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Rose, frutti, draghi: un campionario dei simboli e delle curiosità mariane a Bergamo

Articolo. Sin dal Medioevo, maggio è tradizionalmente il mese dedicato alla Madonna, quello in cui si moltiplicano i rosari, si incoronano le statue di Maria, si intensificano i pellegrinaggi ai santuari. E fra un rosario e una visita, anche l’arte può essere un percorso di fede o di semplice curiosità

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Giovanni Bellini (Venezia, 1433 c.-1516), Madonna col Bambino (Madonna d’Alzano), olio su tavola, Bergamo, Accademia Carrara (dettaglio)

È il mese in cui alla primavera, regina pagana della natura, fa da specchio la regina del Cielo, che già nel XIII secolo Alfonso X detto il Saggio, re di Castiglia e Leon celebrava come: “Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli (...)”.
La devozione mariana passa dunque per il mese di maggio e, naturalmente, per la proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione (1854). Maggio ci offre dunque il pretesto per andare a caccia nell’arte dello strabiliante universo simbolico che si sprigiona dalla figura della Vergine.
Rosa mistica, Stella matutina, Turris eburnea, Domus aurea, Speculum iustitiae: sono tutti emblemi mariani, un tempo immediatamente riconosciuti, che invece oggi ci invitano a un affascinante esercizio di decifrazione.

Fiori e frutti di stagione

In pittura, ne abbiamo osservati a decine di dipinti in cui la Vergine è attorniata da rose che cadono dal cielo, si spargono profumate sul pavimento o sono deliziosamente inghirlandate in coroncine che putti svolazzanti accorrono a poggiare sul capo di Maria. Che siano bianche, rosa o gialle, le rose in questo caso non sono puro ornamento, ma un evidente riferimento alla preghiera del Rosario, vera e propria ghirlanda di preghiere offerta alla Madonna.

E poi ci sono i frutti che si moltiplicano accanto ai troni di Maria, come la pera lasciata sul davanzale dalla Madonna di Alzano del Bellini, i pergolati di mele, pesche, susine e cetrioli che incorniciano quella del Crivelli o le rosse ciliegie che la Madonna di Jacopo di Antonello ha già sciacquato in una ciotola di acqua fresca (tutte opere esposte in Accademia Carrara).

Una “frutteria” che non è solo un grande, evidente omaggio alla prosperità, alla generosità e all’abbondanza, ma che nasconde un sofisticato sistema simbolico in cui ogni frutto è un segnale ben preciso, che non poteva sfuggire, un tempo, ai fedeli più preparati. La mela e il fico, ad esempio, rimandano immediatamente ai frutti proibiti del peccato originale, “vinto” da Maria e dal Bambino.

Un campionario dei simboli mariani

Per prendere confidenza con i simboli legati alla Vergine, tra i dipinti che offrono un ricco repertorio di simboli mariani, citiamo la pala dell’Immacolata dipinta da Antonio Gandino per la chiesa di Baresi di Roncobello.

Un vero e proprio inventario: le dodici stelle dell’Apocalisse, attributo di Maria Donna Celeste; il sole della grazia divina; la porta e la scala del cielo, che indicano Maria come tramite per raggiungere il mistero di Dio; la fonte che allude a Maria come sorgente di speranza; l’ortus conclusus, simbolo di verginità; il drago apocalittico del peccato; la rosa mistica; la luna di purezza e castità; la stella del mattino; la città di Dio; la torre di Davide, che allude a Maria come simbolo di bellezza e fermezza nella fede; il Tempio di Dio; lo specchio che restituisce l’immagine senza peccato; il ramo fiorito da cui nascerà il frutto che è Gesù; il cipresso e il cedro del libano, i legni impiegati per la croce di Cristo.

L’Immacolata Concezione

“Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” racconta l’Apocalisse, mentre una delle più popolari melodie mariane rielabora un versetto del Cantico dei Cantici: “Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te” (“Tutta bella sei, Maria, e in te non c’è la macchia originale del peccato”). E poi c’è il passo della Genesi: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. È soprattutto dalla fusione di questi brani della Sacra Scrittura che l’arte plasma nei secoli l’immagine codificata e condivisa dell’Immacolata Concezione, Colei che collabora alla redenzione schiacciando il serpente (o il drago) del peccato originale.

Generazioni di artisti rispondono alla straordinaria diffusione del culto per l’Immacolata misurandosi con questo tema affascinante quanto complesso, raccogliendo la sfida di costruire immagini in sintonia con la devozione popolare pur senza trascurare i riferimenti teologici.

Uno degli esempi più antichi e suggestivi è l ancóna lignea dell’Immacolata, custodita nella chiesa di Sant’Agata nel Carmine in Città Alta, già descritta dai contemporanei come “La più bella, & più magnifica, che si ritrovi nella Città di Bergamo”. Il raro manufatto rinascimentale, centrato proprio sul dibatto teologico dell’Immacolata Concezione, è databile al primo decennio del Cinquecento ed è attribuito a Jacopino Scipioni.

Poco distante, è d’obbligo una visita a quella vera e propria “antologia mariana” che è la Basilica di Santa Maria Maggiore, dove ritroviamo un interessante confronto tra storie delle Vergine non solo dipinte ma anche tessute negli splendidi cicli di arazzi.

Lorenzo Lotto, invece, elabora la sua personalissima immagine dell’Immacolata Concezione nella cappella affrescata nel 1525 con le Storie di Maria nella chiesa di S. Michele al Pozzo Bianco.
Affreschi, questi, ancora oggi inspiegabilmente poco conosciuti, regolarmente messi in ombra dal celebrato ciclo lottesco dell’Oratorio Suardi di Trescore.

Già nel raffigurare la Nascita della Vergine, il pittore con un colpo di spugna cancella la tradizionale scena del bagno della neonata ed elabora una delle sue geniali invenzioni iconografiche: Maria appena nata, avvolta in fasce di un candore abbagliante, è sollevata dalla levatrice in posizione eretta e già guarda in alto, ispirata, verso la figura di Dio. Niente bagnetto, dunque, per Maria perché l’iconografia del bagno, con la sua simbologia battesimale, era inconciliabile con il fatto che la piccola fosse nata già priva della macchia del peccato originale. E anche quando è cresciuta, Maria in questi affreschi non indossa mai la consueta veste rossa e il tradizionale manto blu , ma è sempre abbigliata con una candida veste bianca e con quel medesimo velo bianco solcato da righe oro e porpora che già alla sua nascita era nelle mani della levatrice. A richiamare, appunto, la sua purezza immacolata.

Un vero e proprio modello di carità per i filantropici confratelli/committenti di Lotto e un modello di virtù e di maternità per le donne bergamasche del Cinquecento, alle prese con i rischi del parto e con il dovere di assicurare la discendenza delle nobili famiglie.

Una macchina mariana

A sorpresa, scopriamo poi in terra bergamasca un vero e proprio unicum. L’altare maggiore del Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio è una vera e propria macchina d’altare dedicata all’Immacolata Concezione, eretta fra il 1736 e il 1750 dall’architetto Carlo Giuseppe Merlo sulla base di un precedente progetto del grande Filippo Juvarra.

Un gigantesco tempietto circolare, scandito da otto colonne intervallate dalle personificazioni delle Virtù, culmina in alto in un tripudio di angeli che reggono una corona di stelle. La Vergine, dunque, c’è ma non si vede: non è rappresentata direttamente ma la sua presenza è evocata e si percepisce potente proprio in quel cerchio stellato.

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