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Filamenti #4: il favoloso mondo di Oz, sul rapporto tra narcisismo patologico e violenza

Articolo. In relazione alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, propongo una riflessione su alcuni meccanismi relazionali che portano alla violenza (soprattutto domestica) che prima di essere fisica è innanzitutto psicologica. Cosa ci insegna a proposito la storia del Mago di Oz?

Lettura 7 min.
(illustrazione Giovanni Cancemi)

Il 25 novembre sarà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Vorrei qui parlare di questo tema, per cercare di capire quali sono i meccanismi che possono generare violenza in una relazione. Violenza che, prima di sfociare in atti di abuso fisico, è soprattutto psicologica. Sottolineo che questi meccanismi vengono poi aggravati dalle disparità di potere del sistema patriarcale, ma di base riguardano entrambi i generi.

Partiamo da una storia. Vi ricordate il Mago di Oz? La casa della piccola Dorothy è investita da un ciclone che la porta in un regno incantato, uccidendo la malefica Strega dell’Est. Così la piccola inizia il suo percorso di ritorno a casa in compagnia di uno spaventapasseri, un leone e un omino di latta, percorrendo il sentiero di mattoni gialli che porta al potente mago di Oz. Oz è l’unico che sembra poter dare ai personaggi quello che cercano: una casa a Dorothy, il coraggio al leone, l’intelligenza all’omino di latta e un cuore allo spaventapasseri. Ma Oz è in realtà un impostore. Il creatore di un mondo, all’apparenza dorato, di cui lui dice essere il padrone assoluto, quando invece è un piccolo signore che amplifica la propria voce con un microfono da dietro una tenda. Oz produce una gigantesca manipolazione della realtà. Si crede più grande, potente e importante di quello che è e pretende che tutti nel suo regno incantato lo ammirino.

Oz, il narcisista

Cosa c’entra questo con la violenza? Ce lo spiega la psicologa americana Eleanor D. Payson che nel 2002 scrive «The Wizard of Oz and Other Narcissists», un libro sulla relazione tra il Mago di Oz e il disturbo narcisistico di personalità. Il delirio di Oz non è innocuo, perché il mago usa le persone per confermare la propria visione grandiosa di sé. Le seduce, le manipola, le spaventa, le sfrutta e toglie loro il contatto con la realtà. L’altro esiste solo in funzione di sé. Oz è nella lettura di Payson un narcisista patologico. Ma cosa significa?

La letteratura clinica e psichiatrica concettualizza il narcisismo come un disturbo di personalità: Narcissistic Personality Disorder (NPD). NPD si riferisce a una struttura caratteriale duratura e severa associata a grandiosità, mancanza di empatia ed estrema ricerca di ammirazione. Secondo la letteratura, sono tre gli ingredienti di base del narcisismo patologico: un’eccessiva considerazione di sé, una relativa mancanza di sincera empatia e una dipendenza da strategie di auto-regolamentazione che prevedono lo sfruttamento degli altri per i propri fini. Il mago di Oz racchiude queste tre caratteristiche.

Sembra innanzi tutto che Oz pensi, sinceramente, di essere migliore degli altri. Si sente più intelligente, capace, brillante. Tiene molto a fare sapere agli altri quanto è bravo. Testimonia dettagliatamente ogni suo successo attraverso discorsi, messaggi, telefonate, pagine social. Il suo mondo è all’apparenza incantato e scintillante. Oz ha carisma. Il potere e il successo gli spettano di diritto, perché lui fa tutto meravigliosamente bene. Per cui dietro la tenda – il narcisista non è mai la persona che sembra essere nella sfera pubblica – Oz passa il suo tempo ad assicurarsi di ottenere esattamente quello che vuole. Ma non è la spinta all’autorealizzazione che fa di una persona un narcisista patologico. Anche perché ci sono profili narcisistici cosiddetti cover (coperti), che più che puntare al successo, passano il tempo a lamentarsi di non aver ottenuto il successo che spettava loro di diritto.

La caratteristica forse più importante di Oz è la sincera mancanza di empatia. Il narcisista non è che non «percepisca» come stanno gli altri, è che anche «percependo», non è interessato ad essere emotivamente presente per l’altro/a. L’ascolto emotivo che presta è solo in funzione ai vantaggi che può ottenere nella relazione. Questo non significa che Oz non abbia bisogno degli altri, al contrario. Lui è contentissimo quando Dorothy atterra nel suo regno. Gli altri, come anche il leone, lo spaventapasseri, l’omino di latta, gli servono per regolare il suo costante stato di rabbia e insoddisfazione interiore, per rimandare loro la sua superiorità e per trarre benefici anche pratici dalla relazione. Perché l’io del narcisista è in realtà molto fragile. Si dice che ci sia una ferita narcisistica alla base di questo profilo di personalità, che lui o lei compensi mettendo in atto tutta una serie di strategie per assicurarsi il proprio «rifornimento narcisistico».

Tra le strategie, e qui veniamo al terzo punto, la principale è forse la manipolazione della realtà per fare in modo che il «rifornimento narcisistico» gli sia assicurato e la grandiosità della sua immagine sia mantenuta. Oz infatti non può letteralmente accettare nessuna critica, anche se leggera e costruttiva. Alla critica reagisce con rabbia profonda, a volte espressa direttamente, a volte convogliata in spiegazioni razionalizzanti che sminuiscono chi lo ha criticato, a volte incanalata in azioni persecutorie. Oz abbassa continuamente gli altri per mantenere intatto il suo senso di sé: li svaluta, li insulta, li prende in giro, li diffama, li rimprovera, ne abusa verbalmente e poi in alcuni casi anche fisicamente. Il narcisista tratta le persone vicine come suoi supplier («fornitore») di energia e come pattumiera, dove scaricare tutte le proprie emOzioni negative.

Sopravvivere al narcisismo (dell’altro)

Per questo in letteratura si dice che chi supera una relazione con un narcisista patologico, in ambito amoroso, familiare, amicale, lavorativo, è letteralmente un survivor («sopravvissuto/a»). Perché vivere a fianco di una persona così è un’esperienza altamente traumatica, che lascia strascichi anche anni dopo la fine della relazione. Nella relazione con il narcisista la persona subisce una manipolazione costante, che la porta in ultimo a negare i propri bisogni per concentrarsi totalmente su quelli del narcisista. Negando i propri bisogni, la persona che vive con un soggetto narcisista è come se respirasse un’aria tossica, che provoca un sentimento di perdita di energia e svalutazione di sé. Lentamente ci si sente piccoli, ci si sente di non valere, di non essere all’altezza. Si prova ansia, depressione, desiderio di nascondersi, di sparire. Si vorrebbe essere meglio per accontentare il narcisista, ma quello che si è non è mai abbastanza. Si perde quasi il contatto con la realtà, perché si vive dentro lo sguardo negativo del narcisista. S’interiorizza la visione ostile che lui proietta su noi. Tanto più che solitamente le vittime preferite dei narcisisti sono le persone empatiche, che quindi sentono molto l’altro.

Più il narcisista prende spazio, più il supplier rimpicciolisce. Ci sono delle fasi riconosciute di questo processo di manipolazione. All’inizio c’è il cosiddetto love-bombing («bombardamento affettivo»). Il narcisista sfodera tutte le sue armi di seduzione migliori (non solo sentimentale, anche amicale), e fa sentire l’altro/a straordinario, apprezzato, amato, coccolato. Poi quando la persona è agganciata comincia la fase del gaslighting , in cui il narcisista da false informazioni con l’intento di fare dubitare la persona della sua stessa memoria e percezione. È in questa fase che entriamo a pieno regime nel regno di Oz.

Non è che questo processo si veda sempre ad occhio nudo, il narcisista è maestro a misurare il bastone e la carota con cui prende energia dal suo supplier . Quando si accorge che l’altra persona si sta allontanando troppo, fa qualche passo indietro per poi ricominciare ad abusarne. Ci sono tanti «momenti buoni» nella relazione. E sono questi «momenti buoni» a cui la persona empatica si attacca per non vedere la realtà.

«Abilitatori» e «scimmie volanti»

Accanto al narcisista, a fargli da supporto, ci sono poi quelli che in letteratura sono chiamati gli enabler («gli abilitatori») o anche le flying monkeys , le «scimmie volanti» (anch’esse dal Mago di Oz). Sono quelli che – per non confliggere con il narcisista o per trarre vantaggi personali – lo abilitano e supportano. Fanno finta di non vedere le cose tremende che fa e dice: «ma io sinceramente non mi sono reso conto». Sminuiscono e normalizzano gli abusi: «ma no, ma guarda che lui non intendeva dire davvero così». Incolpano la vittima: «però se tu non fai niente per uscire dalla situazione, è colpa tua» oppure «guarda che stai esagerando». La spingono a guardare agli aspetti positivi del narcisista: «è così brava». Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa frase: «Ma con me si è sempre comportato bene», di fronte a una persona con un curriculum di comportamenti non proprio correttissimi di cui siamo a conoscenza.

Se il narcisista domina e trionfa, è perché l’ambiente di enablers lo supporta e non lo mette mai davanti alle conseguenze delle sue azioni. Così il soggetto patologico non trova ostacoli, anzi il più delle volte è ammirato e considerato «vincente». Alla vittima di abuso resta tutto il peso del non essere creduta, della depressione, della perdita di sé oltre alla sanzione sociale di essere considerata «debole».

La cura delle vite degli altri

I miei consigli sono innanzitutto di leggere e ascoltare quanto più possibile sul tema. Per scrivere quest’articolo ho seguito il lavoro della psicologa clinica dell’Università della California Ramani Durvasula (qui il suo canale Youtube), che ha sviscerato il tema in tutte le sue declinazioni. Se sapete l’inglese, vi consiglio vivamente sia i suoi libri che il suo canale.

In italiano segnalo qui il libro divulgativo della psicologa di orientamento cognitivo comportamentale Francesca Saccà: «Perché il narcisista...? Capire come funziona un narcisista patologico per mettersi in salvo» (2019). Interessante e completo questo articolo open source della psicologa ad orientamento cognitivo-costruttivista Michela Vespe. Appartenente all’ambito psicanalitico e con una lettura più di genere, segnalo il lavoro approfondito di Sandra Filippini «Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia» (2005) edito da Franco Angeli.

Ma al di là delle letture sul tema, anche la letteratura può venirci in aiuto. Due esempi: in «Vite che non sono la mia» di Emmanuel Carrère, l’autore – grande narcisista, e a dimostrarlo c’è buona parte della sua produzione letteraria – mette in pratica un’azione empatica che tanti narcisisti patologici dovrebbero fare, cioè “appropriarsi” del dolore altrui; ne «La cura» di Hermann Hesse l’ego “gonfiato” di un autore di successo – lo stesso Hesse, che pochi anni prima aveva scritto «Siddharta» – viene “smontato” da tanti piccoli aneddoti, ironici e no.

Come in generale dicono le fonti specialistiche, il sapere sul narcisismo non sostituisce la terapia. Perciò il consiglio più importante è che se avete la sensazione, il sospetto di stare vivendo questo tipo di situazione, andate a parlare con una psicologa/o, meglio se esperta/o in questo tipo di dinamiche. Andateci voi in terapia, perché la o il narcisista non lo farà mai. Perché mai dovrebbe andare in terapia se sente di essere una persona così meravigliosa?

Queste relazioni possono durare anni e rovinare vite. Rendersi conto di vivere nel regno di Oz è il primo passo per uscirne. E uscirne si può, parola di sopravvissuta. E quando avrete rielaborato, sarà bello riprendere il contatto con il vostro sé autentico. Il rancore per il Mago (maghi-maghe) che vi ha fatto tanto male con il tempo passerà e resterà solo un senso di pietà verso la sua incapacità di amare e una profonda indifferenza per le sorti felici o infelici della sua esistenza.

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