93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

«Il gigante egoista», la fiaba con il più bel augurio di Natale

Articolo. Il capolavoro di Oscar Wilde ci invita a riflettere sul presente che stiamo vivendo e su come l’amore e il perdono possano sempre cambiare le nostre vite

Lettura 3 min.

Oscar Wilde non è fra gli autori che prediligo, eppure ha scritto la mia fiaba preferita: « Il gigante egoista », raccolta ne «Il principe felice e altri racconti». Ogni Natale, la rileggo almeno tre volte. Mi piace, mi emoziona, le sono affezionato, poiché mi fa tornare con la mente ai giorni della mia infanzia ma, soprattutto, perché, personalmente, trovo che sia un testo strepitoso e profondamente attuale. La trama è conosciuta: non credo sia necessario spendere troppe parole a riguardo; meglio, piuttosto, spiegare subito come mai questo piccolo capolavoro di Wilde, a più di un secolo dalla prima pubblicazione, parli ancora al nostro tempo.

Sin dall’inizio, scopriamo come il gigante, nell’atto di scacciare via i bambini, incarni, in un certo senso, la dimensione dell’ordine, della legge, della logica e, ovviamente, dell’egoismo: «“Che cosa state facendo qui?”, gridò con voce molto feroce, e i bambini corsero tutti via. “Il mio giardino è il mio giardino, tutti possono capirlo, e io non permetterò a nessuno di giocarci all’infuori di me”». Un egoismo, quello del gigante, che si oppone alla vitalità dei ragazzi, ribadito, ancor più marcatamente, dal cartello appeso al muro di cinta edificato attorno al giardino, che così recita: «Chi oltrepasserà il muro sarà punito». Come non pensare alle barriere artificiali con cui, ancora oggi, molti governi cercano di impedire il passaggio degli ultimi della terra oltre i confini del proprio Stato?

Lo sconto da pagare per questo gretto individualismo è l’arrivo, nel giardino, di grandine, gelo e neve: un inverno perenne che non è altro che l’inverno del cuore, in cui regna disperanza, angoscia e risentimento. Ma la conversione del gigante non tarda ad arrivare e matura grazie alla commozione, causata non solo dalla bellezza («Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo meraviglioso […]. Gli uccelli volavano qua e là cinguettando gioiosi, e i fiori sbucavano ridenti dall’erba. Lo scenario era incantevole […].»), ma anche (e soprattutto) dalla compassione: «[…] là il Gigante vide un bimbo. Era così piccolo che non riusciva ad arrivare ai rami di un albero, e vi girava intorno, piangendo amaramente […]. A quella vista il cuore del Gigante s’intenerì».

I fanciulli hanno aperto una breccia nel muro, montano sulle piante e l’inverno comincia a soccombere. Solo un punto del giardino è ancora ostaggio del ghiaccio e del freddo, quello in cui un bimbo, a causa della sua minuta statura, non è in grado di toccare con mano i rami di un albero. La reazione del gigante non si fa attendere: «Scese giù furtivamente e aprì piano piano la porta, e uscì nel giardino. Ma al vederlo i bambini si spaventarono terribilmente e fuggirono via, e nel giardino fu di nuovo inverno. Solo il piccolo bimbo non fuggì via, perché i suoi occhi erano così pieni di lacrime che nemmeno vide venire il Gigante. E il Gigante […] con delicatezza lo prese nella mano, e lo posò sull’albero. E immediatamente l’alberò fiorì, e gli uccellini incominciarono a cantare fra i rami, e il bimbo gettò le braccia al collo del Gigante e lo baciò. E gli altri bambini, vedendo che il Gigante non era più cattivo, tornarono indietro correndo, e con loro tornò la Primavera».

Questo perché il gigante ha preso coscienza del male commesso («“Come sono stato egoista!” […]. Era davvero profondamente pentito di ciò che aveva fatto.») e, per rimediare, non ha esitato a svincolarsi dall’ossessione del possesso: «“Ora questo giardino è vostro, bambini”, disse il Gigante e, afferrata una grossa scure, abbatté il muro di cinta. E a mezzogiorno la gente che andava al mercato vide il Gigante giocare nel più meraviglioso giardino del mondo». Dono, fame di relazione e povertà di spirito: quanta luce e quanto calore emanano questi concetti, ma quanto stridono con la realtà che ogni giorno viviamo, in cui troneggiano prepotenza, superbia, indifferenza e in cui una tecnologia feroce e invadente erode, pian piano (ma sempre di più), la nostra anima.

L’epilogo della fiaba di Wilde si conosce. Genera sempre un malinconico nodo in gola, ma infonde anche un robusto senso di serenità. «Sulle palme delle mani del bimbo v’erano infatti le impronte di due chiodi, e così pure sui suoi piedini. “Chi ha osato ferirti?”, gridò il Gigante. “Dimmelo, e io impugnerò la mia grande spada e lo ucciderò”. “No!”, rispose il bimbo. “Queste sono le ferite dell’Amore”». La dimensione iniziale, quella della logica, della legge e dell’egoismo, viene completamente sovvertita dalla dimensione dell’amore: «“Un giorno tu mi hai lasciato giocare nel tuo giardino, e oggi tu verrai con me nel mio, che è il Paradiso”». Infiamma la speranza. Non quella determinata dalla ricompensa ultraterrena, ma quella sugellata dalla conferma che, attraverso conversione e perdono, si può sempre cambiar vita e fare del bene, tornando alla purezza e trovando finalmente pace: «E quando quel pomeriggio i bambini entrarono di corsa nel giardino, trovarono il Gigante che giaceva morto ai piedi dell’albero, tutto ricoperto di candidi fiori». Quale fiaba migliore per augurare al mondo buon Natale?

Tutte le citazioni sono tratte da «Il Gigante egoista» di Oscar Wilde, in «Wilde. Tutte le opere» (Newton Compton Editori, 2010).

Approfondimenti