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#bestof2022: Otto differenze fra la nostra infanzia e quella dei nostri figli

Articolo. Fra i genitori nati ancora nel Novecento e i loro figli ci sono differenze epocali. Non ci sono state, fortunatamente, guerre di mezzo, ma la rivoluzione digitale ha cambiato tutto

Lettura 4 min.
Marina Marzulli da piccola

Non parlerò di partite a calcio per strada, di bambole fatte di stracci e nemmeno di un tempo più povero ma più felice. Erano gli anni Ottanta e Novanta: avevamo giocattoli nuovi, le merendine, la televisione, le nostre camerette, un benessere più diffuso (o almeno meno paura del futuro) e ognuno era felice o infelice a suo modo. Lo stesso, ci sono differenze oggettive tra l’infanzia della generazione dei neo genitori – con un grosso piede nel Novecento – e quella dei bambini loro figli, nati a nuovo millennio inoltrato. Ne elenco alcune, sostanziali e meno.

Bim Bum Bam vs Disney+

C’è stata un’epoca nella quale, se perdevi la puntata del tuo cartone preferito (il mio era «Mila e Shiro»), era una lacuna per sempre. Poi è venuto il digitale e la televisione on demand. Un bene, un male? Credo di essere stata decisamente più teledipendente di quanto sono o saranno i miei bambini, per i quali i cartoni sono sempre disponibili, e che sanno di potere spegnere il teleschermo senza drammi.

Non ci sono cambi di palinsesto durante la settimana, mentre io ricordo ancora l’attesa della domenica per «Che fine ha fatto Carmen Sandiego?». Attendere, desiderare, commentare il giorno dopo con i compagni il programma che tutti avevano visto. Questo era il lato positivo.

Tutti uguali vs tutti diversi

Non ho mai avuto un compagno di scuola che non fosse italiano. Mai, dalla scuola materna all’università. Al massimo – un anno, alle superiori – un ragazzo adottato.

Almeno la metà dei compagni di mio figlio e mia figlia hanno nomi stranieri. Non mi interessa stabilire chi di loro sia (giuridicamente? Culturalmente? Di fatto?) italiano, ma credo che più della metà abbia almeno un genitore di origine straniera. Le differenze – di lingua, pigmentazione, cultura, abitudini – vengono assimilate con naturalezza. Un grande fortuna in una società sempre più multietnica.

I viaggi in braccio vs la sicurezza stradale

Una sicura differenza fra l’infanzia di ieri e di oggi riguarda una maggiore propensione alla sicurezza stradale. Meno male, ovviamente, anche se credo di avere speso in dispositivi viaggianti per bebè l’equivalente del costo della mia prima auto.

Vi ricordate come viaggiavamo noi? In braccio agli adulti. O meglio, nei lunghi viaggi, l’auto diventava il nostro lettino: ho fatto traversate fino alla Puglia sdraiata nei sedili posteriori con il mio cuscino e le lenzuola. In barba a qualsiasi crash test. Impensabile adesso, quando ci tocca comprare pure il dispositivo di allarme che suona se lasciamo il bambino nel seggiolino (obbligo di legge fino ai 4 anni).

I bigliettini vs le chat

C’è stata un’epoca in cui io e la mia migliore amica, che peraltro abitava a 500 metri, ci scrivevamo delle lettere. Eravamo bizzarre anche trent’anni fa, temo, ma ci piaceva scegliere la carta con la busta coordinata, scrivere, mettere il francobollo e imbucare. In classe ci scambiavamo bigliettini che erano papiri da srotolare.

Sono così vecchia da ricordarmi le ricerche fatte con l’enciclopedia, il primo computer arrivato in casa e la prima ricerca fatta online (Van Gogh: che meraviglia i quadri che si dispiegavano sotto i nostri occhi richiamati da chissà dove). Il primo cellulare – ovviamente il Nokia 3310 – l’ho avuto a 15 anni. Il primo smartphone dopo l’università.

Personalmente non tornerei indietro mai e poi mai, ma lo stesso sono contentissima di non avere avuto internet in tasca per tutta l’infanzia e l’adolescenza. I miei bambini non sono ancora in età da smartphone ma altri genitori mi raccontano già le delizie delle chat dei 12enni: mille messaggi in un’ora, il bullismo più o meno consapevole, la paura di restino isolati se non hanno il telefono, come consigliano gli esperti. Temo già tutti i divieti e le attenzioni che dovrò dedicare alla questione.

Biberon e omogeneizzati vs il ritorno alla natura

C’è stata un’epoca in cui non era vietato fare pubblicità al latte artificiale, anzi, era diffusamente considerato più sicuro, più nutriente, più moderno. Anche gli omogeneizzati in vasetto erano il non plus ultra, il cibo per definizione più adatto per i bambini.

Poi c’è stata la sacrosanta rivalutazione e promozione dell’allattamento al seno. Sull’argomento ho già scritto qui ed è stato uno degli articoli della rubrica più commentato e anche criticato, a riprova di quanto sia un tema sensibile. Non so se le madri allattino effettivamente oggi più che negli anni Ottanta, di sicuro sono più spinte a farlo.

Simile il discorso sul cosiddetto “baby food”. Omogeneizzati e cibi specificatamente dedicati ai piccolini durante la nostra infanzia andavano fortissimo – ho parenti nutriti a biscottini Plasmon fino ai 18 anni d’età – mentre adesso è molto in auge l’auto-svezzamento. Il bambino mangia quello che mangiano gli adulti, che è una gran comodità, se non fosse che il primo cibo solido ingerito da mia figlia è stato il pollo fritto in agrodolce del ristorante giapponese (l’omogeneizzato di vitello sarebbe stato meglio? Chissà). C’è poi una corrente di pensiero che ci vorrebbe ai fornelli a bollire polli ruspanti e verdure biologiche, ma fin lì non mi sono spinta.

I mercatini vs le regole del mercato

Da bambina timida quale ero provavo una immensa ammirazione per tutti i bimbi che al parco organizzavano i loro mercatini con giocattolini e carabattole per guadagnare qualche lira (ve le ricordate le 500 lire? E le mille lire di carta con la faccia della Montessori?). Ogni volta che andavo ai giardini trovavo qualcuno con il telo steso su un gradone e la mercanzia in bella vista – sorpresine degli ovetti Kinder, ciucci colorati (ve li ricordate i ciucci, vero?), macchinine mezze rotte – con il prezzo scritto a mano su fogli strappati dai quaderni di scuola.

In quasi cinque anni che ho ripreso a frequentare i giardinetti non ho mai più visto nessun bambino impegnato in tali attività proto commerciali. Imbarazzo degli adulti? Mancato interesse? Covid? Scarsa propensione all’imprenditorialità delle giovani generazioni? A illuminarmi un’amica, che mi racconta di multe impartite da zelanti difensori della legge ai genitori dei bambini impegnati nei mercatini. Spero sia una leggenda metropolitana.

Giradischi vs YouTube

Uno dei miei ricordi più belli d’infanzia è il giradischi: vietatissimo ai bambini, che dovevano imparare la delicatezza nel mettere il vinile e non graffiarlo. Le copertine dei dischi: belle ed evocative come libri, su cui si è scolpito il mio immaginario. Mio padre che mi regala il disco di «Vattene amore» («trottolino amoroso du du du da da da») perché in fondo Mietta piaceva a lui. I Police e i Dire Straits, Zucchero e Gianna Nannini, Pierangelo Bertoli e Madonna, Vecchioni e lo Zecchino d’Oro.

Non sono, adesso, una nostalgica del vinile, non avrei la pazienza né lo spazio in casa né la vocazione. Lo stesso, un po’ mi dispiace che per i miei bambini la musica sia essenzialmente la radio in auto e i video su YouTube sullo schermo della televisione. Sono gratis, ok. C’è più varietà, d’accordo, ma tanto alla fine vogliono sempre ascoltare quelle venti canzoni.

I rullini vs Instagram

Sono così vecchia da ricordare quando al supermercato c’era il negozio del fotografo, dove portare a sviluppare i rullini con le foto delle vacanze.

Ora i miei bimbi sono abituati a vedere sempre, istantaneamente, immagini di loro stessi, che ogni tanto mi chiedono di “sfogliare” dal telefono. Malgrado i buoni propositi ho stampato pochissimo e temo fortemente che da grandi avranno poche fotografie della loro infanzia. Io ho in cantina un intero bauletto di legno (credo contenesse in origine del vino) con decine e decine di piccoli albi che per forza si facevano ritirando le fotografie, con data e luogo per ognuno. Molto più romantico.