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#bestof2022: A piedi nella valle azzurra di Valzurio

Articolo. In Valle Seriana, sopra l’abitato di Villa d’Ogna, si cela un piccolo paradiso: la Valzurio. Il nome «Valzurio» deriva da valle azzurra per via gli splendidi riflessi turchesi che l’acqua del torrente Ogna genera scivolando sulle bianche rocce calcaree che fanno da contorno alla Presolana

Lettura 6 min.
Il borgo di Valzurio

Raggiunto l’abitato di Nasolino (frazione di Oltressenda Alta), una strada asfaltata piuttosto stretta si addentra negli aspri e rocciosi meandri scavati dal torrente per condurci nel borgo di Valzurio. Qui la vallata si amplia ed inizia a svelare tutta la sua amenità. La bella chiesetta di Santa Margherita (XVI secolo) introduce al borgo che ha mantenuto il fascino di un tempo grazie ad una sapiente opera di conservazione delle dimore rurali. La maggior parte degli escursionisti oltrepassa rapidamente la borgata per raggiungere la località Spinelli ove un ampio posteggio a pagamento consente la sosta dei veicoli. Quest’oggi scegliamo di seguire un itinerario alternativo per catturare scorci inusuali della Valle Azzurra.

Ci rechiamo presso la fontana della contrada recentemente ristrutturata e abbellita da coloratissime fioriere. Come numerose fontane dei nostri villaggi di montagna, anche questa conserva le due caratteristiche vasche d’acqua: quella più vicina alla sorgente era riservata all’abbeverata del bestiame, l’altra, che riceve l’acqua dalla prima, veniva utilizzata come lavatoio! Un cartello ammonisce che l’acqua non è controllata. Memore che alcuni anni fa non esisteva alcun impedimento, chiedo lumi a un signore del posto. Sussurrando a voce bassa ci suggerisce di rifornirci d’acqua dalla bocca più grossa (e antica) delle due che alimentano la fontana. Ci fidiamo e posso confermare che, a distanza di giorni, nessun effetto collaterale ci ha colpiti.

A vivacizzare il cammino quest’oggi è Marialuisa, giovanissima poliedrica autrice di Eppen e grande appassionata di cammini. Partiamo proprio dalla chiesa di Valzurio (815m), alle cui spalle inizia una strada cementata che conduce alla località colle Palazzo. Il tracciato si addentra presto nel bosco risalendo con estrema decisione i pendii meridionali della valle. Si guadagna quota velocemente mentre sul lato opposto si iniziano a intravedere i pascoli del monte Blum (vedi itinerario del 18/3). Le vivaci chiacchiere con Marialuisa ci distraggono dalla fatica e in poche decine di minuti sbuchiamo dal bosco in prossimità dei primi pascoli della località colle Palazzo (1300m circa). Dolci pendii pratosi costellati da baite molto curate e boschetti rigogliosi ricoprono le numerose doline carsiche tipiche della zona. I panorami divengono ancor più intriganti se guardiamo il monte Timogno a Nord, l’ampia testata della Valzurio dominata dal monte Ferrante a NordEst e, verso Est, l’elegantissima mole della Presolana.

L’atmosfera idilliaca del luogo contrasta duramente con la crudezza di un episodio avvenuto nel corso del secondo conflitto mondiale, quando questi luoghi venivano largamente percorsi dai partigiani che si muovevano lungo la valle Seriana utilizzando le valli laterali per evitare il fondovalle, sorvegliato dalle truppe nazifasciste. Una quarantina di partigiani della brigata GL «Gabriele Camozzi» scelse di fare base in Valzurio. All’alba del 14 luglio del 1944 – dopo che alcuni partigiani di questa brigata nei giorni precedenti erano riusciti ad impossessarsi di armi e munizioni con un’incursione in quel di Gromo – le SS tedesche e un reparto di soldati fascisti raggiunsero il paese per effettuare dei rastrellamenti. Dopo un violento scontro a fuoco alle porte del paese, i partigiani decisero di disperdersi ripiegando sulle alture di Colle Palazzo per evitare che gli scontri armati si trasferissero alle case di Valzurio, abitate da numerosi civili inermi. Per un errore di percorso ai soldati nazifascisti non riuscì di risalire a Colle Palazzo da Ardesio per completare l’accerchiamento, sicché i partigiani scamparono il pericolo. I soldati tedeschi, per vendetta, saccheggiarono il paese accanendosi sulla popolazione civile e, prima di ritirarsi, incendiarono tutto il paese. Anche Villa d’Ogna subì, nei giorni successivi, ripetute rappresaglie e pianse vittime civili.

La strada si muove ora docile tra una pozza d’acqua e alcune belle baite. Poco più in basso, alla nostra destra, spicca un nucleo di case con una graziosa piccola chiesa. Giungiamo allo scollinamento con la valle formata dal torrente Rino, dove intercettiamo il sentiero CAI n°311 che proviene dal rifugio Albani e scende verso Ardesio. Lo seguiamo a ritroso in direzione delle baite del Möschel. Dopo pochi metri notiamo un cartello di legno che indica la deviazione per la chiesetta di San Giacomo Apostolo. Avendola ammirata dall’alto non esitiamo a svoltare e, in un attimo, ai margini del bosco ecco comparire la chiesa.

Un amabile esempio di architettura sacra rurale immerso nel verde dei pascoli. Nella parete di fondo, sopra il piccolo altare, c’è un pregevole affresco a mezzaluna, recentemente restaurato, rappresentante la «Vergine con il bambino in fasce sulle ginocchia». Si pensa sia l’affresco più antico della zona poiché risale al 1482. Ci sediamo all’ombra di un maestoso frassino a gustare la frescura mentre ci rifocilliamo un poco. Di fronte all’ingresso della chiesa sorge una dimora possente che alcuni identificano con il palazzo che ha dato il nome alla località. La leggenda vuole invece che il vero palazzo, molto più grande e alto, sia stato inghiottito nelle viscere infernali a punizione divina dei peccati di lussuria perpetrati dagli abitanti del loco. In effetti alle spalle della chiesetta si apre una dolina molto grande che incute un certo timore, oggi come allora! Fino a pochi decenni fa ai bambini si raccomandava di non scendere al suo interno altrimenti avrebbero incontrato il diavolo!

Risaliamo a intercettare il sentiero n° 311 che, abbandonati i pascoli di colle Palazzo, procede pianeggiante a mezza costa nel bosco regalando, di tanto in tanto, mirabili scorci sulla vallata. In mezzoretta raggiungiamo le baite del Möschel (1265m). Siamo in un maestoso ed affascinante anfiteatro naturale fatto di prati, boschi, sorgenti d’acqua, stalle e fienili. Questa località era rinomata non solo per la qualità del foraggio dei pascoli ma anche perché qui avveniva la cernita della barite, minerale utilizzato in miscela al cemento ma altresì noto per la caratteristica fluorescenza. La barite proveniva dalle miniere poste ai piedi del monte Ferrante e della Presolana.

La solitudine del percorso fin qui seguito svanisce e ci troviamo a condividere il cammino con numerosi escursionisti saliti dalla località Spinelli lungo la comoda strada forestale. Poco oltre le baite si giunge a un guado dove un ponticello di ferro ornato con alcuni vasi di fiori consente di non bagnarsi i piedi. Addentrandosi nella pineta e risalendo il corso del torrente Ogna, si arriva in breve alle Marmitte dei Giganti. Si tratta di pozze circolari scavate nella roccia per erosione dalle impetuose acque di scioglimento dei ghiacciai che un tempo ricoprivano la vallata. L’acqua assume colorazioni turchesi che catturano lo sguardo. In piena estate queste vasche naturali si affollano di bagnanti che occupano “gelosamente” gli angusti bordi rocciosi delle pozze. Posso garantire che tuffarsi in quelle gelide acque non è da tutti!

Prima di rientrare a Valzurio decidiamo di dare un’occhiata complessiva alla zona. Così abbandoniamo la strada principale e ci dirigiamo verso i prati della sponda orografica sinistra della valle. Ben presto raggiungiamo una serie di baite, una più bella dell’altra. Nei pressi di una stalla incontriamo Massimo, pastore di Valzurio, intento a seguire le mucche al pascolo. Lo sguardo solare e la barba folta trasmettono subito simpatia. Le mani possenti e carnose trattengono ancora il bianco del latte appena lavorato. Con Massimo scambiamo due parole e, dopo averci rivelato alcune curiosità sulla vita in Valzurio, ci conferma che la prolungata siccità di quest’annata ha ridotto la quantità di foraggio nei pascoli. Di fronte alla nostra richiesta di assaggiare i suoi prodotti caseari suggerisce di rivolgerci all’ostello di Valzurio. Mai stimolo migliore per farci procedere verso valle a passo spedito!

Per il rientro seguiamo il sentiero CAI n° 340, valida alternativa alla frequentata strada forestale. Mentre camminiamo Marialuisa ci fa notare come in alcuni tratti si avverta un’insolita frescura a contrasto con le torride temperature di quest’estate. Subito mi torna alla mente che questa conca viene anche chiamata «valle dei brividi» per via della presenza di fessure tra le rocce da cui fuoriesce aria fredda. Sono fenomeni carsici che l’uomo ha sfruttato sapientemente: percorrendo la strada forestale, a poca distanza dalle baite del Möschel, si trova il famoso Selter del Ruì. È un casello di pietra costruito in corrispondenza di una bocca da cui fuoriesce aria fredda, una sorta “frigorifero naturale” per la conservazione del burro, dei latticini e della carne prodotti un tempo negli alpeggi della Valzurio. Nell’edificio, datato 1841 e recentemente restaurato, la temperatura rimane costante tra 3 e 4 gradi tutto l’anno.

Raggiunta la frazione Spinelli (970m) scendiamo a Valzurio lungo la strada asfaltata. La campana dell’una ha già suonato da parecchio e ci rechiamo frettolosamente presso la Baita Valle Azzurra (ostello e trattoria). Entro per chiedere se siamo ancora in orario per gustare qualche specialità e, con somma sorpresa, ad accoglierci è il mitico «Falco» Paolo Savoldelli, campione di ciclismo dei primi anni del Duemila. Serviti al tavolo dal Falco, che onore! Giovanni non resiste alla tentazione di chiedergli se fosse vero che si buttava in discesa per la valle Borlezza senza mai toccare i freni… ed ecco con un sorriso la conferma di un mito.
Sorridiamo pure noi mentre assaggiamo gli ottimi piatti preparati da Anna e gli squisiti formaggi di Massimo, il pastore del Möschel. E sorseggiando il caffè, ripensiamo alle curve della val Borlezza sulle note di «Falco Saoldèl», storico brano del Bepi.

P.S. l’escursione qui descritta (comprese le deviazioni per la chiesetta di San Giacomo e le marmitte dei giganti) è lunga 16km con 800m di dislivello positivo (calcolare circa 5 ore di cammino).

(tutte le foto sono di Camillo Fumagalli tranne dove diversamente indicato)

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