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Nel mezzo del cammino: la mezza età come occasione per diventare se stessi

Articolo. Secondo Jung, crescere non significa smettere di trasformarsi. Una riflessione su come uno psicoterapeuta di quasi 45 anni si è ritrovato a fare un disco

Lettura 5 min.

Quando si arriva alla «mezza età» possono succedere cose strane. Mezza età, ovviamente, è una definizione molto vaga e variabile, per Dante si dice che il «mezzo del cammin di nostra vita» fosse sui 35, per qualcuno è decisamente più in là.

Per Carl Gustav Jung l’individuazione – il lungo processo che ci porta durante tutto l’arco della vita a diventare chi siamo (James Hillman, altro geniale analista, per descrivere lo stesso processo usava la metafora della ghianda che diventa quercia) – non termina una volta raggiunta l’età adulta, ma continua. Diventare adulti, non significa smettere di crescere, come vorrebbe la «pressione sociale» a cui accenna Tom Robbins in «Cowgirls»: cresciamo continuamente e, aggiungo io, quando smettiamo di crescere in altezza, dovremmo dedicarci a crescere in profondità.

Una volta raggiunta una certa stabilità, quando solitamente abbiamo raggiunto risultati in ciò in cui ce la caviamo più o meno naturalmente, le parti di noi che ancora non abbiamo espresso, chiedono il loro spazio. Una volta raggiunta una sorta di plateau, per esempio da un punto di vista lavorativo o relazionale, insomma, può fare capolino all’orizzonte una passione rimasta poco approfondita. Queste, sono parti di noi che stanno nell’ombra, quella porzione di psiche che contiene ciò che di noi non vogliamo o non riusciamo a vedere. L’ombra contiene anche parti e nuclei di noi “bambine”, che quindi possono ancora crescere, hanno un alto potenziale di condurci fuori da un binario che a volte può sembrarci troppo dritto e limitato. Sono parti «in potenza», e integrarle e esprimerle può emanciparci da un senso di impotenza nei confronti di quello che ci succede.

Come avverte Jung in «Psicologia e Alchimia»: «La vita, per compiersi, ha bisogno non della perfezione, ma della completezza» e per essere completi dobbiamo integrare le nostre parti in ombra e accogliere esperienze anche inaspettate, a volte non desiderate. Per fare un esempio di questo processo, racconto cosa sta succedendo a me, un po’ perché mi ci trovo immerso, con un certo piacere, un po’ perché parlando di me non sono vincolato da privacy e segreto professionale.

Diventare acqua

Tutto è iniziato durante un’esperienza con una pratica che – in una setting di gruppo con la presenza di conduttori e terapeuti (nel mio caso c’era la mia analista) che combinava lavoro sul respiro, mutuato dalla respirazione olotropica di Stanislav Grof, e musica suggestiva – facilita il lavoro con l’inconscio e l’immaginazione, una sorta di meditazione che Jung definì «immaginazione attiva», in cui immagini provenienti dal profondo si manifestano durante la veglia, non sognando.

La musica di accompagnamento conteneva registrazioni di un corso d’acqua e io, poco dopo, mi sono sentito «diventare acqua». L’esperienza è stata totalmente sensoriale e propriocettiva, non visiva: non mi sono “visto” diventare acqua, l’ho sentito in tutto il mio corpo. Sono stato un ruscello sotterraneo, sono risalito attraverso le radici di un albero, ne ho risalito il tronco e sono evaporato dai pori delle sue foglie. Da lì sono salito in alto, diventando poi nuvole, temporale e piovendo di nuovo a terra, ridendomela di chi scappava per non bagnarsi. Avendo un’attenzione particolare verso il corpo, che mi viene dall’analisi bioenergetica, l’esperienza mi ha colpito molto per la sua intensità e per il suo carattere propriocettivo e tattile.

Parlandone poi in analisi, grazie all’amplificazione (nella pratica junghiana ciò che succede non viene “interpretato” ricercandone le cause, ma “amplificato” cercandone connessioni e legami simbolici, spesso con miti e elementi di quello che si definisce «inconscio collettivo») ho scoperto il mito di Ciane e Anapo che Ovidio nelle «Metamorfosi» ambienta a Siracusa. Già da un po’ di tempo cercavo una chiave, una strada per convogliare (radicare, direi, usando un’immagine cara all’analisi bioenergetica) in qualcosa di concreto il mio amore per la musica, fatto da anni di ascolti e esplorazioni, letture e qualche raro esperimento creativo. L’esperienza mi aveva dato una direzione, la ricerca di una sintonia fra suoni registrati in natura e musica creata da me. Dato che l’esperienza immaginativa era iniziata con impressioni sotterranei, ho cercato e trovato una grotta in cui registrare una cascatella e un ruscello. Ho collegato quell’ambiente sotterraneo, poi, a alcune tecniche di canto armonico e di gola che stavo imparando da qualche anno: cavernosità e armonici che imitano le acque dei ruscelli. Questo per dire anche che, a volte, il senso di qualcosa che facciamo, lo comprendiamo appieno a posteriori, come se conservassimo pezzi di un puzzle di cui ancora non abbiamo aperto la scatola.

Il viaggio psicogeografico

Questa rubrica si intitola «#psicogeografie», nome che ho mutuato da Guy Debord da un lato per la stima che nutro nei confronti dell’Internazionale Situazionista, dall’altro perché spesso questi miei scritti diventano delle sorte di derive (nome che Debord dava alle esplorazioni psicogeografiche) e vagabondaggi fra il territorio di psiche e quello in cui viviamo.

Mi interessa, ad ogni modo, osservare come vivere o attraversare un territorio influenza la psiche, ma anche come può la psiche influenzare il nostro rapporto con la Terra, questo anche seguendo l’idea del «fare Anima» di James Hillman: innamorarci della Terra per volerle bene e non distruggere il pianeta dove viviamo e di cui ci nutriamo, insomma. Ho trovato molto psicogeografico il fatto che un’esperienza psichica mi ha portato a muovermi, verso quella grotta nel lecchese prima e verso Siracusa poi, dove ho registrato l’acqua della fonte di Ciane. Ciane era una ninfa che provò a opporsi a Plutone che stava rapendo Proserpina. Ovviamente la disparità di forze era insuperabile, e la ninfa, disperata, si sciolse in lacrime, diventando quella fonte, seguita dal suo amante e amato Anapo.

Seguire la strada tracciata dalla propria psiche facilita eventi sincronici: sincronicità, per Jung, è quando due eventi avvengono uno dopo l’altro, non per un nesso causale, ma per un legame di senso, simbolico. Visitando la Neapolis, il parco archeologico di Siracusa, ho avuto la fortuna di vedere una grande esposizione di opere di Igor Mitoraj e mi sono imbattuto in due enormi teste semi immerse nell’acqua in una grotta: avevo trovato un’immagine che per me rappresentava alla perfezione Ciane e Anapo, la ninfa e il suo amante che si sono sciolti in lacrime diventando due fiumi che confluiscono proprio a Siracusa.

Vagando per la città, poi, in una bottega di giovani artiste, ho scoperto la cianotipia, un’antica tecnica di stampa che ha la stessa etimologia di Ciane (al colore blu delle acque della fonte e dalla tinta delle stampe), e il quadro era completo! In quello che poi è diventato un disco (se interessa, si può ascoltare qui) sono finiti altri temi che mi stanno a cuore, ma sempre legati e declinati con l’acqua come bordone e come leitmotif, dal riscaldamento globale (e lo scioglimento dei ghiacci), ai naufragi nei nostri mari.

Avrei scommesso, anche solo cinque anni fa, che avrei fatto un disco di questo tipo? Sicuramente no, eppure la psiche, l’anima (uso questa parola in senso junghiano), mi hanno portato a esprimere ciò che in me era solo potenziale. Non per forza un capolavoro, ma qualcosa che per il mio personale processo di individuazione è stato utile, necessario e arricchente. Naturalmente non ho velleità e ambizioni di mollare tutto, amo il mio lavoro di psicoterapeuta. Il senso di queste fasi dell’individuazione, probabilmente, è proprio di integrare nel proprio percorso qualcosa che finora avevamo lasciato da parte, in ombra. Nell’integrazione sta proprio la differenza fra un’esperienza individuata, che porta verso la completezza, e la «crisi di mezza età» che può invece portare alla perdita, alla distruzione di ciò che si era costruito e raggiunto. Con una metafora, forse banale e scontata, possiamo vedere la vita come un viaggio. A volte è bello potersi affidare e lasciarci guidare da psiche, una guida più esperta, più vecchia di noi e che spesso sa meglio di noi che direzione (farci) prendere per arrivare dove dobbiamo.

Le immagini riproducono cianotipi realizzati dall’autore del pezzo

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