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Cuori storti e lampade robot: gli oggetti “pazzi” di Ottobarradieci

Articolo. Raffaella Algani ha ereditato la galleria aperta dalla madre e l’ha trasformata in un microcosmo dedicato al design, all’artigianato e alle cose (incredibili) che scova nei suoi viaggi

Lettura 4 min.

La vetrina è affollata da farfalle di metallo, margherite, teli così floreali che viene voglia di camminarci sopra. In via S. Bernardino 8/10, la primavera è arrivata puntuale. Quanto resterà, è difficile dirlo. Perché Raffaella ogni tre settimane circa rivoluziona la vetrina, sposta mobili e oggetti, trasforma una scaffalatura in pedana e poi di nuovo in scaffalatura. Cambiare è l’esigenza del creativo.

Il negozio si chiama Ottobarradieci. Ed è uno spazio d’arte, design e artigianato dove scovare pezzi unici e forse un «poco strambi». A raccontarmene la storia è Raffaella Algani, 39 anni, un bambino di dieci anni di nome Giacomo (spesso protagonista delle Instagram stories di Ottobarradieci, con le sue bizzarre televendite) e una di due, Stella, che si aggira nel negozio in attesa – mi dice la mia interlocutrice – di poter combinare qualche danno. «Ho studiato legge perché mio padre è un avvocato, ma non era la mia strada. Mi sono iscritta a Milano a interpretariato e comunicazione, sono stata a Malaga e a Madrid, per poi trovare un posto come tutor a un corso allo IED di Barcellona in marketing e comunicazione di moda. Poi sono rimasta incinta del mio compagno bergamasco».

Tale madre, tale figlia

Quando Raffaella fa ritorno a casa, Ottobarradieci c’è già. Lo ha aperto nel 2006 la mamma, che si chiama Wilda: «si pensa che sia un errore all’anagrafe, ma in realtà è proprio il nome che fa per lei… è veramente “wild”». Mi metto a ridere, mentre la figlia descrive la madre. «Voleva aprire un posto dove vendere pezzi di design di artisti emergenti, principalmente perché lei li collezionava in casa. Ha riempito casa sua, casa di noi tre figlie, lo studio di papà, tre garage… e poi ha detto “O smetto di comprare oggetti o apro un negozio”. L’ha pensato anche per me, dato che l’ho sempre seguita in questa sua passione, tramortita per mercatini a ogni età e temperatura».

All’inizio, più che un negozio, Ottobarradieci è una galleria, fatta di «pochi pezzi, tutti fuori di testa». Quando Raffaella lo prende in gestione, lo trasforma a modo suo: «l’idea comune era che fosse uno spazio inavvicinabile, anche per quanto riguardava i prezzi e che fosse tutto troppo strano per Bergamo. Allora ho pensato alla gente della mia età che mette su casa e magari non può prendersi una poltrona da seimila euro».

Ottobarradieci diventa quindi, a poco a poco, un contenitore di oggetti d’arte, design e artigianato dal prezzo più accessibile. Un luogo dove «il fatto a mano» è in realtà un fatto “a tante mani”. Raffaella non va d’accordo con la manualità, mi confida subito. Preferisce andarla a cercare: «Viaggio tantissimo, mi piace conoscere gli artisti e scovare cose particolari, sui social (meno male che hanno inventato Instagram!), nelle fiere e nei mercatini. È molto bello quando ti aggiri per le fiere e trovi piccoli stand di gente piena di entusiasmo. A volte, ci sono oggetti che conquistano». Curiosando tra gli stand di un mercatino, Raffaella ha trovato di recente un vecchio baule color legno. L’ha fatto poi ridipingere da un’amica artista, scegliendo il color verde acqua, quello «degli autobus in Senegal».

E poi ancora, navigando su Instagram, Raffaella si è imbattuta in una serie di pesci realizzati da un artista di Venezia, Massimo Marchiori . Pesci fatti con materiali da recupero, trovati sulle spiagge: bottiglie, reti, spazzole, pezzi di un mocio, contenitori di detersivo, scatole, scarpe. «Ho conosciuto l’artista di persona al Fuorisalone di Milano. Me ne sono innamorata».

Risorsa d’eccezione, per Raffaella, è ancora una volta la mamma. Wilda ha cucito a mano alcuni degli abiti che la figlia ha esposto in negozio. Sua è anche la sagoma cartonata della regina Elisabetta («un po’ abusiva, ma la regina non lo sa») che ha fatto incetta di like sui social di Ottobarradieci. «Prima del Covid mia mamma viaggiava molto… le piace andare per mercatini e portarmi oggetti d’artigianato locale, come le collane. Anche io ho viaggiato molto insieme a lei. Abbiamo trovato cose meravigliose a Dakar, in Senegal, e poi in Kenya».

Romanticismo ed ironia

Tra gli oggetti preferiti dalla mia interlocutrice ci sono dei cuori in legno, che lei chiama “cuori storti”. Pezzi unici, come il cuore umano. Imperfetti, a tratti taglienti, a volte fragili. «È iniziato tutto da una spilla, poi mi sono detta “sarebbe bello avere dei cuori da appendere!”. Ho contattato due artigiani di Latina che fanno come primo lavoro le vetrate artistiche per le Chiese e li hanno realizzati».

Tra gli habitué di Ottobarradieci, ci sono due tipi di persone. I romantici e gli ironici. Comprano spesso cuscini ricamati a mano, da regalare alla persona che amano e/o che vogliono prendere in giro. «Il cuscino più venduto ai romantici è stato quello con la scritta “Non portarci chiunque a vedere il mare”, quello degli ironici è stato “In amor vince chi frigge”», mi racconta Raffaella. Appeso al muro, un quadretto con una frase che un compagno del liceo di Raffaella rivolse ai tempi alla fidanzata: «le ha detto “sei il gin nel mio Negroni” e lei a caldo ha risposto “senza di me sei solo un americano”». Se ve lo state chiedendo, poi si sono lasciati.

Ordine e disordine

Tra le parole di Raffaella è facile perdersi. Come è facile perdersi tra i mille accessori che popolano il negozio. Lampade “pop” e lampade “robotiche”, papaveri in metallo, farfalle realizzate con bidoni recuperati. «Di solito ad agosto, pennello alla mano, cambio il colore delle pareti del mio piccolo spazio esterno. Ho in cantiere un progetto: tornare ad avere il pavimento bianco perché il grigio mi mette angoscia. Stavo progettando anche, insieme a un’amica architetto, di realizzare delle zone separate con delle pareti mobili da poter colorare e creare delle situazioni, come dei set cinematografici».

Nonostante l’eccentricità degli accessori esposti, l’impressione che si ha camminando nel negozio non è quella di un ambiente caotico, ma di uno spazio estremamente curato. Ne intuisco subito il motivo: con l’arte, il design, il «fatto a mano», ci devi lavorare. Non puoi permetterti di confondere il cliente. «Ho investito tempo e risorse nella cura del mio profilo Instagram», sottolinea Raffaella. «Ho fatto dei corsi e ho strutturato la pagina in modo che una colonna abbia l’abbigliamento e le collane, la colonna centrale sia dedicata all’oggettistica… Avendo già cose tutte molto diverse l’una dall’altra, se non mantengo un po’ di ordine almeno sul mio profilo, do un’impressione sbagliata!».

Chiedo a Raffaella quale sia la cosa che più le piace del lavoro che fa. Non ha dubbi: «andare a cercare gli oggetti, interagire con gli artisti, perché ormai il negozio ha una nomea e in molti vengono qua a propormi le loro cose. Questo mi esalta: quando la gente ti riconoscere vuol dire che ce l’hai fatta. Sono principalmente artisti emergenti, l’unica componente di design industriale che tengo in questo spazio è marcata Seletti, perché piace molto e attira in negozio anche chi magari non ci entrerebbe. Cerco però sempre di mettere le cose più particolari di Seletti, non tutto, perché non voglio che questo diventi un posto omologato». L’handmade «pazzo» , insomma, deve continuare a colorare i tappeti, i mobili, le pareti.

Mi tolgo un ultimo sfizio, prima di salutare Raffaella. Vorrei sapere se casa sua è un po’ come il negozio. «Sì, anche casa mia è così, piena zeppa di oggetti strambi che mi ha lasciato mamma... Quando vivevo con lei, capitava di chiamare l’imbianchino per ridipingere le pareti. Scattavamo una marea di foto, 7 rullini da 36 – mi ricordo bene! – per riuscire poi a rimettere tutto sui muri com’era prima. Ho sempre detto: “voglio una casa minimal”, ma alla fine…».

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