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Sul Monte di Nese. Quando Bergamo era adagiata sul fondo del mare

Articolo. Un itinerario di circa 8km, con una variante al percorso classico per il monte Costone e la Filaressa, alla scoperta della storia geologica della nostra provincia. Per chiunque voglia definirsi «paleontologo per passione»

Lettura 6 min.
A lezione di paleontologia

Ad accendermi la lampadina è stato un incontro casuale, al supermercato, con un amico sportivo di vecchia data di cui avevo perso le tracce. Si chiama Celeste Mora ma per tutti è il «Cina». Ricordo bene il suo interesse per i fossili e le montagne. Passo subito all’attacco: «sei ancora appassionato di fossili?», «Altroché!» risponde prontamente con gli occhi che si illuminano. «Mi piacerebbe fare un giro sotto la tua guida per conoscere questo mondo per me ancora inesplorato». Detto, fatto. Nel volgere di pochi giorni, ci ritroviamo a Monte di Nese (frazione di Alzano Lombardo) alla scoperta del mondo dei fossili. Cina ama definirsi «paleontologo per passione» ma conosce la storia geologica delle nostre Prealpi come un professionista: siamo in ottime mani!

Ci incamminiamo alle spalle della chiesa parrocchiale (800m) lungo il percorso CAI n° 531 che risale la ripida strada cementata in direzione della Forcella di Monte di Nese. Pochi minuti e transitiamo a fianco della chiesetta della Forcella, risalente al 1861. Stiamo procedendo lungo uno dei sentieri che anticamente le popolazioni di Olera e Monte di Nese utilizzavano per raggiungere Poscante (in valle Brembana) o per connettersi alla via Mercatorum. È interessante sapere che fino al 1925 Olera e al 1928 Monte di Nese facevano parte del comune di Poscante, a testimonianza degli stretti legami che esistevano tra valle Brembana e valle Seriana.

Alla Forcella (870m) pieghiamo a destra in direzione della Filaressa, sempre lungo il sentiero 531. Cina inizia a descrivere l’evoluzione geologica della zona con dovizia di particolari molto interessanti. Non sono uno specialista ma provo a sintetizzare: circa 220 milioni di anni fa, al di sotto del livello del mare, iniziava a formarsi il territorio prealpino. Il fondale marino era costituito in gran parte da rocce calcaree contenenti gusci di organismi marini. La presenza di calcari indica che il mare era poco profondo, limpido e caldo, caratteristica tipica delle zone tropicali. I movimenti della crosta terrestre generarono il sollevamento del fondale marino con la conseguente formazione delle montagne. Fossili di bivalve, gasteropodi e coralli caratterizzano gli affioramenti rocciosi di questa zona. L’effetto dei movimenti di orogenesi è testimoniato dalle pieghe geologiche (sinclinale/anticlinale) della Corna Rossa di Zogno, ben visibile dal percorso che stiamo seguendo.

La cementata, decisamente ripida, culmina in un pianoro dove alcune cascine, amabilmente ristrutturate, rendono il paesaggio degno di una cartolina. La strada diviene ora sentiero. Si attraversano pascoli disseminati di piccole rocce in un ambiente rurale d’altri tempi. Il percorso è delimitato dai recinti per il bestiame. Una poiana dispiega le ali in una dolce planata sopra le nostre teste.

Dopo aver lambito una pozza d’acqua in cui si notano numerosi grumi di uova di anfibio, giungiamo in una bella conca nei pressi di un piccolo valico (950m). Inizia il divertimento: osserviamo alcuni massi e Cina fa notare alcune minuscole concrezioni tipiche di microrganismi fossili. Cercando con attenzione, si scoprono anche piccole conchiglie con la caratteristica struttura tondeggiante. Quelle che ad occhi inesperti sembrano semplici incrostazioni in realtà sono fossili! Ci muoviamo sparpagliati, chini sul terreno, e come dei bimbi continuiamo a chiamare il Cina per chiedere conferma dei nostri ritrovamenti. Fabrizio rimane sorpreso dalla passione con cui osserva ogni roccia, come se ogni sasso fosse vivo. Poco dopo rimaniamo colpiti da una sua frase: «le rocce parlano e raccontano la storia del passato»… e Cina le sa ascoltare! Il desiderio di portare a casa qualche reperto è forte ma ci ammonisce rammentando che è proibito asportare rocce e fossili. Rinunciamo così al souvenir.

Improvvisamente lo vediamo mentre cerca di rompere un sasso scagliandolo a terra: con grande sorpresa notiamo che lo annusa … poco dopo ci porge un frammento: proviamo ad avvicinare il naso e un intenso odore di petrolio penetra le nostre narici! Secondo Mauro, amico ingegnere dall’olfatto fine, quell’odore richiama di più le alghe in decomposizione. Ispirato dalle circostanze, Mauro si spinge oltre descrivendo la tecnica del «fracking», cioè l’estrazione di petrolio dalla frantumazione di rocce attraverso perforazioni ed esplosioni nelle profondità del sottosuolo. Non si finisce mai di imparare!

Sbirciando qua e là, notiamo che anche i piccoli sassi lungo il sentiero sono ricchi di testimonianze fossili. Un senso di imbarazzo mi coglie al pensiero di tutte le volte che ho posato il piede su queste pietre senza mai rendermi conto che erano fossili. A questo punto, Cina chiede di sederci nel prato in corrispondenza del piccolo valico. Inizia un nuovo racconto: «in questo luogo sono state ritrovate delle selci appuntite: venivano utilizzate dall’uomo di Neanderthal per cacciare gli animali. La particolarità è che qui la selce non c’è. Si trova invece al Canto Basso (a mezzora di cammino). Ciò significa che le selci venivano raccolte e portate in loco per essere lavorate. Quest’operazione di rifinitura veniva fatta manualmente nei tempi di attesa delle prede. Siamo nel luogo in cui veniva teso l’agguato agli animali che sbucavano dagli impervi pendii brembani. La selvaggina preferita era costituita da ungulati ma, a volte, vittima dell’imboscata diventava l’orso speleo, che viveva nelle grotte contendendone il possesso all’uomo preistorico».

Ancor oggi il versante brembano di questi monti è molto selvaggio e inospitale. Così suggerisco una variante al percorso classico per il monte Costone e la Filaressa, nostre mete escursionistiche di oggi. Abbandoniamo il sentiero 531 in corrispondenza del piccolo valico e scolliniamo sul versante brembano entrando nella parte alta della val Fosca (nome molto esplicito), seguendo il piccolo ma evidente sentiero che, tuttavia, risulta privo di segnalazioni. Dopo una breve discesa, il tracciato attraversa la valle per risalire il versante occidentale del Costone. Un branco di camosci fugge via velocissimo lasciandoci di stucco. È molto raro trovare camosci a quote così basse. Forse sono alla ricerca di acqua.

Raggiungiamo il crinale occidentale del Costone che rimontiamo fino a quota 1055m. Anziché puntare dritti alla vetta, pieghiamo a sinistra sul comodo sentiero che aggira i versanti ovest e nord del Costone fino ad intercettare la strada sterrata che conduce alla stalla del Fopp (1185m): si tratta di una grande malga, riparata dalla tramontana e circondata dai pascoli. In questa stagione è ancora chiusa. Optiamo per una capatina alla soprastante cima della Corna Bianca (1228m) seguendo la traccia (non segnalata) che si diparte sopra la curva della strada, nel punto di intersezione con il sentiero. In pochi minuti siamo in vetta.

La vegetazione limita la vista ma si riescono ad intravedere l’altipiano di Selvino e la Valserina. Scattiamo la foto di rito e torniamo sui nostri passi fino alla strada. Iniziamo il percorso di ritorno verso Monte di Nese seguendo il sentiero CAI n° 531 che corre lungo il crinale settentrionale del monte Costone (1195). Sulla cima, nell’estate del 2015, è stata posizionata una graziosa Madonnina, a ricordo dei defunti del CAI di Alzano. Il panorama è molto interessante. Dirimpetto spicca la mole rocciosa della Filaressa, oltre la quale la vista spazia su tutta la pianura. In basso a sinistra appare la val Formica che culmina nella contrada Salmezza. Alle nostre spalle lo sguardo si apre sulle Orobie. Nelle giornate autunnali, quando le brume ricoprono la pianura, lo spettacolo del mare di nebbia dalla Madonnina regala suggestioni uniche.

La discesa richiede un briciolo di attenzione per il fondo sassoso ma è priva di pericoli. In un batter d’occhio si raggiunge la selletta (1045m) ai piedi della Filaressa. Il sentiero 531 procede agevole attraversando il versante settentrionale della Filaressa. Consiglio invece di spingersi in vetta per il sentiero «difficile»: richiede un po’ di pazienza, più per la pendenza della salita che per le difficoltà oggettive. Una fune metallica, posizionata per dare sicurezza in caso di neve, conclude il tratto impegnativo. Si piega a sinistra e in breve si guadagna la cima (1134m). Quasi nascosta tra le rocce sbuca, slanciata verso il cielo, la croce di vetta. Ci aggiriamo tra i pinnacoli per cogliere gli interessanti scorci panoramici. Con un senso di affetto, guardando verso est, notiamo Lonno e le Podone, descritte in un precedente itinerario.

Torniamo alla base seguendo sempre il sentiero 531 che riconduce dapprima al piccolo valico (quello dell’orso speleo) e successivamente alla Forcella di Monte di Nese. Raggiunta la strada asfaltata, Cina suggerisce una digressione presso la vicina azienda agricola «la cà di Rüsì». Ad accoglierci è Gianluca, il titolare, che alleva capre di razza Saanen, bellissime, bianche, ricordano quelle di Heidi. Trent’anni fa Gianluca decise di lasciare il lavoro di saldatore per salire a Monte di Nese e dedicarsi all’allevamento. Inizialmente fu quasi una scommessa poi, conquistato da quel tipo di vita, decise di fare dell’allevamento la propria professione.

La dedizione con cui si prende cura degli animali e del pascolo lascia trasparire la passione di Gianluca per il suo lavoro e per l’ambiente circostante. Ci mostra la cantina dove sono a stagionare i formaggi e i salumi di capra. Impossibile resistere. Ci congediamo con gli zainetti ricolmi di acquisti, non prima di una foto in sua compagnia al cospetto delle splendide mucche (c’è anche un toro) di razza Angus che Gianluca ha da poco iniziato ad allevare. Sono animali che vivono all’aperto, allo stato semi-brado. Nelle notti più fredde ha provato a condurle al riparo ma invano. Fatica lui stesso ad avvicinarle. Al semplice tentativo di accarezzarle scuotono la testa e si rialzano stizzite!

Giunti a casa procediamo senza indugi all’assaggio dei formaggi e del salame di Gianluca… squisiti!

P.S. Preziosi campioni di fossili ritrovati in zona sono conservati presso il museo di Scienze Naturali di Bergamo. Alcuni esemplari delle selci appuntite sono invece visibili presso il museo Archeologico di Bergamo.

P.P.S. L’itinerario proposto è lungo circa 8km con un dislivello positivo di 650m. Calcolare tre ore complessive tra cammino e ricerca dei fossili.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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