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Il self-portrait (con il sorriso) di Giovanni Trussardi Volpi

Articolo. Peccato soltanto per il titolo, “Il colore irrequieto dell’anima”, che è uno di quelli che “vanno bene per tutte le stagioni”, invece di puntare dritto su una singolarità che al pittore Giovanni Trussardi Volpi (Clusone, 1875 – Lovere,1921) di certo non manca

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Autoritratto sorridente nello studio, 1916-1920 circa, Collezione privata (particolare) (Fabio Cattabiani)

P erché la mostra allestita fino al 30 gennaio al MAT Museo Arte Tempo di Clusone è bella, ricca e ben curata e, lungi dal poter essere liquidata come una iniziativa provinciale e di provincia, in questo periodo è tra i pochi appuntamenti espositivi che sul nostro territorio è realmente interessante visitare.

La mostra, infatti, coglie l’occasione del centenario della morte di Giovanni Trussardi Volpi per riportare sulla scena un bravo pittore verista, moderno come altri suoi contemporanei – talvolta ben più celebrati di lui – non hanno saputo essere. Un artista che a tutt’oggi non riusciamo a conoscere in modo approfondito, complice la sua riservatezza: niente scritti personali, poche partecipazioni dirette a mostre nazionali o internazionali, le sue relazioni all’interno del panorama artistico deducibili solo per via indiretta.

“È come se il pittore avesse preferito affidare esclusivamente ai suoi dipinti il compito di raccontare la propria identità di artista: la scelta dei soggetti iconografici, lo stile, le pennellate, il colore partecipano a una narrazione per immagini tanto seducente quanto misteriosa, perché consegnata sostanzialmente alla sensibilità dell’osservatore e alla sua capacità interpretativa”, scrivono le curatrici Silvia Capponi, Sara Damiani e Valentina Raimondo introducendo al bel catalogo che accompagna l’esposizione (Silvana Editoriale).

Tanto più che, dopo la mostra “Un verista lombardo”, organizzata nel 1998 in collaborazione tra la Città di Clusone e l’Accademia Tadini di Lovere, non ci sono più stati progetti espositivi dedicati al pittore. Promosso e organizzato dall’Assessorato alla Cultura e alle Politiche giovanili del Comune di Clusone, con la collaborazione scientifica dell’Università degli studi di Bergamo e dell’Accademia Tadini di Lovere, a cui si aggiunge il contributo dell’Accademia Carrara di Bergamo, il progetto si è avvalso anche di un comitato scientifico composto da Marco Albertario (Direttore dell’Accademia Tadini di Lovere), Remo Morzenti Pellegrini (ex rettore dell’Università degli studi di Bergamo) e Maria Cristina Rodeschini (Direttrice dell’Accademia Carrara).

La vita e la mostra

Non possiamo esimerci, prima di dire la nostra, dal tracciare sinteticamente il percorso del pittore – che ci porta da Lovere a Roma, sempre intersecando Clusone – e l’itinerario espositivo. Giovanni riceve i primi insegnamenti dallo zio materno Giuliano Volpi, pittore e restauratore, presso la Scuola di disegno dell’Accademia Tadini di Lovere per trasferirsi, dal 1891 al 1898, sui banchi dell’Accademia Carrara di Bergamo sotto la guida di Cesare Tallone, con il quale stringe un rapporto di amicizia.

Grazie al supporto della Congregazione di Carità di Clusone, Trussardi Volpi ha la possibilità di perfezionare i suoi studi a Roma, dove si inserisce nel clima artistico vivace e stimolante che gravitava intorno a via Margutta. In via Margutta, sullo scorcio del primo decennio del secolo, Trussardi Volpi condivide lo studio con Antonio Mancini (Roma, 1852 – 1930), pittore di primo piano del panorama artistico nazionale e internazionale, con il quale stringe un sodalizio di lavoro e di amicizia.

Nel periodo estivo, naturalmente, fa ritorno alla natia Clusone dove non gli mancano mai commissioni di ritratti da parte di personaggi di rilievo della classe dirigente e culturale bergamasca. Nel 1916 sappiamo che Trussardi Volpi abbandona Roma, probabilmente per prendere parte al primo conflitto mondiale. Sono gli ultimi anni del pittore, che muore improvvisamente a Lovere nel 1921.

Generoso il suo lascito, che perviene in parte all’Accademia Carrara e in misura più consistente all’Accademia Tadini di Lovere. Un nutrito gruppo di opere, inoltre, costituisce una sezione permanente del MAT di Clusone.

Da questi nuclei importanti, cui si aggiungono opere da collezioni private, nasce il percorso espositivo della mostra “Giovanni Trussardi Volpi. Il colore irrequieto dell’anima”, pensato sul tema del viaggio: fisico, attraverso i luoghi significativi nell’iter del pittore; mentale, attraverso i movimenti interiori tracciati da ritratti e autoritratti. Altro tema centrale che si incontra lungo questi itinerari è quello del soggetto femminile, immortalato in una galleria di ritratti di donne sicure di sé, consapevoli della propria bellezza, dei propri mezzi e del proprio status sociale.

Self-portrait, con il sorriso

Una cosa è certa: Trussardi Volpi è un pittore “coinvolgente”. Sarà per la sua pittura “impressionista”; sarà per la sua materia che fa vibrare qualsiasi soggetto; sarà per la vitalità e la libertà che si respira in tanti suoi dipinti, soprattutto tra i numerosi autoritratti – circa 18 tra dipinti e disegni, realizzati tra il 1901 e il 1920 – che oggi provano a raccontarci di lui e del suo modo di vivere la pittura ciò che i documenti purtroppo non ci tramandano.

Così, se l’espressione “autoritratto del pittore” ci richiama subito alla mente una galleria di pose severe, fiere e ufficiali, con la mano che impugna tavolozza e pennelli, e una serie di espressioni da talento ispirato, non così è per Trussardi Volpi che, cosa assai rara, ama consegnarci di sé soprattutto l’immagine distesa di un artista che si diverte davvero a dipingere.

Trussardi Volpi è il caso di un pittore che si guarda allo specchio e, senza alcun accenno di narcisismo, sorride ed esibisce una certa autoironia. Ma non è forse questo il lusso che si può concedere un artista che è estremamente sicuro di sé e non ha bisogno di ribadire il proprio status? Del resto la stessa immagine, sorridente, “scanzonata”, e che a tratti ci pare anche un po’ sfidante, ci è consegnata anche dalle fotografie che ci rimangono di lui.

È un piacere dunque scorrere il suo autoreportage:

1910-15: Cappello di paglia e giacca bianca, in “Autoritratto con bastone da passeggio” ci rivolge uno sguardo e un sorriso da furbetto, inequivocabilmente ironici.

1912-14: Trussardi Volpi si ispira sicuramente a una fotografia o a una riproduzione stampata del noto autoritratto che Rubens aveva realizzato nel 1623, e si cala, con grande autoironia, nei panni del maestro fiammingo.

1910-15: in questi anni prende forma un dittico affascinante di ritratti in movimento. Trussardi Volpi è in camice da lavoro nel proprio studio, rischiarato dalla luce del sole, circondato da drappi dai colori accesi e arredi punteggiati da vasi e sculturine. L’ “Autoritratto impressionista” è come un selfie che il pittore si scatta proprio mentre sta entrando sulla scena dal margine destro del dipinto. L’ “Autoritratto sorridente nello studio”, invece, è come un fotogramma, che coglie Giovanni mentre si esibisce, sempre sorridente, in una piroetta.

1916: “Lo spagnolo” dell’Accademia Carrara è un coup de théâtre. Giovanni si traveste da bizzarro e scanzonato musicista e, sempre con il sorriso sulle labbra, siede tra i fiori e suona per noi la chitarra, abbigliato con un corpetto dorato dalle maniche rigonfie e un cappello a larga tesa piumato di rosa.

1918-20: La Prima guerra mondiale ha richiesto la presenza di Giovanni al fronte. L’esperienza del conflitto vissuta in prima persona è restituita dall’“Autoritratto in divisa militare”: “il suo volto si distende in un sorriso ampio e allegro che, inconciliabile con l’uniforme da soldato che indossa, si produce come una sfida alle brutture della guerra da poco terminata”.

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