente sperequazione tra ricchi e poveri? Chi rimpiange i Settanta a parte i sessantottini?
Che poi, detto tra noi, commentò Lorenzo a voce più bassa, oggi occupano tutti i posti di potere del Sistema che dicevano di voler combattere.
“Pensi che qualcuno rimpiangerà mai gli anni 2000 e i 2010?”
“Pensi che in futuro qualcuno sentirà la mancanza degli anni 2020?”
Riccardo era basito, nel tono accorato del padre vibravano molte corde. La nostalgia, la collera, il dolore. Il rimpianto.
“La mia non è solo paura della vecchiaia, figlio mio.”
Un pensiero che, per altro, non è affatto invitante.
“Non è nemmeno il semplice rammarico per i vent’anni perduti.”
La sua era solo la constatazione che i nati tra la metà dei Sessanta e la metà dei Settanta hanno vissuto la loro giovinezza in un grandioso decennio.

Andava davvero tutto così bene?
La domanda di Riccardo fermò l’ardente esposizione del padre, che rimase in silenzio un paio di secondi.
“C’erano i problemi di ogni epoca” replicò. “Naturalmente ci furono anche guerre – sebben solo lontane da noi e di carattere locale – attentati, disastri ambientali.”
C’era stata Chernobyl.
L’attentato al Papa.
La repressione in Cina.
Eventi tragici, come in ogni età.
“Ma ci furono anche momenti epocali, come la caduta del muro di Berlino con la fine della dittatura in Russia.”
“Ci fu il Live Aid, il primo evento musicale e filantropico.”
“Si cominciò a parlare di ambiente e di rispetto del pianeta.”
Tra l’altro, alcune delle grandi innovazioni tecnologiche usate oggi nacquero proprio negli anni Ottanta: il Personal Computer, il World Wibe Web, il telefono cellulare.
“Ma soprattutto c’era tanta euforia e un generale benessere materiale. La creatività era assecondata e finanziata.”
Pertanto, in generale si poteva parlare di un periodo molto positivo.
“Magari non è stato il decennio più felice del Ventesimo secolo” disse. “Ma sicuramente il più felice del dopoguerra.”
Riccardo lasciò che il padre si mettesse comodo sulla poltrona.
“Perché non me ne hai mai parlato prima?”
L’espressione interrogativa di Lorenzo lo spinse a chiarire.
“Degli anni Ottanta e di tutto quello che mi hai detto.”
Della tua giovinezza.
Lorenzo guardò gli occhi del figlio, così simili ai suoi ma con l’aggressiva lucentezza dell’adolescenza.
“Non mi sembrava leale, Ricky.”
“Tu puoi solo immaginare come erano quegli anni perché ormai fanno parte di un lontano passato.”
E tu vivi adesso. Tu sei giovane adesso.
“Tu devi vivere la tua età e la tua epoca come se non ci fosse niente di meglio al mondo.”
Silenzio.
Riccardo sistemò i fogli con gli appunti, depose la penna sulla scrivania e si alzò.
“Salutami tua madre.”
“A proposito, ha chiesto se una sera vuoi fermarti da noi a cena.”
Lorenzo fece una smorfia con la bocca che poteva essere sia un sì volentieri che un vedremo.
Il ragazzo ringraziò il padre e lasciò l’ufficio. Prima di uscire, si voltò un istante. Lorenzo si era alzato ed era in piedi, di fronte a uno dei quadri appesi al muro. Una loro fotografia insieme, quando il ragazzo aveva dieci anni. Una partita a tennis.
Mani in tasca, immobile.
Forse però non stava guardando il quadro.
Forse non guardava nulla.

(immagini dell’archivio di L’Eco di Bergamo rielaborate da Luca D’Agostino)

(con lo pseudonimo di Max Dahl, Massimo Daleffe ha pubblicato i romanzi “Beau Rivage”, Gonzo Editore, e “L’arca”, 0111 Edizioni)