Di quelle ore che hanno preceduto l’apertura al pubblico del Museo diocesano Adriano Bernareggi , ricordo uno strano senso di tensione, misto alla curiosità. Ci siamo guardati attorno a lungo, quel pomeriggio di settembre in piazza Duomo, un po’ per paura che cominciasse a piovere, un po’ perché sapevamo che da un momento all’altro sarebbe accaduto qualcosa di grande. E qualcosa di grande, in effetti, è accaduto. Lucilla Giagnoni, in abito rosso, ha dato voce a «La bellezza infonde gioia», una meditazione teatrale che ha intrecciato i versi del Cantico delle Creature di San Francesco e del XXXIII Canto del Paradiso di Dante con un approfondimento sulla Pala di San Bernardino di Lorenzo Lotto.
Poi, quella stessa Pala ha preso corpo in modo inaspettato davanti ai nostri occhi. Gli attori del TTB – Teatro Tascabile di Bergamo ne hanno restituito l’atmosfera, mentre le prime visite guidate al museo ci hanno permesso di incontrarla, dopo aver camminato tra sculture del Quattrocento, le nature morte di Baschenis, i dipinti di Moroni e le creazioni di Manzù. La Pala di San Bernardino è l’unica opera esposta in Aula Picta, l’ultimo spazio del percorso, la sala delle udienze del vescovo affrescata nel XIII secolo con scene della vita di Gesù e creature fantastiche dei bestiari medievali.
Proprio qui, venerdì 28 novembre, Lucilla Giagnoni porterà la sua meditazione. Davanti a Lorenzo Lotto, tutto risuonerà in modo nuovo: le parole di Dante e quelle di San Francesco («il primo grande ragionamento poetico sulla bellezza», come ha spiegato l’attrice), la preghiera del Magnificat, la narrazione stessa della Pala e le musiche di Paolo Pizzimenti.
Le repliche saranno tre: alle 16, alle 18 e alle 20.45. Il biglietto dello spettacolo (acquistabile online oppure presso la biglietteria del Museo in piazza Duomo 5, con posti limitati per la capienza della sala) comprende una visita guidata del Bernareggi al termine dello spettacolo e un ingresso al complesso museale valido 24 ore.
La Pala di San Bernardino
Come dare corpo e voce a un’opera d’arte? Maria Grazia Panigada, che ha collaborato con Lucilla Giagnoni nella stesura del testo, lo fa da quasi quindici anni. Con il suo gruppo di lavoro, Patrimonio di Storie, costruisce narrazioni per contesti museali o legati al patrimonio artistico. «L’idea è sempre quella di considerare l’opera d’arte come qualcosa che in qualche modo prende vita dallo sguardo di chi la guarda » spiega. E poi, c’è un atto di cura. «Prendersi cura di un’opera non significa solamente occuparsi di restauro o di conservazione, ma è proprio lo stare davanti all’opera, confrontarsi con essa rispetto alla nostra vita».
Lorenzo Lotto realizzò la Pala di San Bernardino nel 1521. Gli fu commissionata dalla confraternita laica dei disciplinati, che era composta soprattutto da artigiani e commercianti e aveva sede in via Pignolo, nella chiesa di San Bernardino, appunto. L’artista adottò un’iconografia tradizionale, quella della Madonna con il bambino, ma introdusse soluzioni nuove, come l’utilizzo dello spazio o della luce. Maria è seduta su un trono molto alto, con il bambino, al di sotto di un telo verde che sembra il sipario di un teatro, tenuto da quattro angeli in volo. La scena è ambientata all’aperto, al tramonto. Ai lati del trono, in basso, sono disposti quattro santi in dialogo tra loro e con Gesù: Giuseppe, Bernardino da Siena, a cui è intitolata la chiesa, Giovanni Battista e Antonio Abate. Al centro, c’è un altro angelo. Sta scrivendo, ma si volta di scatto, verso di noi, con uno sguardo interrogativo. Non sappiamo cosa ci sta domandando: forse perché siamo lì, oppure se vogliamo che anche il nostro nome sia iscritto tra quelli di coloro che stanno adorando il Cristo Bambino.
Dialogare con un’opera così ricca di dettagli, e d’altra parte così misteriosa, ha richiesto tempo. Prima di lavorare con Lucilla Giagnoni, Panigada si è seduta davanti alla Pala per un paio d’ore. «Mi sono messa comoda, ad assaporarla - racconta - Sono tanti gli elementi che infondono questo senso di voglia di stare lì: sicuramente il colore, questo senso di pace, e poi più ti fermi e più vedi i particolari. Se inizialmente l’incanto è in questa Madonna con un bambino bellissimo oppure in questo angelo che si rivolge a noi, poi in realtà ci sono altri particolari commoventi, come i piedi dei santi che si accavallano, forse stanchi di stare in piedi. Sono piedi un po’ sporchi, pieni di terra. C’è questa idea del cammino, dell’essere fissi sulla terra, ma partendo dal cielo, perché poi di fatto tutto parte da quella luce che c’è in alto, dal divino».
I santi che Lotto ritrasse non sono santi qualunque: sono profondamente legati al territorio bergamasco. San Bernardino fu più volte ospite del convento di San Francesco in Città Alta, la sede attuale del Museo delle Storie, per intenderci, e negli anni Venti del Quattrocento predicò dal pulpito più importante della città: quello della Basilica di Santa Maria Maggiore. Poi c’è Sant’Antonio Abate: il borgo in cui si trova la chiesa, ai tempi del Lotto, si chiamava Borgo di Sant’Antonio.
E proprio dietro Sant’Antonio, Lotto dipinse un casolare che si incendia. Un elemento di inquietudine, di caos, sotto un cielo sereno. Molto probabilmente alludeva al fuoco di Sant’Antonio, la malattia per cui all’epoca si invocava il santo, «ma una domanda ce la si fa comunque - spiega Panigada - Erano tempi inquieti. Solo qualche anno dopo, il Sacco dei Lanzichenecchi avrebbe devastato la città e la popolazione di Roma».
E inquieto, del resto, è sempre stato Lotto stesso. Nato a Venezia, si spostò per tutta la vita da un luogo all’altro. Non ebbe amori, né figli, né collaboratori o aiutanti stabili. A Bergamo, però, sappiamo che trovò la pace. Ci arrivò nel 1513 e ci restò per oltre dieci anni, i più felici della sua vita. Lasciò in città e in provincia pale d’altare, ritratti, le tarsie del coro di Santa Maria Maggiore, gli affreschi nella cappella di San Michele al Pozzo Bianco a Bergamo. E ancora, due opere custodite attualmente dallo stesso Bernareggi: la Trinità, proveniente dalla chiesa di Sant’Alessandro della Croce in via Pignolo e l’Assunzione di Maria dalla parrocchia di Celana, a Caprino Bergamasco, tra le opere rinascimentali più preziose della Diocesi.
Il ruolo dell’arte e degli artisti
Da Lorenzo Lotto a Dante, da San Francesco al Vangelo di Luca. Il titolo della meditazione teatrale che Lucilla Giagnoni presenterà il 28 novembre si ispira ad alcune parole rivolte da Papa Paolo VI agli artisti nel 1965: «La bellezza, come la verità, infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione».
Sono parole che non hanno perso forza né significato, come sottolinea Panigada. «Gli artisti oggi sono chiamati a fare quello che hanno fatto sempre: a creare un asse tra il dentro e il fuori, la terra e il cielo. Poi forse abbiamo oggi una varietà di linguaggi molto diversa, alcuni ci sembrano distanti, però sono estremamente contemporanei». Il riferimento è ancora una volta alla Pala di San Bernardino. A quel bambino in movimento, con la gamba destra in avanti: ancora non sa quello che aspetta, ma è già pronto ad affrontarlo. «Pensiamo a questa madre, che non soffoca il bambino, non lo trattiene, ma lo sostiene per quello che serve: quante cose avrebbe oggi da dirci rispetto al nostro rapporto con la genitorialità? La paura di lasciare andare, il controllo… Questa mamma non teme, tiene bene».
È la Vergine Madre di Dante, «figlia del tuo figlio», quella congiunzione armonica degli opposti su cui Lucilla Giagnoni lavora da anni e che forse dice di più di tanta teologia. «In un mondo, quello di oggi, dilaniato dalle guerre, dalla violenza continua, dove gli opposti si distruggono, la Vergine riesce a metterli insieme, a unire l’impossibile» ha spiegato l’attrice. Il 28 novembre, davanti alla Pala, sarà più facile capirlo. Si vedranno gli opposti dialogare in un’opera d’arte: luce e ombra, rosso e verde, solidità e leggerezza, serenità e inquietudine.
L’occasione è da non perdere anche perché la pala non rimarrà in Aula Picta a lungo. Dopo i lavori di restauro e messa in sicurezza della chiesa di San Bernardino, tornerà alla sua sede originaria, da cui non è mai stata spostata dal 1521. Una delle caratteristiche del nuovo Museo Bernareggi, del resto, è proprio quella di essere un luogo in trasformazione, vivo e aperto alla comunità. Ha una sua collezione permanente ma, a rotazione, ospiterà anche opere provenienti da tutto il territorio. Perché possiamo riscoprirle e imparare a prendercene cura.
