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Il giro delle Podone, la corsa in montagna che non passa mai di moda

Articolo. Per l’escursione di quest’oggi prendo spunto da un grande classico degli anni Sessanta: il «Trofeo Leone Pellicioli», successivamente diventato il giro delle Podone. Parliamo degli albori delle corse in montagna, quando era l’Oratorio David di Nembro che organizzava la gara per aggregare gli appassionati e il parroco procurava le scarpe da ginnastica per permettere anche ai tanti nembresi che non avevano mezzi a disposizione di partecipare

Lettura 6 min.
Il borgo di Salmezza in veste autunnale

La competizione, che potremmo definire antesignana dei moderni trail-running, si snodava su un percorso particolarmente tecnico e decisamente più lungo rispetto alle altre gare in calendario. Per questo motivo, verso la fine degli anni Ottanta non venne più organizzata ed è caduta nell’oblio agonistico. Non è stato così per gli appassionati nembresi che, su quello storico percorso, continuano a cimentarsi sempre numerosi. In effetti, è un itinerario che tocca le cime a loro più care (Valtrusa e Podone), offrendo panorami molto suggestivi e spunti storici di grande interesse. Nel 2017 il prestigioso gruppo alpinistico G.A.N. di Nembro ha deciso di ridare vita alla storica competizione nella nuova veste del «Podone Skytrail» .

Attraversiamo il centro storico di Nembro fino a piazza Matteotti dove risaliamo per via Talpino superando la chiesetta degli alpini e, poco oltre, il monumento ai caduti nembresi della montagna. Proprio qui inizia il sentiero CAI n° 534A. Nel periodo autunnale, il monumento è adornato da un piccolo acero con le foglie di un vivacissimo rosso carminio che allieta l’animo. La mulattiera risale nel bosco fino ad intercettare la strada asfaltata per Selvino. La seguiamo per un brevissimo tratto e imbocchiamo la deviazione per il Ristorante Il Piajo.

In corrispondenza del ristorante si stacca sulla destra il sentiero diretto al monte Valtrusa. «Valtrosa» è l’antico nome del monte Valtrusa, come cita Bartolomeo Vitalba nel 1477. Sapendo che il termine tròsa in dialetto bergamasco identifica il filare di vite, tutto lascia intendere che anticamente questi pendii rivolti a mezzogiorno fossero ricoperti da vigneti. Ora solo boscaglia con vegetazione bassa, fitta e cespugliosa caratterizza questo versante.

Con qualche sbuffo si percorrono gli erti tornanti fino ad incrociare la strada asfaltata per Lonno. La si attraversa e si prosegue sempre su pendenze “allenanti” fino a raggiungere la dorsale est del monte Valtrusa. Mentre risaliamo per il sentiero, racconto dei grandi alpinisti di Nembro, della profonda cultura della montagna di questa popolazione, nonché della loro naturale attitudine fisica alla fatica. Cito i nomi di Leone Pellicioli, Carlo Nembrini, Marco e Sergio Dalla Longa. Non ho ancora terminato il racconto, che un’arzilla signora di oltre settant’anni ci supera in discesa saltellando da un sasso all’altro come una ragazzina, utilizzando i bastoncini con una maestria non comune… buon sangue non mente!

In questo tratto si inizia a respirare e a godere di un bosco che, ad ogni passo, diviene sempre più elegante e nobile, sfoggiando bellissimi esemplari di castagno e di betulla. In un’oretta raggiungiamo l’imponente croce bianca del monte Valtrusa (890m) con vasto panorama sulla media valle Seriana e sulla pianura. Da qui si riesce anche a intravedere Bergamo Alta.

Proseguiamo lungo il crinale con direzione nord-est con percorso decisamente più dolce; si supera un roccolo, per poi piegare sul lato settentrionale dei Corni fino a giungere al Forcellino (860m), crocevia strategico dove si intercetta il sentiero CAI n° 535 che da Lonno conduce a Selvino. Ignoriamo tale tracciato e proseguiamo in salita su terreno sassoso piuttosto ostico fino alla croce dell’anticima del monte Podona (1183m). Sulle carte geografiche è riportata solo la cima del monte Podona (1227m), posta poco più a nord, ma la croce più grande si trova sull’anticima, probabilmente per la sua visibilità dalla pianura. I nembresi le chiamano le «Podone», al plurale, conferendo eguale dignità ad entrambe le vette. Dall’anticima si scende un breve tratto di cresta e si risale, con un cammino poco agevole tra i sassi del crinale, fino alla vera cima, contraddistinta da una minuscola croce. Da qui il panorama è più orientato verso le Orobie. Notiamo con curiosità la strada asfaltata che sale a Selvino: il suo tortuoso andamento la fa sembrare quasi una pista delle macchinine, come quelle che assemblavamo da bambini.

Una piacevole discesa lungo la dorsale nord ci conduce al sottostante borgo di Salmezza (1017m), frazione di Nembro adagiata in una splendida conca naturale tra il monte Podona e la Filaressa. Oggi quasi disabitato e dimenticato, un tempo il borgo era florido e percorso da traffici commerciali fin dall’epoca medievale. Salmezza, infatti, si trovava lungo la via Mercatorum che saliva da Nembro, passando per Lonno e, superata Salmezza, scollinava in val Serina. Questa importantissima via di comunicazione ha rappresentato motivo di prosperità per i borghi attraversati, tra cui Salmezza, nei quali i viandanti e i commercianti trovavano vitto e alloggio nelle diverse locande e osterie oltre a stazioni per il cambio dei cavalli e l’immancabile Dogana.

Lo storico Antonio Tiraboschi fa discendere la denomina¬zione di questo villaggio dal celtico salmesa, «casa della sorgente», composto da sai, «sorgente», e mes, «abitazione». Per altri studiosi, invece, il nome «Salmetia» è da collegare a depositi di sale presenti in questa località che servivano a soddisfare il fabbisogno di tale prezioso elemento delle valli Serina e Brembana. La via Mercatorum ha creato un forte legame tra Salmezza e Nembro tanto che tutt’oggi risulta frazione di Nembro nonostante la grande distanza stradale tra i due nuclei. Salmezza dista solo due km da Selvino, mentre sono necessari 13 km per raggiungere il capoluogo Nembro.

Il borgo ha dato i natali al famoso pittore Enea Salmeggia detto «Talpino» (1565/1560 – 1626). Leggermente controversa l’esatta dicitura del nome di questo artista in quanto alcuni lo chiamano Enea Talpino detto «Il Salmeggia» (una via di Nembro e l’Istituto Comprensivo di Nembro sono intitolati proprio ad Enea Talpino), mentre per altri il nome esatto è Enea Salmeggia detto «Talpino». A scongiurare ogni equivoco è la firma che compare sui suoi primi quadri: «Aeneas Salmetia Dictus / Talpinus Bergomate».

Il borgo è dominato dalla bella chiesetta di San Barnaba, da cui transitiamo prima di scendere alle case del paesello. La trattoria Merelli ben si presta per un’interessante sosta: rappresenta in toto la località, vi si possono gustare piatti tipici della tradizione bergamasca e lombarda all’interno di un contesto rustico e informale.

Per rientrare a Nembro seguiamo a ritroso il percorso della via Mercatorum in direzione di Lonno, lungo il sentiero CAI n° 534. Ci addentriamo nella val Formica attraversata dalla Nesa, il torrente famoso per le pozze di acqua cristallina che forma più a valle, meta rinomata di numerosi bagnanti nei mesi estivi. Il sentiero è molto scorrevole e in meno di un’ora di divertente discesa ci conduce a Lonno (702m). In corrispondenza della piazza di Lonno seguiamo il sentiero CAI n° 535 diretto a Nembro. Siamo sempre sulla via Mercatorum, che in questo tratto ha subito un’importante opera di restauro, che ha reso ampio e lastricato il sedime, e in taluni tratti persino illuminato.

Giunti in corrispondenza di un piccolo valico odiamo, soffusa, una musica soave attirare la nostra attenzione. Con immensa sorpresa notiamo numerose galline bianche razzolare nel bosco allietate da un sottofondo di musica classica. Su un ponticello di legno che sovrappassa la via Mercatorum alcune di loro si affacciano incuriosite dal nostro passaggio. Decidiamo di andare di persona a sincerarci di cosa si tratta. Saliamo sulla strada soprastante e suoniamo il campanello della società agricola «Le Selvagge». Ad accoglierci sono Marco, anima del progetto, insieme a Luca e Claudio, suoi soci. Il tempo di presentarci e subito siamo accolti nel quartier generale ricavato in una vecchia cascina attorno a cui è nata l’azienda. Mentre sorseggiamo un caffè, Luca ci spiega la filosofia de «Le Selvagge»: «Un pollaio sostenibile, spazioso e integrato nella natura circostante. Un ambiente in cui le galline vengono seguite passo passo per produrre uova fresche ad alto valore nutrizionale, libere da antibiotici e forzature, cariche di tutta la biodiversità dei nostri boschi». «E la musica?» domando divertito. «Per non far mancare mai nulla alle nostre Selvagge condiamo le loro giornate con la musica classica in filodiffusione!».

Scendiamo a vedere le galline: sono tantissime e si aggirano nel grande recinto immerso nel bosco. Sembrano tranquille, per nulla infastidite dalla nostra presenza. Con un pizzico di orgoglio Marco ci mostra il nuovissimo ponticello di legno realizzato per accedere all’altro tratto di bosco oltrepassando la via Mercatorum. Il ponte è frutto di un accurato progetto elaborato per non alterare gli equilibri storico-naturalistici legati alla importante via di comunicazione.

Spontanea giunge la mia domanda: «Cosa fate per scongiurare le minacce di volpi e faine?». «Ci sono i bergamaschi!» afferma Claudio mostrando tre splendidi esemplari di cane pastore bergamasco. In questo istante sono tranquilli accucciati a terra, ma basta l’odore di un incursore che si attivano a difesa delle galline.

Le uova appena deposte vengono avvolte nel fieno e confezionate in speciali contenitori di carta. Veniamo a sapere che la campionessa di sci Sofia Goggia è socia dell’azienda e che molti chef blasonati utilizzano queste uova nelle loro cucine. Una vera eccellenza imprenditoriale. Ci congediamo da Marco, Luca e Claudio con la sensazione di essere stati in compagnia di vecchi amici.

Riprendiamo il cammino e in pochi minuti raggiungiamo il santuario dello Zuccarello, cui i fedeli di Nembro e della valle sono molto devoti. Troviamo la chiesa chiusa, ma vale la pena affacciarsi sul sagrato per ammirare il bel colpo d’occhio sulla bassa valle Seriana e sulla pianura. Le origini del santuario risalgono al 1374 per volere del nobiluomo Berardo Vitalba che fece costruire una cappella a fianco del castello dei Vitalba. La cappella diventò chiesa nel XVI secolo ed impreziosita da pregevoli opere del Salmeggia e del Cavagna.

Alcune tribuline dei Misteri del Rosario, documentate nel 1738, ma probabilmente erette nella metà del ‘600, caratterizzano l’ultimo tratto della via Mercatorum prima tornare a Nembro.

P.S. L’itinerario qui descritto è lungo 15 km con un dislivello positivo di 1000 metri. Abbiamo impiegato circa quattro ore per completare il giro delle Podone. Impietoso il confronto con i campioni del passato che coprivano il tracciato in meno di novanta minuti!

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)