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Le Orobie, la natura e la cultura nelle fotografie di Tito Terzi

Articolo. Museo della Fotografia Sestini dal 28 maggio 2021 al 5 settembre ospita la mostra-racconto del grande fotografo bergamasco. Tanti gli scatti inediti, realizzati durante le escursioni in montagna. Senza dimenticare le imprese editoriali e la collaborazione con la rivista Orobie

Lettura 5 min.
Tito Terzi, Vista dal Rifugio Curò sul Monte Verme

È pensiero comune che la fotografia parli da sé, complice anche la proverbiale riluttanza dei fotografi a “spiegare” il proprio scatto. In un certo qual modo possiamo essere d’accordo, ma non c’è dubbio che se si impara a conoscere anche l’uomo dietro l’obiettivo, delle sue fotografie cogliamo e comprendiamo ancor di più. Cambia non di poco il nostro modo di guardarle.

Così è per le immagini di Tito Terzi – nella mostra “Montagna da vivere. Le Orobie negli scatti di Tito Terzi”, al Museo della Fotografia Sestini dal 28 maggio 2021 al 5 settembre. Se prima di osservarle ascoltiamo il racconto della inseparabile moglie Adele Tavella Terzi, che prende il via dalle immagini inedite, scattate negli anni Sessanta e provenienti da due album personali. Sono immagini in bianco e nero, in cui è evidente la passione per la montagna e le bellezze orobiche, protagoniste indiscusse. Ma non solo.

“Mio marito custodiva a casa due album di quando, all’età di 25-26 anni, andava in montagna con gli amici e già amava fotografare – racconta Adele Tavella Terzi – Vi annotava meticolosamente anche date, luoghi, compagni di spedizione, percorsi. In quegli anni partiva con un folto gruppo di amici e dagli scatti traspare quanto fossero felici. Da allora Tito ha continuato a vivere la fotografia e il suo lavoro come un momento di respiro, di grande sollievo”.

“I moschettieri”

Negli anni, però, i compagni di viaggio divennero i suoi tre compagni inseparabili. “I moschettieri”, come li chiama Adele, erano gli amici di infanzia Enzo Valenti e Biagio Bertini, e dagli anni Settanta anche Sergio Marzari. Amici veri, armati di una pazienza incredibile: Quando Tito si fermava per scattare doveva scegliere il posto adatto, attendere che le nuvole fossero al punto giusto, che persino le pecore si disponessero in un certo modo. E a volte, dopo tutta questa attesa, se ne usciva con un ‘No, non scatto’, perché non c’erano le giuste condizioni. E gli amici sempre ad aspettare. A volte tornava da un’escursione con la fronte segnata dall’incavo della macchina, tante ore aveva trascorso guardando il mondo attraverso la macchina, in attesa del momento giusto. Non lo faceva per ossessione o per seguire un manuale, ma perché la foto la doveva sentire dentro. Si vede se una fotografia è costruita e non custodisce un sentimento”.

L’ossessione delle cartine

Una piccola, inspiegabile ossessione, però, Tito ce l’aveva eccome:Aveva una vera passione per le cartine. Me lo ricordo come fosse ora. Ogni volta che rientrava da una gita nel tardo pomeriggio, si stendeva in giardino e apriva le cartine, riguardando tutti i percorsi fatti e forse meditando su quelli da fare in futuro. Nello studio avevamo un grande pannello con una vecchia cartina delle nostre Alpi e Tito la rimirava sempre. Cercava sempre qualcuno con cui condividere questa passione, ma a me non osava chiederlo, sapendo che non mi piace la montagna…”.

In mostra troveremo anche alcuni strumenti di Tito, tra cui una vecchia Nikon e gli occhialini da esploratore per proteggere gli occhi quando andava sulla neve. Ci sembra di vederlo partire, quando Adele ce lo descrive: “Partiva carico attrezzatura: una macchina per le diapositive e una per il bianco e nero, con quelle pesanti valigette rigide (poi fortunatamente soppiantate da tracolle più leggere); il cavalletto, le pellicole di scorta; i filtri di diverse tipologie; tutti gli strumenti necessari, compreso il pennellino a soffietto per spolverare l’obiettivo. Immancabile il binocolo che gli avevano regalato i genitori quando era ragazzo, nella sua custodia in cuoio. E quando con gli amici faceva scialpinismo si portava anche la cassetta degli attrezzi visto che sci – gli sci di quei tempi – spesso si rovinavano e così potevano ripararli alla bell’e meglio”.

Ma che cosa cercava Tito nei suoi infiniti percorsi? “A lui interessava vivere la natura – racconta la moglie –. La sua speranza era che le persone che guardavano le sue fotografie si sentissero investite della responsabilità di rispettarla e custodirla. E poi amava l’incontro con alpigiani, contadini, pastori. Poiché parlava bene il dialetto bergamasco, superato il momento di diffidenza, riusciva a rompere il ghiaccio e se ne tornava a casa portando le loro storie, le loro espressioni insolite e colorite”.

Un fiore da ogni escursione

E a casa, com’era Tito?Era arguto e divertente da morire. Ho sempre pensato che se avesse dovuto fare il servizio fotografico di un matrimonio (cosa che Tito non avrebbe mai fatto, e che non ha voluto nemmeno per il nostro di matrimonio), gli sposi non avrebbero avuto un album di nozze, perché lo scambio degli anelli sarebbe stato soppiantato da dettagli che lo attiravano di più, magari una signora stanca che sfilava i piedi dalle scarpe…”.

E poi era gentile, tenero e romantico: “ogni volta che rientrava da un’escursione mi portava un fiore dei prati, foss’anche il fiore della cicoria. Quando racconto di lui so di poter sembrare di parte. Ma gli amici possono confermare che è tutto vero”.

Terzi sulle Orobie

“Le Orobie negli scatti di Tito Terzi” inizia con una fotografia scelta da Terzi da inserire ne primo articolo, apparso sull’Annuario CAI del 1963. Due amici del fotografo immersi nella contemplazione delle alte vette orobiche, in parte nascoste da un “meraviglioso e sconfinato mare di nebbia” come scrive Terzi: è il contenuto dell’immagine, accanto a una lunga linea del tempo segnala le date più significative della vita del fotografo.

Al centro della mostra c’è il Sentiero delle Orobie orientali, un percorso in otto tappe rappresentato da magnifici scatti a colori tra punti panoramici mozzafiato e viste innevate spettacolari. La riproduzione in grande formato della mappa del sentiero – opera del CAI negli anni Settanta, per molto tempo stampata su tovaglioli e tovagliette dei rifugi – apre il percorso: dalla Valcanale, passando per rifugi, laghi e bivacchi, fino al grande massiccio montuoso della Presolana.

La mostra continua con scatti dedicati a laghi, rifugi, che sono le prime fotografie scattate dall’alpinista Terzi, scelte in due album-ricordo tra il 1958 e il 1967. Sono immagini private in bianco e nero, di solito frutto delle escursioni con gli amici storici, magari ritratti di fronte allo spettacolo offerto dalla montagna. Sono tante le fotografie inedite, commentate da una breve ma preziosa didascalia sull’anno dello scatto, il nome delle vette e la loro altitudine, ripresa fedelmente dalle pagine degli album e riproposta in grafica con la calligrafia di Terzi. Completano la prima sezione della mostra alcune pagine degli album con fotografie originali esposte in teca e una grande mappa a parete dove il tracciato delle vette orobiche si accosta agli scatti del fotografo.

E nell’attività editoriale

La seconda sezione della mostra presenta l’attività editoriale di Tito Terzi. Dal volume pubblicato nel 1983 “Oltre la realtà: sognare la natura in Terra di Bergamo” primo risultato collaborazione con l’editore Cesare Ferrari, e due numeri della rivista Orobie, compreso il debutto della testa nel 1990, e il numero del 2005 con l’articolo dedicato a Tito Terzi. Alcune immagini completano i testi di Enzo Valenti, Angelo Gamba, Giuseppe Zois e Pino Capellini. Chicca della sezione una delle macchine fotografiche utilizzate da Terzi, l’inseparabile Nikon FM e i già citati occhialini personalizzati dallo stesso Tito utilizzati durante le escursioni nelle alte valli bergamasche.

Quei volti in bianco e nero

“Stavo fuori anche di notte, nelle baite o sui fienili con il sacco a pelo, andavo dappertutto. Mi è sempre piaciuto parlare con la gente che incontro e stare ad ascoltarla”, disse Tito Terzi. La mostra si chiude con una rassegna di volti in bianco e nero. Uomini, donne e bambini che Tito Terzi ha immortalato durante le sue innumerevoli escursioni nelle alte valli bergamasche. Una sorta di sigillo di un racconto che riguarda la natura, immensa e ineluttabile, ma pure la cultura montana, a voler ricordare un mondo che deve essere tutelato e diffuso.

Info

Museo della fotografia Sestini
Convento di San Francesco
Piazza Mercato del fieno 6/aCittà Alta, Bergamo
Dal 28 maggio al 5 settembre 2021
Da giovedì a domenica 11.00 / 19.00

Contatti:
Tel. +39 035 247116
www.museodellestorie.bergamo.it

Biglietti:
Intero: 7€
Ridotto: 5€
valido per Amici del Museo delle storie di Bergamo, studenti universitari fino a 26 anni, soci T.C.I – Touring Club Italiano, Soci FAI, Soci CAI, Abbonati Orobie, gruppi di 15 ps.
Gratuito: studenti fino a 18 anni, disabili, soci ICOM, giornalisti, guide abilitate, Abbonamento Musei Lombardia.

“Montagna da vivere. Le Orobie negli scatti di Tito Terzi” si deve a Museo delle Storie, Museo della Fotografia Sestini e Comune di Bergamo. Con la collaborazione di Orobie e CAI Bergamo. Il percorso è a cura di Roberta Frigeni e Jennifer Coffani; l’organizzazione è di Pierpaolo Boninelli e Roberta Marchetti. Hanno collaborato Silvana Agazzi, Fausta Bettoni, Lia Corna, Nicholas Fiorina e Giulia Todeschini.

Le foto di Tito Terzi sono © Museo delle storie di Bergamo, Archivio fotografico Sestini.

Sito Museo della Fotgrafia

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