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Camilla Stellato, «un figlio non è misura del nostro valore personale»

Articolo. La psicologa, autrice del libro «Diventare genitori. Come sopravvivere all’arrivo di un figlio», sarà presente a Bergamo giovedì 24 febbraio, in occasione della rassegna «Tierra!». Tanti consigli per ridurre lo stress di padri e madri, o almeno provare a cambiare prospettiva

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Un dettaglio della copertina del libro di Camilla Stellato

Fra gli incontri dell’ottava edizione di «Tierra! Nuove rotte per un mondo più umano» non mi perderò quello con la psicologa Camilla Stellato, giovedì 23 febbraio alle 18 alla Biblioteca Civica Antonio Tiraboschi (via San Bernardino 74, Bergamo), ingresso libero.

Madre di due bambini di uno e quattro anni, ha scritto: «Diventare genitori. Come sopravvivere all’arrivo di un figlio» edito da Mondadori nel gennaio 2023. Il suo punto di vista è molto interessante perché, dopo avere iniziato la sua esperienza di psicoterapeuta con i minori, ha scelto di dedicarsi completamente agli adulti, nello specifico ai genitori.

MM: Siamo proprio noi mamme e papà ad avere più bisogno di aiuto?

CS: Le richieste dell’ambiente sono sproporzionare rispetto alle risorse disponibili, quindi molti genitori rischiano il burnout. Io lavoro con loro e mi occupo di tematiche legate al caring e allo scombussolamento nella vita personale, professionale e di coppia quando arriva un figlio.

MM: Come ridurre lo stress?

CS: Io invito alla cogenitorialità e questo riduce la sensazione di sovraccarico. Dovrebbe essere scontato che la responsabilità di un figlio è sia della madre sia del padre, e invece siamo ancora qui a parlarne.

MM: Un capitolo del suo libro è proprio dedicato ai ruoli genitoriali. Ci sono coppie moderne, alla pari, che poi all’arrivo di un figlio si catapultano indietro nel tempo negli anni Cinquanta.

CS: Lo ha spiegato bene la sociologa Manuela Naldini nel suo libro «La transizione alla genitorialità. Da coppie moderne a famiglie tradizionali»: diventare genitore ha ancora implicazioni e significati molto diversi per madri e padri. Voglio sottolineare che la cogenitorialità non comporta una diminuzione del valore materno né un appiattimento delle differenze. La madre all’inizio della vita dei bambini ha un ruolo predominante, ma questo non significa l’esclusione del padre. Il padre ha da subito un ruolo, e non sta scritto da nessuna parte che sia meno bravo nell’accudire. Poi c’è la tematica sociale, di un supporto alla genitorialità insufficiente.

MM: Lo abbiamo detto anche qui: l’assegno per i figli a carico non basta non è la soluzione.

CS: Confermo: concretamente, dei bonus noi genitori ce ne facciamo poco. Servono politiche sociali di sostegno che migliorino la qualità della vita con servizi accessibili, calendari scolastici diversi, centri estivi pubblici. Desiderare di avere un parco accessibile e decoroso dove fare giocare i bambini o di potere tornare al lavoro non sono vezzi.

MM: Cosa bisognerebbe sapere prima di fare un figlio?

CS: Per prima cosa, che avere figli non è una tappa obbligatoria della vita, se uno non ne vuole va benissimo così. La seconda è che crescere dei figli è un’avventura incredibile, che però aumenta la complessità delle nostre vite. È un atto di generosità che non ha un ritorno in termini di realizzazione personale. Quindi non bisogna rimanere delusi: un figlio non ci completa né come persone né come coppia.

MM: Oltre all’appello alla cogenitorialità, cosa consigliare a una coppia con figli per prevenire possibili crisi?

CS: In ogni storia d’amore, che ci siano bambini o meno, è necessario evolvere nel tempo. Bisogna cambiare il modo in cui si sta insieme e ci si incontra e aggiornare sempre la propria conoscenza reciproca. Appena nato un bambino, c’è un periodo di assestamento, ma accettarlo ci predispone alla possibilità di evolvere. Poi bisogna accettare il reciproco punto di vista per imparare a gestire i conflitti, che possono riguardare scelte educative, finanziarie, familiari. Trovare un compromesso è più importante che imporre il proprio punto di vista.

MM: C’è un altro problema: molti di noi diventano genitori senza avere mai visto prima da vicino un bambino. Come evitare di rimanere disorientati?

CS: È vero che spesso si ignorano i processi tipici dell’età evolutiva e che si rischia di partire con aspettative errate. Ad esempio, nessuno si aspetta che un neonato sappia parlare, ma alcuni pretendono che sappia regolare i suoi stati emotivi. Non è così, non è pronto. Nel dubbio, anche se non si conosce nulla di pedagogia, meglio una reazione più accogliente possibile dei bisogni del bambino. Bisogna avere e dare fiducia.

MM: In che senso?

CS: Un figlio non è misura del nostro valore personale. Non è che se dorme è merito nostro, ad esempio. Purtroppo si pensa ancora che i genitori siano i responsabili unici del benessere del figlio, ma è una visione semplicistica e riduzionista.

MM: E questo aumenta ancora di più il carico sulle spalle dei genitori, più specificatamente delle madri.

CS: Consiglio un altro libro a questo proposito: «Educare con leggerezza: Come recuperare una capacità perduta per crescere figli più felici e godersi pienamente il viaggio» di Marco Sacchelli. Certo: abbiamo una responsabilità genitoriale, ma bambini non sono fragili e i genitori non sono incompetenti. Non è che i bambini si traumatizzano per ogni cosa che facciamo.

MM: Quindi non dobbiamo dare retta ai “consigli degli esperti”?

CS: Molte indicazioni che vengono date oggi su come crescere i figli sono mode, che sfociano in discussioni morali o ideologiche. Pensiamo al fatto di portare i bimbi in fascia, che va benissimo, ci sono popoli che lo fanno da millenni. Ma se uno è comodo con il passeggino, che usi il passeggino. Non ha nessuna importanza. Oppure pensiamo all’allattamento, tema che nel mio libro neanche tratto, e che polarizza in modo incredibile.

MM: Resisterò alla tentazione di chiederle se e quanto ha allattato i suoi figli…

CS: Sì, per me è un’incredibile comodità. Ma non ne faccio una battaglia ideologica.

MM: Nel suo libro parla anche di quanto possono essere stressanti i bambini. Mi tolga un dubbio: cosa facciamo quando un bimbo pianta un capriccio per un biscotto rotto?

CS: Gliene diamo uno intero. È una lotta che non vale la pena fare. Sono altre le cose su cui non cedere: le regole che proteggono loro, gli altri, il contesto. Ha senso tenere il punto se il bambino si mette in pericolo o alza le mani con un coetaneo, ma non facciamo una questione di principio per un biscotto.

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