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Paninari e franchising: la Moda a Bergamo negli anni Ottanta

Racconto. Trend settantiani spazzati via dai must del nuovo decennio. E poi negozi (e non catene come oggi), militari e metallari, giovani donne in carriera con il tailleur e tantissimo gel

Lettura 6 min.

Riccardo suonò il campanello ma rispose solo il silenzio.
Suonò ancora e ancora silenzio. Tirò fuori lo smartphone per chiamare il padre.
…momentaneamente non raggiungibile…

Sbuffò rumorosamente e aprì lo zaino, prendendo la sua copia delle chiavi. Una volta dentro constatò che in effetti l’appartamento era buio e palesemente vuoto. Aprì le persiane dello studio, notando che la scrivania era eccezionalmente sgombra dall’usuale montagna di carte, fogli e libri. Vide perciò subito la busta.

Per Ricky.
La prese con entrambe le mani e la osservò. Poi afferrò il tagliacarte a forma di spadone medievale e sedette sulla poltrona del padre. Spalancò gli occhi: era una lettera scritta a mano, con carta e penna, di quelle che nessuno scrive più da secoli. Due fogli scritti dal padre con la sua calligrafia nervosa e veloce. Riccardo riguardò la lettera, la rigirò e sorrise. Leggerla sarebbe stato impegnativo. Ma sorrise ancora.

Una lettera da suo padre: forte!
Ciao ragazzaccio,
cosa c’è di meglio dello scriverti con carta e penna per farti entrare adeguatamente nell’atmosfera degli anni Ottanta?

Lorenzo gli scriveva che era dovuto andare a Ferrara per presentare un libro e si scusava di dover essere partito in tutta fretta.
In questi tempi bui e tempestosi, appena si apre uno spiraglio di lavoro è meglio prenderlo subito.
Avrebbe presentato il suo ultimo romanzo alla Biblioteca Comunale Ariostea affiancato come sempre da un giornalista e forse anche qualcuno del Comune di Ferrara.

Oggi ti racconterò qualcosa della Moda a Bergamo negli Ottanta.
La Moda è sempre esistita, probabilmente fin dall’antichità, se non altro per distinguere le classi sociali e le mansioni svolte nella società – sacerdotali, militari e così via.
La moda, secondo gli psicologi, accontenta due desideri contrapposti: da una parte quello di imitare gli altri per integrarsi, dall’altra quello di differenziarsi. Noterai che sono contrapposti e ciò dovrebbe far riflettere.
Un tempo la moda si diffondeva dalle classi più agiate a quelle inferiori; oggi sono piuttosto i cosiddetti vip – personaggi dello spettacolo, veline, calciatori, cantanti e compagnia bella – a inaugurare uno stile, che poi viene imitato e diventa di massa. Successivamente ne propongono un altro. Così la moda cambia ciclicamente
.

Il messaggio di Lorenzo era di ricordare che la Moda è sempre decisa da qualcun altro. Questa era la realtà, prendere o lasciare.
Tranquillo, qui finisce il sermone culturale e inizia il vero racconto.
Parliamo di quasi quarant’anni fa – e mi trema la penna nello scrivere la cifra – e quindi con meno facilità di spostamento e scambi tra le persone, anche fra italiani. Anche fra lombardi, addirittura anche fra conterranei. Non esistevano voli low cost e per viaggiare con le ali bisognava quasi chiedere un prestito in banca. Quindi, anche in termini di moda, c’erano delle differenze sensibili tra le varie regioni della penisola. E poi nel 1980 io avevo 14 anni e nel 1989 ne avevo 23: in mezzo ho frequentato la scuola superiore e ho fatto il servizio militare. E anche quest’ultimo aveva la sua moda!

Riccardo guardò una fotografia che papà teneva sulla parete, parte di un insieme di sue immagini giovanili. In una di quelle, che aveva già visto ma mai osservato bene, suo padre aveva una divisa mimetica, portava un elmetto e imbracciava con un’aria bellicosa – chiaramente era una posa per il fotografo, visto che non aveva fatto nessuna guerra – un grosso fucile automatico.

Per farti sorridere, spendo due parole su quest’ultima, dato che i ragazzi allora la dovevano seguire – controvoglia, ovviamente – per un anno. In caserma – eh sì, stavamo proprio dentro una sorta di recinto circondato da filo spinato e difeso con le armi attraverso le famigerate guardie – esistevano due diversi outfit: la mimetica, ossia la divisa da lavoro-marcia-poligono-corvée che consisteva in pesantissimi anfibi, pantaloni e giacca abbinati e con tasconi porta-tutto, un berretto che tutti chiamavano “la stupida”, almeno dov’ero io; per fare l’elegantone, invece, ci si metteva “la drop”, ossia giacca e pantaloni stile borghese e scarpe basse e nere. In testa il basco. Era una mise talmente chic che le ragazze evitavano tutti i militari, per cui si usciva dalla caserma solo in borghese; ma alla fine venivano comunque tutti riconosciuti a causa del drastico taglio di capelli.
Riccardo fece una smorfia di contrarietà, toccandosi il ciuffo robusto, avanti con l’argomento.

Considerando che ero un ragazzino, non posso che partire dalla mia esperienza diretta: all’inizio del decennio si portavano le ultime camicie con i collettazzi grandi come bavaglie e i pantaloni a zampa d’elefante, eredità conclusiva del decennio precedente; tutto fu però presto spazzato via dai pantaloni in pelle – li avevano sia i metallari che i fighetti, ovviamente con fogge diverse – le cravattine in pelle strette e tenute dal fermacravatta; le clarks in pelle di vari colori. Poi arrivarono le giacche, sia maschili che femminili, con spalle enormi, ovviamente imbottite, e che davano a chi le portava una sagoma trapezoidale. Le ragazze portavano anche pantaloni a vita alta e gonne a tubo, le più grandi e magari “in carriera” il tailleur.

Arrivò la parte dedicata ai famosi paninari.
Erano quasi una setta: per farne parte era richiesto un dress code molto rigoroso e, andava detto, anche costoso; giacconi imbottiti e su tutti il Moncler – che dava alla persona la linea dell’omino Michelin – ma anche lo Schott e il Bomber; le camicie a quadri, spesso simili a tovaglioli, i jeans firmati come Armani o Coveri ma anche Levi’s e Uniform, i mitici e indistruttibili anfibi Timberland o stivali da mandriano tipo Durango o Frye. In estate furoreggiavano le scarpe da barca, in genere sempre Timberland, oppure sportive come Converse New Balance, Superga o le Vans di vari colori; poi Lorenzo citò i maglioni a coste – chiedi a un’amica, le donne sanno bene cosa è – le polo di Armani, i jeans Avirex e i pantaloni Americanino, le Felpe Best Company e le cinture El Charro; senza dimenticare i tessuti Naj Oleari molto amati soprattutto dalle ragazze.
I ragazzi portavano i capelli corti stile Marines ma più lunghi in testa e con un quintale di Gel – io compravo sempre la Gommina o il Tenax. Le ragazze avevano i capelli lunghi che legavano con nastri floreali o cose simili.

Se stai pensando che molte di queste marche sono portate ancora oggi, hai ragione. Una cosa bisogna dirla dei paninari: vestivano bene.
Quella moda era tendenzialmente unisex ma le paninare più eleganti indossavano abiti attillati corti, minigonne colorate abbinate a fuseaux – genitori degli odierni leggings – o calze a rete, giacche di jeans e t-shirt oversize, maglioni sempre oversize e sempre colorati abbinati a scarpe in tela o tacchi, scaldamuscoli colorati e fasce per i capelli.
Nella lettera seguiva un lungo elenco di negozi che il padre aveva frequentato o che comunque erano stati parte della vita quotidiana dei giovani – e non solo – bergamaschi durante la sua gioventù. Non poteva certo citarli tutti, ma almeno voleva scrivere quelli che ricordava.
Iniziò citando Lunastrass, che era un negozio molto alternativo – oggi si potrebbe dire indie – in via Moroni dove aveva acquistato pantaloni militari dell’esercito spagnolo. Negli anni Ottanta i pantaloni militari erano portati solo dai soldati perché, se indossati fuori dal contesto militare, erano male considerati. Dagli anni Novanta, invece, sono diventati trendy e portati da tutti. Questa è la Moda.
Sempre da Lunastrass Lorenzo si trovavano le anche t-shirt nere con disegni rockettari e accessori in tema, tipo le borchie.
Anche quella era ed è una moda con i suoi canoni.

Il suo primo acquisto fighetto fu da Armani in via Sant’Alessandro: maglione a coste, camicia a quadri e jeans. Tutto in colori pastello e pendant. Credo si dica ancora così. I paninari andavano spesso da Dulia Ship Center che stava nella galleria accanto a via Borfuro e lì anche Lorenzo aveva comprato l’Henry Lloyd – una giacca da barca anche se tutti la portavano in città. Per trovare roba un po’ pazza, magari t-shirt originali e super colorate, si andava da Fiorucci in via Garibaldi. I pantaloni Americanino, un altro must della moda paninara, si prendevano nell’omonimo negozio di fronte a Dulia. Per le felpe della Best Company e gli accessori NajOleari il migliore era Disegni alla Malpensata. Un bel negozio da post-paninaro-quasi-yuppie era Clan in Via Sant’Alessandro. Petronio, Cristiano, Sacerdote e Harrison erano eccellenti negozi ma piuttosto per grandi. E per tasche più fornite di quelle di un ventenne. Un negozio che vendeva bellissimi vestiti, soprattutto da donna era Fumagalli in via XX settembre, proprio accanto alla famosa catena.
Sperani in via Borgo Palazzo era ottimo negozio per le scarpe ma un mito rimaneva Bruschi dove Lorenzo comprò i primi anfibi Timberland, in via XX Settembre. Scarpe meno costose da MM in via Tasso.
Per chi amava coprirsi il capo, come Lorenzo, ricordava due cappellai su tutti: uno, tuttora esistente – sia lodata la Divinità dei Cappelli – in Piazza Pontida e uno via Tiraboschi dove Lorenzo aveva preso due “coppole” stile inglese.

Per la moda, bisognava anche citare i negozi sportivi: in fondo, una bella fetta della moda giovanile era legata allo sport, soprattutto le scarpe (Converse All Star, Adidas Stan Smith, Nike) e le t-shirt. Nella lettera citava perciò Sottocornola in via Camozzi, Cominelli 2 in via Locatelli, Goggi Sport in via Paglia, Tribbia Sport nella galleria tra via Tasso e via Camozzi. Dove c’era anche il Bowling.
Leggi bene i nomi in questa lettera: sono nomi che ti diranno poco perché questi negozi non esistono più. Al loro posto adesso ci sono le catene, ci sono Zara e Footlocker, Tezenis e Original Marines.

Ma quei negozi che sono spariti non erano semplici attività in franchising con giovanissime commesse assunte con dei mini-contratti e senza nessun legame con la nostra città, tanto da fare i bagagli velocemente in caso di difficoltà. Quei negozi erano parte integrante del territorio circostante e della società bergamasca, essendo stati creati e gestiti da concittadini che avevano rischiato il loro patrimonio e speso tutte le loro energie per aprirli e farli funzionare. Perché quei negozi erano pezzi importanti della loro vita e, di conseguenza, anche parte della città.

Buona ricerca, a presto.
Ps: prometto che la settimana prossima verrò a cena dalla mamma.

Riccardo guardò ancora la lettera, la piegò con cura e la infilò nella tasca del giubbotto. Prima di spegnere la luce e uscire, guardò ancora le foto del padre e sorrise.

(con lo pseudonimo di Max Dahl, Massimo Daleffe ha pubblicato i romanzi “Beau Rivage”, Gonzo Editore, e “L’arca”, 0111 Edizioni)