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Tra faggi e castagni, alla conquista del Cesulì e del monte Pranzà

Articolo. Quando la prima neve si posa sulle cime più alte delle Orobie, le montagne vicine alla città offrono all’escursionista nuove intriganti opportunità

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Attraversando i prati presso la cascina Flaccadori

Raccolgo volentieri il suggerimento dell’amico Matteo, stimato allenatore di Luzzana che più volte mi ha suggerito di visitare le sue zone. Così, quest’oggi ci rechiamo in val Cavallina, a Vigano S. Martino. Transitando per la strada statale del Tonale, nei pressi del bivio per Vigano, mi è capitato spesso di notare un singolare cartello turistico che invita a deviare per la «scultura extraterrestre». Proprio questa particolarità rappresenta l’introduzione alla gita odierna.

La compagnia di Giovanni, fine artista, di Marialuisa, frizzante letterata, e di Giuseppe, vittima inconsapevole delle nostre scorribande, pare perfetta. Posteggiamo in via Bergamo e, nell’aiuola adiacente, si svela l’arcano. Ci troviamo dinnanzi ad una scultura di bronzo dell’artista Alberto Meli (Luzzana 1921-2003), copia dell’originale di legno conservata nel museo di Luzzana. Ricavata dai resti di un tronco e delle sue radici sradicate da un violento temporale, la scultura rappresenta una visione dell’artista sul mistero delle presenze che popolano lo spazio e l’infinito. La composizione, plastica e dinamica, è ricca di energia. Sorprende la capacità dell’artista di trasformare una radice terrena in un essere ultraterreno, plasmato per stuzzicare la fantasia del visitatore.

Raggiungiamo le case più alte del paese (375m) per imboccare il sentiero CAI n° 622 in direzione del Cesulì. Alziamo gli occhi verso il monte Pranzà e intuiamo subito gli intenti bellicosi del percorso: una strada cementata molto ripida risale il versante meridionale del monte… Dopo aver costeggiato alcune casette con orti rigogliosi, ci conduce nel bosco e continua a salire, impietosa, anche quando diventa sentiero, fino a raggiungere le stalle Fou di sopra (650m).

Una pausa è d’obbligo per ammirare la cura e la passione con cui queste stalle sono state trasformate in dimore. La posizione è incantevole, peccato che l’atmosfera sia disturbata dalla presenza di un gigantesco traliccio!

Il sentiero concede un momento di tregua ma, giunti in prossimità della dorsale est del monte, riprende a salire inesorabile. Nonostante le temperature ormai autunnali, le gocce di sudore scorrono copiose sulle nostre fronti. Fortunatamente le argomentazioni non mancano grazie alle spiccate doti dei compagni di cammino. Improvvisamente, su un terrazzino naturale, ecco apparire il Cesulì (922m). È una graziosissima cappelletta del XVIII secolo con un piccolo campanile, restaurata dagli alpini della val Cavallina. La vista sul lago di Endine è talmente suggestiva da far dimenticare le fatiche appena profuse. Ci fermiamo ad ammirare lo spettacolo: il Pizzo del Diavolo di Tenda e la Presolana, spruzzati di neve, fanno da superba cornice al paesaggio.

Il Cesulì è più facilmente raggiungibile dal colle Gallo attraverso un comodo sentiero (CAI n° 621). Il nostro obiettivo è invece il monte Pranzà, così proseguiamo lungo il sentiero n° 622 che risale con minor impeto il crinale orientale del monte. Raggiungiamo la cascina Flaccadori (1001m), baciata dal sole, splendido punto di osservazione sulla val Cavallina e sulla pianura. Non passa inosservata una simpatica altalena penzolante da un ramo di betulla e Marialuisa si abbandona al suo dolce dondolio.

Poco oltre la cascina, un breve traverso nei prati conduce ad un capanno di caccia in bella posizione su una sella. Seguiamo ora la «variante A» del sentiero n° 622 (cartello indicatore) che ci guida fino alla cima. Un facile tracciato risale ancora un po’ la cresta fino ad una croce di ferro. Circondata da alberi emerge, come d’incanto, da un disordinato cumulo di sassi. Giovanni, acuto osservatore, fa notare che quel mucchio di pietre probabilmente sono i resti di una piccola torre il cui basamento è ancora ben distinguibile. Il contesto evoca qualcosa di misterioso, chissà, forse a ricordarci le antiche presenze umane, risalenti all’età del ferro, di cui si sono ritrovate testimonianze proprio quassù.

Il nome «Pranzà» ispira simpatia, probabilmente perché evoca quell’aspetto conviviale tanto caro agli escursionisti; in realtà il toponimo deriva da «prato falciato» (prà ranzà), ma dei prati che un tempo ricoprivano la parte del declivio rivolto a sud non c’è più traccia. Interessante ricordare che il monte Misma, “fratello maggiore” del monte Pranzà, essendo ricco di noduli di selce verde permetteva all’uomo preistorico di costruirsi in abbondanza cuspidi di freccia e altri oggetti litici indispensabili per la caccia.

Notiamo che la croce non è stata posizionata sulla cima ma sull’anticima. Per raggiungere la vetta occorre proseguire ancora un poco, serpeggiando tra le roccette calcaree del crinale, con strepitosi scorci sulla pianura che quest’oggi ci regala una splendida vista degli Appennini. Solo un minuscolo crocefisso, ornato da una rosa, segnala la sommità (1095m), ma è talmente piccolo che rischia di passare inosservato. Ciò che invece cattura l’attenzione è una chaise longue di legno, posizionata poco oltre. Si tratta di una comodissima poltrona costruita con legni raccolti sul posto e realizzata pochi mesi orsono da qualche appassionato dotato di una spiccata sensibilità mistica… inevitabilmente ci abbandoniamo al relax contemplativo. Le luci del tramonto rendono l’atmosfera ancor più suggestiva. Mi piace considerare questa originale poltrona un’interessante alternativa alle inflazionate Big Bench, le panchine giganti.

Ritemprati nello spirito, riprendiamo il cammino. Ora ci attende solo la discesa: una piacevole scivolata tra faggi e castagni con i piedi che affondano nei cumuli di foglie secche generando un divertentissimo crepitio. Il monte Misma appare dinnanzi a noi in tutta la sua sobria nobiltà.

Giù fino ai Prati Alti (760m), la sella pascoliva che separa la val Cavallina dalla valle del Lujo. Chi ha fretta di rientrare a Vigano, può optare per il sentiero CAI n° 622B che si imbocca poco prima di raggiungere i Prati Alti (cartello indicatore). Viceversa, mi sento di consigliare la discesa al paese di Luzzana attraverso due possibili itinerari: il sentiero CAI n° 611 che scende nella valle dell’Acqua percorsa dal torrente Bragazzo transitando per il Santuario di S. Antonio, oppure la «variante» del sentiero 611 che percorre il crinale sul versante opposto e lambisce il pizzo Casgnola (792m). Entrambi i percorsi raggiungono Luzzana a distanza di poche centinaia di metri uno dall’altro.

Scegliamo di passare dal Santuario di S. Antonio. Poco prima che il sentiero si immetta sulla strada cementata che conduce al Santuario, si transita nei pressi della valle del Moèta. Questo luogo, molto impervio, è legato a una leggenda luzzanese. Si narra che questo personaggio si divertisse a importunare le donne che si recavano al cimitero del paese. Dopo ripetuti episodi, un manipolo di compaesani decise di fargliela pagare. Così una sera il Moèta venne catturato, legato e infilato in un sacco. Trasportato di peso su per la valle del Bragazzo venne fatto ruzzolare per l’impervio pendio. Ancor oggi, nelle notti buie e tempestose, si odono le urla disperate del Moèta.

Luzzana merita indiscutibilmente una visita: in corrispondenza del punto in cui il torrente Bragazzo attraversa il paese, alcuni cartelli invitano a visitare la scultura del gigante. Si tratta della scultura rupestre «Il gigante» del 1840, opera giovanile di Giosuè Meli (1816-1893), scolpita nella roccia viva lungo la scalinata di Via Costa, a picco sulla valle del Bragazzo. L’opera rappresenta secondo taluni un gigante che sostiene la montagna, secondo altri Cristo deposto. Anche i nostri pareri sono diversi. Per Marialuisa si tratta di un’opera visionaria con carattere michelangiolesco; per Giovanni invece il gigante rappresenta la metafora della lenta e potente evoluzione della natura nello stato minerale. Rimaniamo comunque tutti colpiti dall’intensità dell’opera, in particolare da quel volto enorme e sofferente. Sicuramente è un’opera d’arte di grande suggestione, originalità e unicità.

Intorno a questa scultura incastonata nella natura, è stato realizzato nel 2012 il Parco del Gigante: un percorso pedonale attraverso passerelle che costeggiano il torrente Bragazzo e creano punti di osservazione del contesto naturale, tra belle cascatelle e pozze d’acqua limpidissima.

Le sorprese di Luzzana non sono finite: addentrandoci nel borgo antico, alcune dimore medioevali ci introducono al Castello Giovanelli, mirabile edificio del XIII secolo, ampliato e trasformato in residenza a fine ‘600. È parte integrante del borgo medioevale di Luzzana e, dal 2003, ospita il Museo d’Arte Contemporanea, con oltre 220 opere donate dal maestro Alberto Meli (l’autore della scultura extraterrestre di Vigano) e dalla pittrice Ester Gaini Meli, sua moglie. Sicuramente torneremo a Luzzana per una visita al museo.

Affascinati da queste piacevoli scoperte non ci resta che raggiungere il punto di partenza. Lo facciamo percorrendo le stradelle pedecollinari che collegano Luzzana con Vigano S. Martino.

P.S. L’itinerario qui descritto è lungo circa 14 km con un dislivello positivo di 900m. Calcolate quattro ore abbondanti.

P.P.S la stagione migliore per questa gita è l’autunno inoltrato, quando i rami degli alberi, ormai spogli, consentono raggiungere con lo sguardo i paesaggi lontani. Inoltre, per godere appieno della vista sul lago di Endine, consiglio di raggiungere il Cesulì nelle ore centrali della giornata, quando i raggi del sole inondano di luce il lago.

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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