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Salvatore Natoli e il concetto di «felicità permanente»

Intervista. Mercoledì 9 luglio il filosofo sarà presente al festival «Filosofi lungo l’Oglio» che, giunto alla sua ventesima edizione, quest’anno è dedicato al tema dell’esistere.

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Si intitolerà «Vita buona, vita felice» la lectio magistralis che il filosofo Salvatore Natoli terrà alle ore 21 di mercoledì 9 luglio, in piazza Dante Alighieri di Castegnato (in caso di maltempo, nella chiesa di San Giovanni Battista), all’interno del festival «Filosofi lungo l’Oglio», giunto alla sua ventesima edizione, dedicata, quest’anno, al tema dell’esistere. Ma cosa significa «vita buona» e quando una vita si può dire felice? Abbiamo posto al professore queste e altre domande.

FR: Professor Natoli, cosa si intende per vita buona e che cosa si intende per vita felice?

SN: Innanzitutto, è bene dire che la vita ha tre dimensioni: l’entrata nel mondo, lo sviluppo nel tempo del mondo e l’abbandono del mondo, dove le singole esistenze ritornano al tutto, ovvero alla physis. Ma cosa è, dunque, la vita buona e felice? È la vita riuscita, quella in cui, ognuno di noi, attraverso personali possibilità e naturali disposizioni, realizza, al meglio e il più possibile, i propri desideri. La felicità che ne scaturisce, in quanto autoprodotta, è permanente.

FR: Viviamo un tempo frenetico, che lascia poco spazio all’ascolto di sé e degli altri; l’uomo contemporaneo è in grado di pensare alla felicità? Desidera ancora essere felice?

SN: L’uomo desidera essere felice per natura. La dimensione della frenesia, che caratterizza la società odierna, parte da lontano: dall’idea di migliorare le proprie condizioni sulla terra. La storia dell’umanità, del resto, è l’incessante cammino di cultura e civilizzazione. A un certo punto, però, il meccanismo della realizzazione e della produzione ha acquisito, sempre più, caratteri monetari: dal costruire per godere si è passati al costruire per guadagnare. Da qui, l’incentivazione ossessiva del consumo e quindi lo spreco e la crisi ecologica. È necessario dunque fermarsi e interrogarsi se questa corsa senza fine abbia senso. Il problema è che è sempre più difficile meditare perché viviamo in una società che non sopporta il silenzio: la voce dell’anima è messa a tacere. Il silenzio fa paura perché chiama in causa il giudizio. Non c’è bar, oggi, in cui tv o musica non stordiscano di continuo gli avventori.

FR: Fra like e visualizzazioni, pare che oggi, per molte persone, la felicità coincida con la propria visibilità…

SN: In questo caso, la soddisfazione (immediata e passeggera) non è frutto di vere capacità o di una costruzione autentica, ma di mera percezione. C’è una componente narcisistica, che non è solo segno di superficialità bensì di falsità: per attrarre, ci si presenta come ci si immagina che gli altri ci desiderino. Più like si ha, più a questi like ci si conforma: è una forma di manipolazione, in primis contro sé stessi, che genera poi tanto malessere.

FR: Dice Epicuro: «[…] non bevute e banchetti continui […] genera una vita felice, ma un sobrio calcolo che esamini le motivazioni di ogni scelta e rifiuto e recisamente respinga le false opinioni, da cui deriva il maggior turbamento che prende le anime». Felicità significa filosofare e vivere in modo virtuoso?

SN: Nel mondo antico, il filosofo è colui che sa vivere in quanto sapiente: avendo conosciuto difficoltà e avendo sperimentato errori, ha acquisto quel tanto di virtù (intesa come competenza) a esistere che lo ha reso soddisfatto. Per Epicuro, la virtù sta nel dare al desiderio una risposta proporzionata. Il desiderio, infatti, sentimento fondamentale nell’uomo e sua condizione di sviluppo, scandisce la dinamicità della vita. Ma, a fronte dei nostri desideri (infiniti come infinita è la nostra ricerca del piacere), noi ci scopriamo esseri finiti e il rischio è quindi l’esaurimento, la dissipazione e la frustrazione. La soluzione, secondo gli epicurei, sta nel diminuire a poco a poco le dosi di piacere, fino a tornare a godere semplicemente del necessario.

FR: Nella lettera a Meneceo, Epicuro taccia di stoltezza chi afferma: «Bello non essere nato»; ma come si concilia la felicità con la fragilità e con il dolore?

SN: L’epicureismo ci insegna che il dolore, se è intenso, è breve; se è lungo, invece, non è intenso. L’amministrazione del dolore è una via per trovare felicità anche nella sofferenza. L’opposto della felicità, del resto, non è il dolore, ma la noia. Al contrario: il dolore può essere uno stimolante, ti spinge a reagire. La noia, come ci ricorda Leopardi, no.

FR: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti», dice San Paolo. In una società come la nostra, dove la «tecnica» ha sostituito Dio, ci può essere «perfetta letizia»?

SN: Direi di sì. Una delle caratteristiche fondamentali della felicità è l’armonia, ovvero il sapersi mettere in relazione con gli uomini, con le cose e con il mondo, incentivando la collaborazione, riducendo le resistenze e facendo perciò scattare delle sintonie. Ma se il mio desiderio vuole essere in sintonia con l’altro (e con i suoi desideri), bisogna che ci sia riconoscimento reciproco e bisogna che ci si venga incontro. In caso contrario, ci sarà rottura e conflitto. Siamo esseri finiti, non possiamo fare da soli: abbiamo bisogno della comunità, condividendo tutto con tutti. E ciò appartiene all’etica cristiana, che è l’etica dell’amore: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»; «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri».

FR: L’Europa pagherà alla Nato il 5% del pil in spese militari. La premier Meloni ha spiegato che quelle approvate sono «spese necessarie per rafforzare la nostra difesa e la nostra sicurezza». Una società più sicura è una società più felice?

SN: Una società sicura è una società che non ha nemici e, come dice Aristotele, non si può essere felici senza amici. Le logiche della sicurezza scaturiscono dalla presenza della guerra poiché la guerra mina alla sicurezza. Il riarmo è una forma di deterrenza, in linea con l’antico agire degli stati riassunto nel detto si vis pacem, para bellum. Però, bisogna poi vedere il come con cui si attua questa politica. A mio avviso, il cammino più saggio sarebbe quello di una moratoria sugli armamenti: controlli reciproci che portino al diminuimento, progressivo e congiunto, delle armi e non al loro aumento.

FR: La forza, come ha detto il Papa, sta prevalendo sul diritto: non contano i principi di umanità, ma solo chi ha più portaerei e più carrarmati, chi possiede l’atomica. Ha ragione Bauman che, citando Traverso, dice che l’Europa liberale e civilizzata è in realtà un laboratorio di violenza?

SN: Tutte le società sono laboratori di violenza, poiché la violenza attiene alla natura e all’aggressività umana ma violenza e aggressività vanno moderate. La pace, del resto, non è mai stata una risoluzione definitiva: a livello filologico, infatti, il suo significato è «capacità di stipulare patti». I patti reggono se in esso i contraenti vengono reciprocamente riconosciuti. Trovare questo equilibrio non è mai facile. Oggi, però, non esiste un tavolo di patteggiamento e le guerre prolificano. Spero che questo tavolo venga indetto al più presto.

FR: Putin, Zelens’kyj, Netanyahu, Merz, Trump: i loro visi sono spesso corrucciati e tesi, quasi lugubri. Secondo lei, è il ruolo che ricoprono che esige queste espressioni o sono delle persone infelici?

SN: Sono tutt’altro che delle persone lugubri; dagli atteggiamenti, direi piuttosto che sono degli attori: Trump è un clown, Merz è un classico conservatore tedesco, Putin ostenta la sufficienza e la durezza di un imperatore: appare truce e soddisfatto e questo è tipico di chi crede si saperla lunga; Netanyahu è un avventuriero che sta approfittando di una situazione con un’avventatezza tale che sta andando a discapito del suo stesso popolo. Forse, quello veramente triste è Zelens’kyj: non sa più a chi rivolgersi. Certo, poi dipende molto dalla loro psicologia e dal grado di potere che possiedono.

FR: Lei si sente un uomo felice?

SN: Diciamo che, all’età in cui sono giunto, fra alti e bassi e nonostante tutto, ho guadagnato una sufficiente competenza a esistere tale da farmi star bene sulla terra.

Il festival continua giovedì 10 luglio con Umberto Galimberti (ore 21, piazza Garibaldi, Orzinuovi) e domenica 13 luglio con Andrea Bariselli (ore 10, castello dei Martinengo, Villagana); lunedì 14 luglio sarà la volta di Isabella Guanzini (ore 21, castello Gonzaga, Ostiano), mentre, giovedì 17 luglio, toccherà a David Le Breton (ore 21, castello Guaineri, Roncadelle); si prosegue venerdì 18 luglio con Franco Arminio (ore 21, azienda Le Vittorie, Villachiara) e, sempre con Franco Arminio, sabato 19 luglio (ore 10, via Madonna di Loreto 17, Torre Pallavicina); Duccio Demetrio sarà invece presente lunedì 21 luglio (ore 21, villa Morando, Lograto), seguito, martedì 22 luglio da Massimiliano Valerii (ore 21, chiesa di San Giorgio, Villa Pedergnano); a concludere, venerdì 25 luglio, Maria Rita Parsi (ore 21, lido Fontanì, Sarnico). Da ricordare, inoltre, le celebrazioni dei vent’anni del festival che si terranno alle ore 21 di venerdì 11 luglio, a Villachiara, presso l’azienda Le Vittorie. Per l’occasione, verrà proiettato un documentario: «Quando la filosofia diventa contagiosa: dal sogno alla realtà». In dialogo: Maria Rita Parsi e Francesca Nodari; fra gli ospiti, Lello Esposito.