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Alla scoperta della “roccia bianca” di Cornalba

Articolo. Torniamo, a distanza di un anno, in val Serina, per proporre un itinerario dai grandi risvolti storici, naturalistici e… sportivi. Fulcro dell’escursione è la maestosa falesia calcarea che domina l’abitato di Cornalba

Lettura 6 min.
Nei pressi della Casera de süra

Da sempre, la parete ha caratterizzato il paesaggio, determinandone la toponomastica fin dal I secolo a.C.: in latino «cornus» significa roccia e «albus» identifica il colore bianco, quindi «roccia bianca». All’epoca fu proprio il poeta Virgilio, che, in un suo viaggio in queste terre, rimase affascinato dalla bellezza selvaggia del luogo al punto da venerarla come dimora degli dei. Come dargli torto? Eccola emergere luminosa ed elegante dall’oscurità del bosco per proiettarsi con energica tensione verso il cielo. Per ammirarla bisogna osservarla dal basso camminando per le vie del paese con la testa all’insù in una giornata di sole.

Lasciamo l’auto presso il posteggio del cimitero (875m) e percorriamo la via centrale del paese come facevano un tempo i viandanti della via Mercatorum. Superata una fontana di acqua sorgiva, che in questo periodo siccitoso pare molto in sofferenza, prendiamo una scaletta sulla sinistra che ci immette sul sentiero CAI n° 503. Si risale passando tra alcune case per imboccare una strada sterrata che si addentra nel bosco fino ad una cappelletta eretta in memoria di Don Francesco Zambelli, morto nel 1850. La devozione a «Prèt Zambel», come veniva affettuosamente chiamato dai parrocchiani, è da attribuire alla forza della fede grazie a cui salvò moltissime partorienti che versavano in gravi condizioni. Ancora oggi, a distanza di più di centocinquant’anni dalla sua morte, molte donne si recano alla cappelletta a lui dedicata per chiedere la sua protezione durante il parto.

Procediamo lungo la strada sterrata fino ad incontrare, sulla sinistra, la deviazione sentieristica per il monte Alben e l’omonimo rifugio. La cartellonistica riporta anche i segnavia di legno relativi al sentiero partigiano «Martiri di Cornalba», che ci accompagneranno per buona parte dell’escursione. Cornalba è dolorosamente legata ai tragici eventi della Resistenza bergamasca: il 25 novembre 1944 e il successivo 1° dicembre queste zone furono teatro di due operazioni di rastrellamento fascista nei confronti dei partigiani della Brigata XXIV maggio. Una mitragliatrice fu addirittura posizionata sul campanile della chiesa per colpire i partigiani in fuga verso il monte Alben. Furono trucidati 15 giovani e ancor oggi la popolazione ne porta un indelebile ricordo.

Il sentiero risale a tornanti la val d’Ola attraversando ripetutamente il letto del torrente in secca. Man mano che si guadagna quota, il bosco di carpini lascia il posto ai faggi e infine alle conifere. Fortunatamente Marialuisa sfodera numerosi argomenti di discussione cosicché la nostra mente è distratta dalla monotonia del percorso. È necessaria un’ora di salita continua per sbucare nella conca pascoliva ai piedi del monte Alben. Raggiungiamo dapprima la Casera de sòta (1496m) e poi, risalendo i prati, la Casera de süra (1568m). La vista si apre meravigliosamente sull’ampio anfiteatro naturale: pascoli rigogliosi sovrastati da massi sparsi, roccette e rarissimi alberi dolcemente abbracciati dalla cima frastagliata dell’Alben (ad est), dal passo della Forca (a nord) e dalle cime della Croce e della Spada (più ad ovest).

Propongo una breve deviazione per raggiungere il nuovissimo rifugio monte Alben (1630m), inaugurato nel luglio del 2022. Camminiamo tra splendide fioriture di erica selvatica ed eroiche chiazze di neve che resistono alla congiura della siccità. Il rifugio è stato realizzato ristrutturando la vecchia baita Piazzoli grazie all’iniziativa dell’Associazione La Cordillera e al supporto del comune di Cornalba. Nasce dalla volontà di creare una struttura ricettiva solidale ed eco-sostenibile che possa diventare un punto di riferimento per i giovani e gli amanti della montagna. Il rifugio è gestito dai volontari dell’associazione e i ricavi sono interamente devoluti a sostegno dei progetti associativi nel cuore delle Ande. In questo pomeriggio di inizio primavera il rifugio è chiuso. Ci ripromettiamo di tornare quassù in occasione dell’apertura stagionale.

Con un percorso attorno la placida conca che accoglie il rifugio, torniamo presso la Casera de süra. Qui riprendiamo il sentiero CAI n° 503, che ora procede in relax assoluto attraverso boschetti e radure con belle pozze d’abbeverata. Superata la cappelletta di S. Rocco entriamo nella suggestiva valletta pianeggiante di Foppalunga, dove la neve si è ancora ben conservata. Proseguiamo in direzione ovest abbassandoci di quota fino ad una piccola conca con una pozza d’acqua ghiacciata. Poco prima della pozza suggerisco la deviazione a sinistra per cima Cornetti. Il sentiero è male indicato, ma la traccia è visibile e ben percorribile.

Il sentiero raggiunge una sella ai limiti del bosco, si insinua tra guglie e roccette per giungere nei pressi di un grande capanno. Sorge in posizione solitaria, riparato dalle rocce e immerso in un bosco di faggi, una vera sorpresa. È anche dotato di un’ingegnosa toilette decisamente aerea! Sembra il luogo ideale per dedicarsi all’ascetismo, magari in compagnia di un bel libro come suggerisce Marialuisa. Scendiamo lungo il crinale oltre il capanno e in un attimo siamo al cospetto della croce di cima Cornetti.

Cima Cornetti non è una vera e propria vetta, bensì un balcone panoramico a strapiombo sopra Cornalba, su cui è stata innalzata la croce dedicata ai fratelli partigiani Pietro e Gino Cornetti, giovanissimi boscaioli cornalbesi trucidati in quel tragico 25 Novembre 1944. La vista è strepitosa su Cornalba, sulla val Serina e sulle Orobie prossime alla pianura. Vicino alla croce notiamo uno stranissimo tubo metallico, a guisa di cannone, con tanto di sportello posteriore, puntato sulla vallata. Ipotizziamo possa rappresentare uno strumento per i fuochi d’artificio, ma la curiosità stuzzica non poco la nostra fantasia.

Il tempo di addentare un panino e ripartiamo tornando sui nostri passi fino a riprendere il sentiero 503.

Superiamo la pozza d’acqua ghiacciata e, poco dopo, ignorando la deviazione sulla destra per Serina (sentiero n° 502), proseguiamo il cammino in direzione di Cornalba. Suggerisco un’altra brevissima deviazione nella suggestiva conca sottostante per raggiungere la baita Cascinetto (1435m), luogo particolarmente ameno ma tristemente ricordato perché teatro del secondo rastrellamento fascista nella zona (1° dicembre 1944). La baita era utilizzata dai partigiani come magazzino di viveri ed armi. Una targa ricorda che qui persero la vita un ragazzetto diciassettenne di Calvenzano e tre soldati russi che, fuggiti dalle prigioni naziste, si erano uniti alla lotta partigiana.

In questa suggestiva cornice di collinette boscose e conche pascolive è molto divertente procedere camminando tra i numerosi pinnacoli rocciosi sparsi nel prato. Con un piccolo giro ad anello, torniamo a recuperare il sentiero n° 503 all’altezza di una sella che si affaccia sul versante montuoso rivolto verso Cornalba. Scendiamo lungo un docile avvallamento, tra bosco e prato, nel cui centro corre il tracciato fino ad un bivio: l’itinerario partigiano scende ripido a destra nella fitta selva mentre noi ci manteniamo sul sentiero n° 503 che in questo tratto guadagna l’attributo «panoramico».

Ci si muove a mezza costa transitando proprio sopra la Corna Bianca. Il fruscio delle foglie secche accompagna i nostri passi mentre lo sguardo viene attirato da interessanti scorci sulla vallata. Una decina di minuti e giungiamo nei pressi di un cartello di legno che indica il percorso per la palestra di roccia. Suggerisco questa variante per godere da vicino lo spettacolo della falesia (promettendo anche la probabilità di ammirare i climber impegnati nelle adrenaliniche vie di arrampicata che risalgono la parete rocciosa).

Il sentiero scende ripido a tornantini nel bosco fino a lambire il margine orientale della falesia, in cui già si notano i numerosi “spit” delle vie, ma di climber nemmeno l’ombra. Fortunatamente, girando sul versante meridionale della falesia troviamo una coppia di arrampicatori impegnati nel settore «Apache». È sempre divertente leggere i nomi delle vie di arrampicata perché sono frutto di un connubio tra fantasia ed emozioni dei primi salitori: si passa dal fascino delle costellazioni («Alpha Centauri», «Antares», «Orion») ai personaggi mitologici («Artemide, «Apollo, «Zeus»), dalle suggestioni emozionali («Settimo senso», «Onde gravitazionali», «Figli del vento») fino alla sfera umoristica («Artrosi», «Svalutation», «Fa balà l’òcc» e «Gina la suina»). La falesia di Cornalba vanta più di cento vie, la maggior parte delle quali con gradi di difficoltà molto elevati tali da richiamare climber da tutto il mondo.

Giuseppe rimane meravigliato nell’osservare la plasticità e la forza, ma anche la determinazione e la tranquillità, con cui il rocciatore affronta, uno dopo l’altro, i delicati passaggi della via.

Rimane ancora un breve tratto di discesa per tornare a Cornalba, che percorriamo volgendoci ripetutamente all’indietro ad ammirare la falesia. Da qui, risulta ancora più suggestiva ed imponente. Secondo Chiara, la sua forma slanciata e strapiombante richiama addirittura il fungo atomico di Hiroshima.

Un languorino ci coglie d’improvviso e decidiamo di riparare presso il bar ristorante Stella, l’unico presente in paese. Mentre ci accomodiamo, scambiamo due parole con il titolare, che conferma di aver recentemente rilevato il locale nell’ottica di un rilancio della ristorazione del territorio. L’ora pomeridiana non consente l’assaggio dei piatti, ma in cucina si nota già un certo movimento. Ad allietare i nostri palati, ecco un generoso tagliere di salumi e formaggi nostrani accompagnati da un ottimo calice di Inferno.

Mentre degustiamo, chiedo al titolare informazioni relative al “cannone” da noi notato presso cima Cornetti. Non essendo nativo di Cornalba, non riesce a soddisfare la nostra curiosità. Qualche minuto più tardi dalla cucina compare il local chef: giovane, dagli occhi vivaci e dai capelli ricci, si presenta in rigorosa divisa nera e ci racconta che quel cannone serve per esplodere colpi con il carburo. Una ventata di novità per le nostre conoscenze, che si fermano al carburo anticamente utilizzato dai minatori per alimentare le lampade! E lo chef sciorina una meticolosa descrizione delle procedure che portano al botto tramite la combustione sotto pressione del carburo. La competenza in materia lascia intendere un’adolescenza ricca di variegate esperienze pirotecniche… Scopriamo anche che è piuttosto complicato procurarsi il carburo e che l’uso del cannone di cima Cornetti non è legato ad una particolare ricorrenza, ma all’iniziativa spontanea individuale.

Molto divertiti e ben rifocillati ci congediamo con la promessa di fare ritorno per assaggiare i «nosecc» che lo chef aveva preparato in previsione della cena del sabato sera ma che a mezzogiorno erano già stati spazzolati dai clienti. A presto!

P.S. L’escursione qui proposta (con le relative deviazioni) è lunga circa 12km con 900m di dislivello positivo. Calcolare quattro ore e mezza di cammino. Non c’è possibilità di rifornirsi d’acqua lungo il percorso.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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