Inaugurato nel 2019, l’impianto indoor di Brembate Sopra è nato per ospitare gli allenamenti delle squadre di atletica del territorio. Tuttavia, da ormai due anni, sei delle otto corsie lunghe 60 metri, in passato utilizzate come rettilinei per velocisti e ostacolisti, sono state occupate da materassi e attrezzi della ginnastica artistica. Questa convivenza, scomoda per entrambe le parti ma resa possibile dalla HServizi, società che gestisce la struttura dal 2021, è durata fino al mese scorso. Il 13 ottobre, a seguito di regolare bando, il Cus Dalmine (Centro Universitario Sportivo) è subentrato come unico soggetto autorizzato ad accedere e utilizzare lo spazio coperto. Ginnastica e atletica, un tempo sorelle, seppur litigiose, sotto uno stesso tetto, si sono dovute salutare: i costi eccessivi, non sostenibili per la Polisportiva Brembate Sopra, hanno sancito chi poteva rimanere e chi no.
Maurizio Oberti, presidente di FIDAL Bergamo, la federazione che unisce gli iscritti delle società di atletica leggera del nostro territorio, è rammaricato. Pur essendo di parte, il dispiacere più grande non risiede solo nel vedere gli oltre 200 atleti della Polisportiva Brembate Sopra costretti ad allenarsi all’aperto, in qualunque condizione meteorologica. In una situazione che lui stesso ha definito come «complicata», matrice del dispiacere è vedere come due sport abbiano dovuto lottare per uno stesso spazio, quando, in altri contesti e per altre realtà, gli impianti abbondano e i giovani possono dedicarsi a quello che li appassiona.
Il problema dei finanziamenti e dei fondi è centrale, come spesso accade. Se oggi la ginnastica artistica può godere del caldo della palestra, è perché ha potuto sostenere le richieste presentate dalla HServizi nell’ultimo bando. In Lombardia, regione in cui risiede il 35% degli iscritti alla Federazione di Atletica Leggera, sono presenti solamente tre impianti al coperto che possono essere utilizzati per le competizioni ufficiali. L’aggiunta di un quarto avrebbe sicuramente permesso una migliore gestione del traffico di atleti che, durante i mesi invernali, si allenano e gareggiano. I pochi indoor, saturi, non riescono sempre a garantire un’adeguata copertura per un servizio che potrebbe sembrare un capriccio, ma che è a tutti gli effetti necessario. Durante la stagione più fredda una struttura di livello come quella di Brembate avrebbe potuto diventare un punto di riferimento per gli agonisti, diluendo il traffico di atleti che frequentano l’impianto di Bergamo.
Per alcune discipline – pensiamo alle prove di velocità più corte o a quelle più tecniche come i salti in estensione o in elevazione – allenarsi all’aperto quando fa freddo o piove è rischioso. Il fisico degli atleti, che durante le performance viene sottoposto non solo a uno sforzo quantitativo ma anche qualitativo, necessita di un ambiente dove la temperatura non scenda sotto una determinata soglia. Inoltre, pensare di affrontare una rincorsa per un salto in lungo o un salto in alto con una pedana bagnata rappresenta un rischio concreto, soprattutto per le caviglie. Nel Nord Italia, dove la temperatura nelle sere invernali si avvicina facilmente agli zero gradi, uno sprint può portare alla lesione delle fibre muscolari e, dunque, a una pausa forzata dagli allenamenti.
Che ci siano atleti disposti ad allenarsi all’aperto, sotto le intemperie, è un dato di fatto. La passione e la distanza dai (pochi) impianti presenti sul territorio rende l’allenamento al coperto non la normalità, ma l’eccezione. Tuttavia, nel momento in cui lo spazio è presente, perché privarsene? È la stessa domanda degli atleti che, fino a poche settimane fa, frequentavano la struttura di Brembate Sopra. Vicino al «tunnel» coperto, la pista di via Bruno Locatelli porta ormai i segni del tempo, facendo preferire l’alternativa indoor anche nella bella stagione.
Ho parlato con uno di loro, portavoce del movimento che orbitava attorno all’impianto. La sua storia è assimilabile a quella dei suoi compagni, uniti nella perplessità per la situazione in cui si trovano. Il suo nome è Rocco Martinelli, un giovanissimo che all’età di 19 anni ha già collezionato due presenze ai Campionati Europei giovanili e una convocazione per la rappresentativa italiana degli EYOF, il Festival Olimpico dedicato alla gioventù europea. Un atleta capace di raggiungere i 7.48 metri nel salto in lungo, disciplina che lo ha portato sul gradino più alto del podio dei Campionati italiani. Ora quei salti non sa più dove farli atterrare. Da qualche anno aveva trovato casa nella struttura al coperto di Brembate, dove, oltre alla buca con la sabbia, poteva sfruttare i rettilinei per i lavori di corsa e la palestra per quelli incentrati sullo sviluppo della forza, parte fondamentale nella preparazione di un atleta.
«Condividere la pista con la ginnastica artistica – dice – non era di per sé un problema». I due sport si muovevano su binari vicini ma diversi e, tralasciando il dispiacere iniziale nel vedere un luogo nato per l’atletica leggera essere utilizzato anche per altro, tra gli atleti, uniti nella passione per lo sport, non erano sorte particolari discussioni. La situazione, recentemente stravolta, ha cambiato le carte in tavola e, di conseguenza, le vite degli atleti a cui l’accesso è stato negato. «L’organizzazione degli allenamenti è un tema che prima non dovevo affrontare», mi spiega Rocco. «Se prima avevo la sicurezza di un luogo dove saltare e allenarmi, ora devo pensare di settimana in settimana, cercando di conciliare gli impegni lavorativi e quelli di studio». Il giovane talento del salto in lungo è infatti iscritto a un corso di massoterapia e per lui, che è di Bonate Sotto, la possibilità di allenarsi a Brembate rappresentava un buon compromesso per portare avanti i suoi impegni. «L’indoor di Brembate mi permetteva di risparmiare molto tempo e di avere, in un unico posto, tutto quello di cui avevo bisogno. Inoltre, per me che sono “fragile”, l’impianto al coperto garantiva di diminuire drasticamente la possibilità di infortuni».
C’è sicuramente amarezza nelle sue parole: dall’anno prossimo gareggerà nell’ultima categoria giovanile, pista di lancio per un posto tra i professionisti. «Volevo dedicare questi anni al conseguimento di un sogno, ma la situazione in cui mi trovo mi ha tolto serenità». Forte delle tre convocazioni in nazionale e delle medaglie appese in camera, Rocco non ha intenzione di smettere di saltare o di perseguire i suoi obiettivi, nonostante le sfide che dovrà affrontare. Non è stato così per molti altri suoi coetanei e compagni di squadra che, vedendo sempre meno spazio per l’atletica, hanno deciso di abbandonare.
È difficile non gioire nel vedere l’Italia primeggiare nello sport. Tuttavia, le medaglie e le vittorie si costruiscono a partire da atleti appassionati e da strutture in grado di ospitare i loro sforzi. A non tutti piace il calcio: c’è chi ama volare il più lontano possibile nella sabbia e chi fare acrobazie sulla trave. Non chiedono riflettori, soldi o fama, ma solo uno spazio dove continuare a sognare.
