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La Pasqua? Una questione di sguardi

Articolo. Quattro dipinti di Giovan Battista Moroni che raffigurano gli eventi della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù scandiscono i giorni dal Giovedì Santo fino a Pasqua, in un itinerario proposto dalla Fondazione Bernareggi

Lettura 4 min.
Giovan Battista Moroni, particolare del dipinto L’ultima Cena (Romano di Lombardia)

Nel 2021 cade la ricorrenza del quinto centenario della nascita di Giovan Battista Moroni. Alla Fondazione Bernareggi è parsa l’occasione ideale per lasciarsi guidare nel cammino pasquale dalle opere di soggetto sacro del pittore del Rinascimento, ancora troppo poco note perché da sempre messe in ombra dallo stereotipo duro a morire di un Moroni grande ritrattista. Riconducendo in qualche modo questi dipinti alla funzione originaria di Biblia pauperum, di racconto per immagini della storia sacra, capace di innescare la meditazione e la partecipazione emotiva dei devoti, di ieri come di oggi.

In quattro video uno storico dell’arte e un parroco o un teologo ci guidano lungo questo itinerario di pittura e meditazione, sotto un titolo che ci offre un interessante chiave di lettura: “Negli occhi di Moroni”.

A ben pensarci l’arte, tanto più la pittura moroniana, non è forse tutta una questione di sguardi? Sguardo dell’artista, sguardi che si scambiano i protagonisti del racconto, sguardi che ci osservano e che noi, pur fuori dal quadro, ci sentiamo chiamati a ricambiare.
Oggi che siamo letteralmente immersi in uno tsunami di messaggi visivi, viviamo il paradosso di essere diventati spettatori passivi, assuefatti all’accettazione acritica di tutto ciò che la nuova galassia dell’immagine ci propone, dalla pubblicità all’universo dei social.

Il percorso pasquale tracciato da Fondazione Bernareggi può dunque essere l’occasione per intraprendere un piccolo training per riallenarci a vedere, un gesto apparentemente automatico e semplice, ma che in realtà attiva dinamiche complesse tra ciò che vediamo, ciò che sappiamo, il modo di relazionarci al mondo in cui viviamo.
Come si legge in “Questione di sguardi”, “storico” libro del grande critico d’arte John Berger, “Il vedere viene prima delle parole. Il bambino guarda e riconosce prima di essere in grado di parlare”. E scopriremo come attraverso le “immagini” della pittura il meccanismo sia esattamente lo stesso: guardiamo, riconosciamo e di conseguenza ci identifichiamo, conosciamo e a nostra volta raccontiamo. Per questo è nata l’immagine. Per generare senso e mistero. Se non c’è mistero, non c’è desiderio di conoscere.

A caccia di sguardi tra i dipinti di Moroni

Giovedì 1 aprile

Uno di voi mi tradirà (Gv 13,21)

L’ultima Cena di Romano di Lombardia
a cura di Silvio Tomasini, storico dell’arte, e monsignor Tarcisio Tironi, parroco emerito di Romano e direttore del Museo d’Arte e Cultura Sacra.

Una tavola imbandita più di sguardi che di cibo. La conversazione tra gli Apostoli è animata, ci sembra quasi di origliarle una per una. E gli occhi di ciascuno ci costringono a inseguire direzioni continuamente diverse: c’è chi è annoiato, chi è rilassato, chi è preoccupato e chi è concentrato. C’è chi vede il futuro e anche chi è addormentato. Ma a raggiungere come un lampo perturbante noi osservatori è lo sguardo dritto, che buca la tela, che riserva proprio a noi il personaggio che si insinua alle spalle di San Giovanni, in abiti probabilmente sacerdotali, stringendo nelle mani un’ampolla. Severo, ci fulmina richiamando la nostra attenzione e mettendoci anche un po’ in soggezione. Viene da guardarci alle spalle e chiedergli: “Ma dici a me?”. Chi sia non è dato sapere, e poco importa, ma la sua concentrazione è tale da infonderci un dubbio: possibile che questa Ultima Cena sia il frutto di una sua visione e che dunque questa tela sia tutto un ribaltamento del guardare? Ci eravamo illusi di essere noi gli spettatori, e invece lo siamo solo di riflesso. Stiamo guardando l’Ultima Cena attraverso gli occhi e l’immaginazione di quell’indimenticabile personaggio.

Venerdì 2 aprile

Attirerò tutti a me (Gv 12,32)

La Crocifissione di Albino
Giovanni Berera, storico dell’arte e don Giuseppe Locatelli, parroco di Albino

Non c’è alcun dubbio. Di fronte a questo dipinto del Moroni i nostri occhi sono letteralmente calamitati da un unico, magico punto focale: quel perizoma fluorescente che sventola nell’aria carica di elettricità e tempesta. Qui si concentrano e traducono, senza bisogno di parole o di altre digressioni figurative, tutto il dolore e la speranza. In un vessillo giallo-arancio che appare come un lampo di luce accesa in fondo al tunnel di un paesaggio, quello che appartiene a questo mondo, che si stempera nel grigio freddo e un po’ nebbioso di un temporale in arrivo, che cambierà tutto.
Mi ricorda tanto il cappottino rosso che era l’unica nota di colore nel bianco e nero di Schindler’s List di Steven Spielberg: una bimba in rosso che si muove tra gli orrori e le lacrime dello sterminio nazista, andando incontro alla morte.

Sabato 3 aprile

La mia carne riposerà nella speranza (At 2,26)

La Deposizione di Gandino
Paolo Plebani, conservatore dell’Accademia Carrara e don Ezio Bolis, teologo e docente di teologia Spirituale

L’opera ha perduto per sempre il luogo per cui era stata realizzata - la demolita chiesa di Santa Maria ad Ruviales di Gandino – ma non per questo ha perso forza il messaggio nascosto tra le pieghe abbaglianti di un coloratissimo campionario di tessuti, degno dei famosi mercanti tessili seriani del Cinquecento. Ci chiediamo: quante possono essere le espressioni che tramettono l’unico, ficcante sentimento del dolore? Il gruppo dei presenti alla Deposizione moroniana ne squadernano uno spaccato sorprendente: occhi che si socchiudono per la mestizia; occhi persi nel vuoto del rimpianto; occhi illuciditi dalle lacrime; occhi stravolti da un dramma troppo enorme.

Domenica 4 aprile

Non è qui. È risorto (Mt 28,6)

La Risurrezione di Sovere
Laura De Vecchi, storico dell’arte e don Paolo Carrara, teologo e docente di Teologia Pastorale

Cristo spicca il volo e ci guarda, dolcemente. Un invito a seguirlo, se non ora in un futuro che ci attende in alto. A differenza di tanti altri Cristi “in volo” che la storia dell’arte ci ha consegnato – in primis quello dipinto da Tiziano per la chiesa dei santi Nazaro e Celso a Brescia, cui Moroni si è certamente ispirato – i piedi (e gli occhi) del Cristo di Sovere è ancora più vicino alla Terra che al Cielo. Ancora alla portata del nostro sguardo, tanto da poterci guardare dritto negli occhi.

Tutti i video saranno pubblicati sul canale Youtube e sui profili Facebook e Instagram della Fondazione Bernareggi la mattina del giorno, cui sono dedicati.

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