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Sant’Alessandro quest’anno ci chiede di ripartire insieme

Articolo. Corda, fede e patto. Sono queste le tre esperienze che possono aiutare a mettere a fuoco la virtù della Fiducia, quest’anno al centro dell’attenzione delle celebrazioni per il patrono di Bergamo, Sant’Alessandro.

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Prosegue l’ormai consolidata tradizione di celebrare la festa del patrono della città di Bergamo, Sant’Alessandro, mettendo al centro della riflessione civica e cristiana una virtù comune, capace di incoraggiare l’impegno e lo sforzo che servono per continuare a costruire una comunità unita e fraterna. La scelta è significativa di per sé: indicare una virtù che orienti le coordinate e i significati simbolici in merito a cosa voglia dire abitare un territorio vuol dire che essere cittadini di Bergamo è una responsabilità. Nell’esperienza della cittadinanza c’è una dimensione di bene che chiede l’impegno di ciascuno e di tutti: un bene da accogliere, innanzitutto, ma anche un bene a cui prendere parte, attraverso le proprie scelte. Serve virtù per costruire una città che sia a misura d’uomo, cioè che sia capace di umanizzare chi la vive tutti i giorni come chi la visita occasionalmente: è l’idea di un bene comune che mette in cammino insieme, argine contro le forme di male che nella storia disgregano e impoveriscono la coesione e le prospettive.

Quest’anno è il momento di ripartire dall’atteggiamento della fiducia; così si legge sul flyer che racconta questi giorni di festa e le manifestazioni culturali che fioriscono attorno alla celebrazione patronale: “Usciamo faticosamente da una lunga emergenza sanitaria, tempo nel quale il senso di rischio e di vulnerabilità si è fatto più acuto. Sarà la fiducia in se stessi, nelle istituzioni, nella comunità e in ogni suo singolo membro il potente antidoto per vincere la propensione al sospetto e all’ostilità, che proprio le durezze della prova hanno, a tratti, particolarmente inasprito”. La fiducia dunque come rimedio per guarire il corpo sociale, provato tanto quanto quello fisico dall’esperienza della pandemia: il legame che attraversa la nostra alleanza come uomini dentro una comunità di destino, quella sensazione di essere tutti sulla stessa barca, si trova allentato a causa della paura. E così ci si ritrova più stanchi di prima, con meno energie e con strumenti spuntati a tentare di prendersi cura di quel legame senza il quale la civiltà sprofonda nella solitudine degli individui: vorremmo tanto credere che ci si salva insieme o non si salva nessuno, ma la mancanza di fiducia porta a credere che anche il “si salvi chi può” possa essere sufficiente. Risuona con forza e attualità il monito di papa Francesco: “Peggio di questa crisi, ci sarebbe solo il dramma di sprecarla”; prende una consistenza, un’attualità e una verità che non ci si aspettava. C’è bisogno dunque di ripartire dalla fiducia.

L’etimologia stessa della parola è affascinante, perché mostra come in queste poche sillabe si siano sedimentate alcune delle speranze migliori dell’umanità: la radice originaria fid- ha a che fare con un oggetto, la corda, da cui derivano le espressioni greche e latine che importano i significati più astratti e complessi di fides (fede) e foedus (patto). Sono queste tre esperienze che possono aiutare a mettere a fuoco la virtù della fiducia.

In primo luogo, la corda. La fiducia ha a che fare con il legame: la corda è un insieme di fili sottili e poco resistenti, che si intrecciano insieme per diventare più robusti. Basti pensare alle corde di sicurezza che sostengono gli scalatori nella loro salita verso la vetta. In questo senso la fiducia è quella virtù che ci lega gli uni agli altri, che mette la nostra sorte in stretta relazione con quella di coloro che condividono con noi l’esperienza di vivere in questo tempo e di abitare in questo territorio. Come città di Bergamo abbiamo bisogno di tornare a fidarci gli uni degli altri, delle istituzioni, del cammino che possiamo fare insieme e del fatto che scommettere sul bene non è una scelta perdente. La pandemia ha accelerato il tarlo dell’individualismo, quello che fa pensare che si possa esistere da soli, slegati dagli altri, e che la società sia una forza impersonale che distrugge l’idillio della libertà personale. In realtà, abbiamo bisogno di tornare a contemplare il fatto che camminiamo su strade che non abbiamo costruito noi, mangiamo cibi che nessuno di noi ha allevato o mietuto, abbiamo possibilità che ci derivano dalle lotte di altri e che le cose più belle che ci capitano sono legate a persone che sanno sorprenderci proprio perché “altre”. C’è un guizzo di straordinario e di magnifico che diventa possibile soltanto dentro il legame tra noi, con chi ci ha preceduto e con chi verrà dopo di noi, con chi conosciamo e con coloro a cui dobbiamo molto senza mai aver visto il loro volto. La fiducia è una corda di gratitudine che disinnesca il rischio del pensare che uno possa esistere da sé: forse, come Chiesa e come città abbiamo bisogno di ripartire proprio dal per tutti, di cercare ciò che unisce il nostro cammino più che ciò che lo spezzetta in mille interessi particolari.

Secondo, la fede. La fiducia ha a che fare con il credere. Con ciò che ci lega gli uni agli altri in virtù di qualcosa che è più grande delle simpatie o delle antipatie, della convenienza o delle buone maniere dell’educazione. La fede è quella capacità di sguardo che riesce a cogliere la presenza di un di più, “di Dio” dicono i credenti, dentro i gesti banali e le parole ripetitive del quotidiano. Come per le tele dei pittori impressionisti, la routine si anima di un di più, delle tinte che rivelano i sogni, le speranze, i desideri e le paure di una civiltà. Allo stesso modo, la vita della nostra città prende proporzioni differenti: attraverso la fiducia prendono forma quelle speranze che sono capaci di portare più lontano di noi, di costruire qualcosa che rimane anche oltre il nostro passaggio. Come città e come Chiesa abbiamo necessità di ripartire da ciò che possiamo credere, sperare e amare insieme, da un orizzonte ideale che ci faccia camminare con i passi rivolti nella stessa direzione del nostro sguardo, non preoccupati primariamente di rispondere all’urgenza.

Infine, un patto. La fiducia è la condizione di un’alleanza: è la parola che indica l’implicarsi attivamente in un rapporto non dovuto e non scontato. Il patto dice che uno si assume la responsabilità e si obbliga nel fare qualcosa, nella certezza che ci sono traguardi che si possono tagliare soltanto se chi può metterci il meglio comincia a farlo, diventando uno sprone per altri. Come singoli, come città e come Chiesa abbiamo bisogno di fare ciascuno la nostra parte non dovuta, di continuare a mettere in circolo quel capitale di fiducia che è l’impegno per il meglio, al di là di quello che altri scelgono di fare. È la nostra alleanza, il nostro appuntamento con l’oggi: garantire la nostra quota di passione e di sforzo perché, anche per ciascuno di noi, possano mettere radici un presente e un futuro promettenti. L’alleanza è fiducia perché comincia dal coraggio di sbilanciarsi, senza farsi frenare dalla paura di rimanere delusi.