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Postare o non postare? Sei modi di essere genitori sui social

Articolo. Cosa pubblicare online dei nostri figli? La risposta più sensata probabilmente è: niente. Tuttavia i social pullulano di foto e aneddoti sui bambini, compresi i miei. Ecco un elenco semiserio di tic, manie e debolezze dei genitori in rete. Dal meno social al più social: sei diversi profili, in cui provare a riconoscersi un po’

Lettura 4 min.

Ho amiche che non hanno mai messo una foto dei loro figli sui social, e tutto sommato penso che abbiano ragione loro. Non esistono valide ragioni per condividere immagini di minori, se non per la voglia di farlo e mostrare a tutti i nostri bellissimi figli. È un sentimento umano: ogni tanto, piuttosto raramente, anche io e mio marito postiamo foto dei bambini, perché sono una parte importante della nostra vita e lo troviamo gratificante.

C’è poi la curiosità delle vite degli altri: persone insospettabili, per nulla amanti del gossip, mi hanno confessato di seguire Fedez perché amano assistere ai suoi siparietti con i figli. Personalmente, sono rimasta affezionata a un’epoca – saranno passati vent’anni – dove effettivamente i social riproducevano in chiave virtuale le nostre relazioni reali. Mi piace sapere che faccia hanno i nipoti della vicina di casa di mia nonna e ho scoperto con gioia che la mia compagna di banco scapestrata delle superiori ha avuto due bimbi.

Questo, quindi, non è un articolo su come gestire l’immagine dei propri figli su internet – non sono proprio nella posizione di dare consigli – ma una semplice osservazione dei diversi modi in cui i genitori approcciano la questione.

I bene informati

La mamma “bene informata” non si limita a non mettere le foto dei figli: ci tiene a farti sapere che non ne mette e mai ne metterà, perché è più oculata e responsabile di te. Di solito avvalla la sua posizione con articoli allarmanti che dimostrano come con due foto delle vacanze e il video di una festa di compleanno perfidi hacker possono creare un perfetto avatar virtuale del figlio, i rapitori internazionali di bambini possono geolocalizzarlo e venirlo a rapire al parchetto e i pedofili lo inseriscono nella loro banca immagini.

Io, che mi affatico anche solo a fare il trasferimento dati quando cambio telefono, non capisco perché un malintenzionato dovrebbe prendersi tanto disturbo. Ma è vero che la prudenza non è mai troppa e alcune regole base di sicurezza sono imprescindibili, anche per chi, come me, ogni tanto pubblica una foto dei bambini. Niente foto di nudo, nemmeno quelle in costume al mare, perché con la pedopornografia non si scherza; niente foto di bambini senza prima chiedere il permesso ai genitori (questo vale per nonni, parenti, amici); niente geolocalizzazione e informazioni precise su nomi, scuole e posti frequentati; attenzione ai filtri della privacy, che ci consentono di limitare l’accesso ai contenuti a una cerchia ristretta di persone.

Il piedino strategico

Si capisce chiaramente che freme dal desiderio di condividere le millemila fotografie bellissime e perfettamente a fuoco che ha scattato al suo delizioso bimbetto impegnato in attività instagrammabili come cucinare torte, saltare nelle pozzanghere o correre in prati fioriti.

Però non può, probabilmente perché ha appena condiviso l’articolo di cui sopra sulla pericolosità dell’esposizione social dei bambini. È un vero peccato, perché le sue foto hanno l’inquadratura giusta, lo sfondo giusto, l’espressione giusta. Per non buttare via tutto questo lavoro comincia a ritagliarle accuratamente: si comincia dalla manina o il piedino del bebè appena nato adagiata su un lenzuolino ricamato, si prosegue con foto prese di spalle al tramonto, fino a spingersi a delicati profili con i capelli scompigliati a celare i lineamenti. Talvolta, nelle stories, con la scusa che tanto sono provvisorie, non resiste e infila una foto riconoscibile. Può capitare che, presa dall’euforia, sbrachi completamente e cominci a pubblicare più dei Ferragnez.

Applicatori di emoticon

È la versione meno sofisticata della mamma o del papà precedente. Non vuole rendere riconoscibile suo figlio, ma ci tiene tantissimo a farci sapere che è andato in vacanza, che gioca a calcio e che anche per lui è arrivato il primo giorno di scuola. Quindi pubblica le foto del minore applicando emoticon sopra la sua faccia, solitamente scegliendo il grande classico dello smiley con gli occhi a cuore (qui sul volto dei miei figli).

Un completo nonsense, ma mai come chi di fronte alla pubblicazione di tali immagini commenta: «Siete bellissimi!». La versione estrema è la pubblicazione a volti pixelati, cosicché i poveri bimbi sembrano testimoni di giustizia o protagonisti di casi di cronaca nera.

Kate Middleton

Non pubblica foto, le rilascia. Con cadenza quadrimestrale – per Natale, per il compleanno, per il primo giorno di scuola – pubblica fotografie aggiornate dei bambini e della famiglia, accompagnate da pensose riflessioni sul trascorrere del tempo, citazioni poetiche, encomi al figlio.

Le foto sembrano quelle che scatta la duchessa di Cambridge alla royal family: ben vestiti ma non troppo formali, smaglianti e armoniosi, con studiata spontaneità. Perché ogni genitore lo sa che dietro una singola foto di famiglia accettabile ci sono minimo una ventina di tentativi con: occhi chiusi, gesti scomposti, volti celati, adulti spettinati, disordinati, gonfi, brutti (e se viene bene la madre viene male il padre e viceversa), bimbi che fanno smorfie e piangono perché la foto non la vogliono fare.

Perciò, quando entro in possesso di qualche raro scatto selezionato vorrei pubblicarlo nelle occasioni importanti, come fa Kate, ma poi mi chiedo: «Ma a chi interessa la mia cartolina di Natale o i miei auguri per la festa della mamma?» e desisto.

Quella che non si tiene

Pubblica foto dei figli seduti sul vasino, mezzi nudi al mare, mentre baciano il papà o la mamma sulla bocca. Il tutto con una frequenza di svariate volte al giorno. Spesso del povero bimbo sappiamo: l’indirizzo di casa, dove va a scuola, il giorno dell’allenamento di basket, la sua regolarità intestinale, se ha già “fatto la fidanzatina” (ho i brividi mentre lo scrivo). La tentazione sarebbe quella di condividerle un articolo a caso sui pericoli di internet, perché forse a lei servirebbe.

Il dramma è che a volte i due estremi si toccano: esistono genitori che non pubblicano foto dei figli ma che ci informano della loro cartella clinica, dei loro voti a scuola, del fatto che a 5 anni si facciano la pipì a letto. La privacy è un concetto relativo.

L’influencer (vera o aspirante)

È un po’ come quella che non si tiene, con la differenza che spera di farci i soldi. Se non proprio i soldi di crearsi un suo posizionamento, o almeno di farsi inviare prodotti omaggio a casa, che siano merendine per bambini o rulli massaggianti anti cellulite.

Ho scritto all’inizio che non esistono valide ragioni per condividere immagini di minori, ma forse monetizzare lo è. In tutta sincerità, se pensassi di poter guadagnare con le foto dei bambini un pensiero ce lo farei. Il problema è che si tratta di un vero impegno: crearsi una nicchia, farsi pubblicità e pubblicare contenuti a ripetizione, pensarli e post produrli, costringendo i bambini a partecipare e stare al gioco. Il mio pensiero va subito al bel romanzo di Delphine de Vigan «Tutto per i bambini» (Einaudi, 2022) sul mondo dei baby influencer. Personalmente, faccio già abbastanza fatica a farmi obbedire dai miei figli quando si tratta di mettere a posto i pennarelli o lavarsi le orecchie. Farne anche dei colleghi di lavoro, no grazie.

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