Bergamo è una città che trasuda bellezza, tra edifici maestosi e tradizioni antiche. Il suo fascino si riflette nella durezza delle Mura Veneziane e nella Città Alta che è resistita ai secoli. Tuttavia, la bellezza tutta bergamasca che voglio farvi scoprire oggi è delicata come un petalo, effimera come il ciclo delle stagioni: l’azienda agricola Ecate Unconventional Farm , che affonda le radici a Mozzo, ma nasce dall’animo sognatore, creativo e gipsy di C ristina Innocenti. Da Ecate Unconventional Farm nascono fiori made in Bergamo, portatori di una bellezza legata all’autenticità e al rispetto per la natura, pronti per raggiungere case, matrimoni, ma anche mercatini, dato che Cristina è spesso on the road con il suo Volkswagen T2 rosso e bianco. «C’è chi porta il panino on the road, io porto bellezza per le strade», dice Cristina sorridendo.
Cristina ha le idee chiare sulla propria farm anticonvenzionale, sul motivo che ogni giorno la spinge a sporcarsi le mani con la terra: «Questa realtà nasce dalla voglia di creare connessioni profonde come radici, di offrire un prodotto che non si limiti semplicemente all’aspetto esteriore ma che sia un’esperienza a tutto tondo». Definisce la propria azienda agricola «unconventional», anticonvenzionale, perché fiera di portare avanti un metodo di coltivazione rigenerativa secondo la filosofia SlowFlowers, senza trattamenti chimici in campo, che punta quindi a ridurre l’impatto ambientale e a contrastare il cambiamento climatico, rigenerando il terreno anziché impoverirlo.
«L’unico concime che utilizzo per i miei fiori è il compost che scarto dalla produzione, che viene continuamente dato alla terra. Cerco poi di fare coltivazioni consociate per migliorare la coltivazione e la qualità del suolo».
La storia in tre luoghi
Il primo germoglio di Ecate Farm nasce durante un viaggio in Grecia: Cristina inaspettatamente ritrova in quelle terre molti fiori che lei stessa coltivava (amaranto, zinnie, celosia e lunaria) e scopre la leggenda di una dea legata alle fasi lunari e al passaggio tra il mondo terreno e quello sotterraneo, tra la vita e la morte: Ecate. Ecate era rappresentata con un triplice volto e veniva venerata in luoghi di passaggio, come incroci stradali. Il suo culto era diffuso in molte parti del mondo greco e romano. Cristina sente subito un richiamo verso questa dea antica. «Un legame nato per caso…» spiega per indicare l’epifania del momento, correggendosi subito dopo, «ma sai che io non do nulla al caso». Ecate risuona in Cristina, dato che la coltivazione segue molto la luna e le stelle.
Nonostante un forte legame con Bergamo, Cristina ha un animo gipsy e un po’ bohemien, libero e anti-conformista, che nasce dalla sua doppia cittadinanza, perché sua mamma è francese. Con il suo Volkswagen porta Ecate Farm in tutta la provincia di Bergamo e oltre, ospite di diversi mercatini: «Quando partecipo a questi eventi ogni volta è un conoscere persone e creare connessioni, nuove amicizie, nuove collaborazioni», poi prosegue: « Il mercatino che più mi sta a cuore è quello dei portici di Averara: la location è suggestiva e con la sua organizzatrice è nata anche una profonda amicizia, lì mi sento proprio a casa».
Come darle torto? La Via dei portici di Averara è uno dei tratti più caratteristici della Val Brembana, proprio dove la Via Mercatorum univa la pianura bergamasca ai valichi alpini della Valtellina, un luogo che per secoli ha visto incontrarsi i mercanti italiani e quelli d’Oltralpe. Un luogo di passaggio, non tanto diverso da quelli che Ecate sorvegliava nell’antica Grecia. Come Cristina ha già detto: «Io non do nulla al caso».
Agricoltura rigenerativa per voler bene alla terra
Il lavoro di Cristina Innocenti non intreccia solo bellezza e connessioni tra persone, ma ha un profondo legame con la sostenibilità ambientale. «La terra ci dà tanto ma bisogna volerle bene», sottolinea, «le mie coltivazioni seguono la stagionalità, quindi ci sono determinati fiori che non troverai da me a gennaio». Molte produzioni di fiori arrivano dall’Olanda, o da luoghi insospettabili come Colombia e Kenya. Non ci rendiamo conto che potrebbero aver fatto letteralmente il giro del mondo per arrivare nelle nostre mani, proprio come succede alla frutta esotica che troviamo sugli scaffali dei supermercati, per esempio con le fragole a Natale. È lo stesso concetto. Sì, perché esiste un’agricoltura intensiva anche per i fiori recisi, che si concentra sulla massimizzazione della produzione in spazi ridotti, spesso utilizzando tecniche di coltivazione forzata per ottenere raccolti rapidi e abbondanti. Lontano dal nostro sguardo questi boccioli vengono coltivati in serre e imbottiti di sostanze conservanti; in caso contrario arriverebbero decomposti a destinazione.
La bellezza a 360 gradi dei fiori di Cristina emerge di nuovo, mentre cerca di scavare verso il significato più profondo del proprio lavoro: « Dietro a ogni fiore ci sono scelte, sogni, sfide, bocconi amari… siamo in un periodo storico particolare, in cui purtroppo non navighiamo proprio nella bellezza, intesa in senso profondo. Cerco di portare un po’ di gioia, e insieme di gratitudine, perché oggi diamo tanto per scontato. Perché il cliente ha scelto di fare una scelta diversa sull’acquisto. È una forma mia di gratitudine darti qualcosa che abbia un aspetto più profondo».
«Chi viene da me resta affascinato dal mondo che riesco a trasmettere. Mi piace che in quel che faccio traspare la mia personalità, una sorta di semplicità elegante ». Un’immagine ricca e pensata, perché Cristina nasce infatti come grafica, quindi nel suo lavoro c’è questo filo rosso. Cristina guarda anche al futuro, nella speranza che si inizi a conoscere sempre di più l’agricoltura rigenerativa, anche sul territorio di Bergamo: «Mi piacerebbe promuovere questa filosofia, parlarne. Una sorta di sensibilizzazione. Come adesso stiamo iniziando a entrare nell’ottica della frutta locale e di stagione, sarebbe bello fare lo step successivo e includere anche i fiori».
«Api gipsy »
Ecate Unconventional Farm non è però solo legata ai fiori, e Cristina svela un altro lato della medaglia: «L’altro aspetto che sto portando avanti con la mia attività è l’allevamento delle api, “api gipsy” che volano per la bergamasca cercando di offrire il miele più profumato». Spiega di avere attualmente 18 arnie, con api che producono miele in nomadismo, ossia che vengono spostate dalla pianura alla montagna durante l’anno. «Per il miele di castagno volano intorno al mio terreno a Palazzago, poi a Santa Brigida per il tiglio nel periodo estivo. Carichiamo le arnie su un pick-up e le spostiamo alla mattina presto, verso le 3.30 o le 4, quando le api ancora dormono e tutti dormono. Anche qui si apre un mondo super interessante!»
Dopotutto, prendersi cura delle api rientra nella filosofia di sostenibilità di questa farm anticonvenzionale: sono le api che ci consentono di vivere, perché attraverso l’impollinazione permettono la riproduzione di circa l’80% delle specie vegetali, sia selvatiche che coltivate. Senza api, molte piante non riuscirebbero a riprodursi, compromettendo l’ecosistema che da esse dipende. La loro scomparsa avrebbe conseguenze devastanti anche sulla produzione alimentare umana, mettendo a rischio intere colture.
Nonostante Cristina incarni appieno lo stile nomade e bohemien, conclude quest’intervista ritornando con il pensiero a Bergamo: «Sono orgogliosa della mia terra, nonostante a livello di coltivazione non sia proprio una terra idilliaca da coltivare, data la sua pesantezza. Però ho queste doppie radici, e il lato bergamasco che c’è in me esce con questa costanza , questa voglia di andare avanti, di perseguire i miei obiettivi. Di proseguire in questo sogno… avrei potuto scegliere di andare chissà dove a coltivare, e invece ho scelto la mia terra, con i suoi pregi e i suoi difetti, perché ce l’ho nel cuore!»
