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Medea Colleoni: un passe-partout per conoscere il Quattrocento

Articolo. Dalla mostra «Io Medea. La leggenda del Quattrocento Lombardo» un ciclo di tre incontri indagherà alcuni degli aspetti più nascosti di un secolo tutto da scoprire. Studiose ed esperti daranno la possibilità di (ri)vivere il percorso espositivo con nuove prospettive storiche e sociali

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La storia di Medea Colleoni sta affascinando la città. Incredibile è il numero di visitatori che ha deciso di accostarsi ai tre luoghi colleoneschi per sentirsi più vicino a un passato indissolubilmente legato alla nostra città. «Io, Medea. La leggenda bianca del Rinascimento Lombardo» ha accolto, in un solo mese di apertura – inaugurata lo scorso 6 marzo, l’esposizione sarà visitabile fino al prossimo 4 giugno – più di 100mila visitatori tra la Cappella Colleoni, la Biblioteca Angelo Maj e il Luogo Pio Colleoni, solitamente non accessibile al pubblico: ne avevamo parlato qui.

Sono molteplici gli elementi che affascinano: la vicenda inedita di Medea, figlia prediletta, il desiderio di tradurre in umanità la storica grandezza di un grande capitano di ventura come Bartolomeo, la volontà di lasciarsi attraversare – il più possibile – da quanto Bergamo ha da raccontare in questo anno così speciale per la “sua” cultura. La mostra è promossa e realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo, Progetto Coglia, Proloco Due Castelli Malpaga e Cavernago e Comune di Cavernago, grazie alla disponibilità del Luogo Pio della Pietà Colleoni.

Interessante è la volontà di utilizzare quanto esposto come passe-partout per un’indagine più approfondita sul Quattrocento italiano, ma non solo. «Credo – dichiara l’assessore alla Cultura del Comune di Bergamo Nadia Ghisalberti che la chiave del successo della mostra “IO, MEDEA” sia nella sua formula, capace di ricongiungere, nei suoi luoghi originari, la piccola e la grande Storia: un temibile condottiero che si rivela tenero padre; una fanciulla sfortunata che accende una luce sull’ universo femminile del Quattrocento; un capolavoro della storia dell’arte che nasce da un sentimento privato». «Il segreto di “IO, MEDEA” – aggiunge Giuseppe Togni, presidente del Progetto Coglia e sindaco di Cavernago – è che non si tratta di una mostra tradizionale, ma di un viaggio dritto dentro i luoghi della storia: quelli che in pochi conoscevamo e quelli notissimi, che credevamo di conoscere e invece scopriamo in modo completamente nuovo».

Medea si rende goccia di un vaso traboccante di curiosità e aneddoti, di aspetti storici talvolta sottovalutati o dimenticati, di una realtà artistica, sociale e culturale affascinante e poco conosciuta. Nasce da qui il ciclo di «Tre incursioni nel Quattrocento»: tavole rotonde aperte al pubblico – il giovedì dalle 17.30 presso la Sala Curò in Piazza Cittadella a Bergamo Alta – con ingresso libero. C’è la possibilità, tra l’altro, di abbinare la visita anticipata alla mostra, che giovedì segue i seguenti orari: dalle 14 alle 18 per la Cappella Colleoni, dalle 15 alle 19 per il Luogo Pio Colleoni e dalle 8.45 alle 17.30 per la Biblioteca Maj.

Dentro il mito di Medea: codici simbolici del Rinascimento

Il primo incontro sarà giovedì 27 aprile. Alla tavola rotonda parteciperanno Gabriele Medolago, curatore storico della mostra e direttore del progetto Coglia, con un intervento dal titolo: «Medea Colleoni. La figlia prediletta». Con una presentazione di Medea, si entrerà così nel vivo degli incontri, con l’obiettivo di utilizzare la vita della figlia prediletta del Colleoni per spalancare le porte sull’universo nel quale muoveva i suoi passi. In seguito, in «Quale moda per Medea», Silvio Tomasini, storico dell’arte, regalerà una panoramica sui vestiti del tempo, sulla loro ricercatezza e simbologia, alla quale corrispondevano scelte molto accurate. Alla luce di ciò, soprattutto chi avrà già visto la mostra, non potrà non pensare all’abito di velluto indossato da Medea nel suo monumento funebre, ricostruito puntualmente nel Luogo Pio Colleoni. Va ricordato anche che, vero e proprio cimelio della mostra, è il «Frammento del serico Carpelletto» di Medea Colleoni, un lembo di velluto operato con filati d’oro, prelevato nel 1842 dall’abito indossato dalla giovane al momento della sepoltura.

Il legame della piccola Medea con il suo passerotto permetterà invece a Marco Valle, direttore del Museo Civico di Scienze Naturali di Bergamo, e a Giulio Orazi Bravi, storico e già direttore della Biblioteca Civica Maj, di portare un affondo su «Gli animali “domestici” nella vita quotidiana e nell’immaginario del Quattrocento». L’uccellino di Medea, morto il suo stesso giorno, venne imbalsamato e riposto nella bara della fanciulla per ordine di Bartolomeo. Quando nel 1842 le spoglie della tredicenne vennero spostate dalla Basella di Urgnano alla Cappella Colleoni, l’uccellino venne rimosso dal sarcofago: ora è visibile sotto una cupola di vetro, generalmente conservata nella sagrestia o in prossimità dei custodi della cappella.

Infine, Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico Lorenzo Rota di Bergamo, condurrà i presenti in un viaggio attraverso «La cultura dei fiori nel XV secolo»: troveranno nuova voce, per esempio, le ghirlande d’alloro e le punteggiature floreali di gigli e cipressi che ornano, tutt’attorno, il monumento per l’eternità di Medea.

Giovanni Antonio Amedeo a Bergamo

Il secondo appuntamento aprirà le porte giovedì 11 aprile e vedrà come protagonista l’eclettica figura di Giovanni Antonio Amedeo sul territorio di Bergamo. Autore de «la più bella delle effigi che riposa in terra lombarda», l’Amedeo (Pavia, 1447 – Milano, 1522), ancora giovane quando il Colleoni gli affidò la realizzazione del monumento funebre della figlia, era però destinato a diventare il maggiore degli architetti e scultori lombardi del primo Rinascimento. Marco Tanzi, docente dell’Università del Salento, proporrà un affondo proprio su «La Cappella Colleoni: Giovanni Amadeo e i suoi, fuori e dentro il Ducato di Milano», mettendo in luce il rapporto con il Colleoni, tale da permettergli di realizzare l’eterno ricordo della figlia «a luy carissima pyu cha le altre».

Il visitatore di «Io, Medea» può inoltre veder rappresentato l’Amedeo anche nel dipinto di Giovanni Beri del 1867, esposto presso il Luogo Pio Colleoni, viaggiando ancor di più con la mente e nella storia.

Maria Mencaroni Zoppetti, invece, vicepresidente dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Bergamo, collegherà strettamente la figura dell’architetto e scultore alla nostra città, con un intervento dal titolo «Amadeo progettista del primo Ospedale di Bergamo»: un’occasione per creare collegamenti tra luoghi e idee e per sentirsi parte della progettazione culturale e umana del Quattrocento.

Il rapporto padre - figlia nel Quattrocento

L’ultimo incontro del ciclo è previsto per giovedì 25 maggio. Avevamo già ampiamente trattato delle politiche matrimoniali di Bartolomeo Colleoni in un’intervista impossibile. Il 6 marzo 1470, giorno del decesso di Medea, con lei morirono anche importanti trattative del Capitano di Ventura, pronto a trovare per la sua figlia prediletta un uomo di grande caratura strategica. La scomparsa di Medea si dice, tra l’altro, che abbia mostrato il lato più umano e sensibile di Bartolomeo, che non riuscì a trattenere la commozione. Non si può non pensare, inoltre, alle otto figlie del Colleoni: un unico padre, ma madri diverse, spesso rimaste nascoste. Una situazione, questa, capace di suggerire interessanti ragionamenti e affondi

In questa ultima tavola rotonda Roberta Frigeni, direttrice del Museo delle Storie di Bergamo, farà da moderatrice tra l’intervento di Nadia Covini, docente dell’Università degli studi di Milano, «Politiche matrimoniali e rapporti padri e figlie in area lombarda nel Quattrocento» e «Medea, la leggenda dipinta» di Maria Cristina Rodeschini, direttrice dell’Accademia Carrara di Bergamo. Perché Bartolomeo la voleva ritratta in questo modo? In cosa pone le fondamenta la sua leggendarietà?

Ancora una volta Medea, a 550 anni dalla sua prematura scomparsa, rompe il silenzio e diventa emblema per un viaggio che dal particolare si dirige verso l’universale del Quattrocento, aprendo porte non sempre considerate, indagate, valutate. Un vero passe-partout.

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