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#aiutiamoDemetra. A Bergamo c’è un’azienda agricola che coltiva frutta e verdura usando solo acqua piovana

Articolo. A luglio vi abbiamo raccontato la storia di Demetra Organismo Agricolo. Una realtà bergamasca duramente colpita da un incendio a cui oggi vogliamo dare il nostro sostegno

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Tra lunedì 23 e martedì 24 gennaio, nell’area dell’azienda agricola Demetra di Bergamo (via Guerrazzi), è divampato un incendio. Sono andati distrutti lo spazio aziendale con la tettoia e la serra, un camioncino, un trattore, numerose attrezzature agricole, semi e prodotti. Con l’augurio che si faccia chiarezza sull’accaduto e sulle reali cause dell’incendio, condividiamo la raccolta fondi «Aiutiamo Demetra» che l’azienda ha lanciato in questi giorni sulla piattaforma GoFundMe e ripubblichiamo l’intervista che abbiamo fatto al titolare, Dario Teani, lo scorso luglio.


«Tutta la frutta e la verdura di nostra produzione è stata coltivata senza una sola goccia di acqua prelevata, ma soltanto con acqua piovana»: con questa comunicazione, a inizio luglio, in piena crisi da siccità, la piccola realtà bergamasca di Demetra Organismo Agricolo ha esposto la propria dichiarazione d’intenti.

«Abbiamo incontrato molta resistenza e molto scetticismo negli anni passati», mi racconta Dario Teani, il titolare. «Ci dicevano “Non avete dati”. Adesso, dopo cinque anni e innumerevoli sperimentazioni, i dati li abbiamo. E dimostrano che avevamo ragione». Quello di Demetra è una sorta di laboratorio a cielo aperto, dove le tecniche agricole sono sperimentate sul campo per valutarne l’efficacia e la sostenibilità. Ricorda Dario: «Quando abbiamo aperto l’attività, nel 2017, ci siamo proposti di cambiare l’ottica con cui si guardano i problemi dell’agricoltura. Ci eravamo accorti che il mercato agricolo cercava poco di cambiare la propria visione e i propri metodi per allinearsi agli obiettivi di sostenibilità. Così abbiamo deciso di andare in controtendenza e per anni abbiamo applicato sul campo diversi concetti teorici che potessero dare una scossa al paradigma corrente».

Dario si riferisce al passaggio dall’agricoltura intensiva – ovvero quel modello di coltivazione agricola adottato a livello internazionale a partire dalla metà del secolo scorso e presente in Italia soprattutto nella Pianura Padana, proiettato senza mezzi termini a massimizzare le rese di ogni coltura – all’agricoltura biologica, vale a dire un’agricoltura in cui non si utilizzano sostanze chimiche di sintesi, regolamentata da precisi standard normativi.

Più che definirsi secondo gli standard del «biologico», però, Demetra preferisce identificare il proprio metodo come un’agricoltura «ad alta naturalità», basata sul «sistema rigenerativo». L’agricoltura rigenerativa è un approccio che predilige pratiche che non si concentrano unicamente sui risultati in termini di raccolto e di qualità dei prodotti, ma anche di salute del suolo e dell’ecosistema, quali la rotazione delle colture, la copertura del suolo mediante i residui colturali, la riduzione o l’eliminazione dell’impatto meccanico sul terreno, l’assenza di prodotti chimici sintetici e l’utilizzo di fertilizzanti naturali.

Il terreno, nella realtà di Demetra, è visto come un «organismo agricolo: non un semplice substrato ma un organismo complesso, che come gli altri esseri viventi è composto da più parti in connessione tra loro». Per questo motivo, nei campi lasciano per esempio crescere erbe selvatiche e razzolare animali di ogni tipo: «l’idea è che quanto più un organismo è complesso, tanto più è resistente e presenta un alto grado di resilienza nei confronti di basse temperature, animali selvatici o insetti predatori».

Un’altra applicazione pratica di questo principio è che «nel terreno è compreso uno stagno, che toglie, sì, superficie coltivabile ma, essendo riempito da acqua corrente, attira specie viventi come rospi, libellule e ricci, tutti insettivori. Da due anni a questa parte abbiamo anche riportato le lucciole, ottimi indicatori biologici». Oppure che quando una parte della coltivazione è attaccata da afidi, gli agricoltori aspettano invece che intervenire subito. Gli afidi attirano le coccinelle, che se ne cibano: problema risolto.

Il tutto si basa su uno studio accurato del terreno e dei campi, eseguito ancora prima di iniziare, e su una progettazione fatta con il continuo supporto professionale di un agronomo. «Si osserva il territorio», spiega Dario, «e sulla base dei dati raccolti si cala la coltivazione nell’ambiente, cercando di avere il minore impatto possibile sulle risorse naturali».

Ciò ha permesso di mettere in campo quelle misure che, oggi, hanno portato Demetra a utilizzare solo acqua piovana e mai, se non in casi di estrema necessità, acqua prelevata dalla rete idrica. «Sono tecniche antiche, non abbiamo inventato niente di nuovo», ci tiene a precisare Dario, che poi spiega: «in sostanza copriamo la terra. La copertura abbassa di molto la temperatura sul terreno (almeno 5-6°C) e diminuisce l’evaporazione dell’acqua. Il terreno rimane umido nei primi strati, fondamentali per la vita, e le radici riescono ad autoregolarsi, affrontando con successo anche brevi periodi di siccità».

«Negli anni», continua, «abbiamo sperimentato diverse tecniche di copertura secondo il metodo agricolo rigenerativo e oggi preferiamo le coperture verdi: specie vegetali seminate o spontanee, che lasciamo diventare prevalenti senza considerarle infestanti. Usiamo anche paglia, lana, teli permeabili, tessuto non tessuto e piante fatte crescere, schiacciate e seccate sul posto».

Il ciclo di vita delle piante coltivate da Demetra ha inizio in vivaio, dove il seme viene allevato fino a farlo diventare una piantina. Successivamente, si aspetta che piova: quando succede, e quindi il terreno è umido, le piantine vengono trasferite in campo aperto. Fino a inizio luglio di quest’anno, il sistema di copertura ha permesso a Demetra di «portare avanti tutta la produzione senza utilizzo di acqua prelevata dalla rete idrica», grazie all’autonomia delle piante così coltivate che può arrivare fino a 20-25 giorni senza irrigazione.

Questa tecnica agricola ha l’importanza fondamentale di lanciare un messaggio di speranza in un periodo critico come quello corrente, in cui, nelle parole del Presidente della Lombardia Attilio Fontana , «purtroppo sta finendo l’acqua per l’agricoltura. I laghi Maggiore, Garda e di Como hanno riserve d’acqua che consentiranno l’utilizzo per le attività agricole ancora per qualche giorno, ma se non pioverà sarà difficile reperire risorse idriche per l’agricoltura».

L’agricoltura rigenerativa offre un’alternativa percorribile in caso di siccità, ma è anche benefica in termini di riduzione delle emissioni. Diverse ricerche accademiche sostengono che se l’agricoltura rigenerativa fosse applicata ovunque potrebbe fare fronte al 40% delle emissioni mondiali, senza contare la riforestazione e il passaggio a fonti energetiche alternative.

Questo sistema, in pieno spirito Demetra, è strettamente interconnesso con le altre tecniche agricole adottate. Come l’uso di compostaggio verde al posto del letame. «Per fertilizzare i campi», spiega Dario, «facciamo decomporre gli scarti organici da taglio di vegetali, che trituriamo e facciamo diventare compost. Coltiviamo inoltre piante specifiche, come le ortiche, al fine di ottenere principi attivi che ci permettano creare fertilizzanti fogliari naturali o repellenti per insetti che ci stanno dando dei problemi».

«Inoltre», continua, «cerchiamo il più possibile di non fresare né arare né destrutturare la terra ma di lavorare molto manualmente, permettendo così a microorganismi e organismi più grandi di ripopolare la superficie e i primi strati di terra e di scambiare interazioni con le piante. Il primo di questi organismi, fondamentale, è il lombrico, che crea l’humus, il migliore fertilizzante al mondo, che rende soffice e fertile la terra».

L’obiettivo finale di Demetra è che l’ecosistema così creato rimanga in un equilibrio dinamico, «perché non abbiamo tolto anelli della catena alimentare, non abbiamo tagliato piante secche dove si annidano calabroni e vespe: noi cerchiamo di aggiungere e non di togliere, che è quello che l’uomo fa solitamente con la propria attività».

I benefici possono potenzialmente diffondersi ben oltre la piccola realtà agricola. «Pensiamo che il settore agricolo debba essere l’aprifila per riportare la biodiversità, contrastando quello che l’arrivo dell’agroindustria ha portato. La natura è abbondanza: impariamo a favorirla».