93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Almódovar, Woody Allen, Soderbergh e Guédiguian: le sale riaprono e cinema fa rima con film d’autore (anche online)

Articolo. La riapertura pare stia andando alla grande, dimostrando come il pubblico ami ancora andare al cinema. Ma anche lo streaming continua a proporre ottimi lavori. 5 film da non perdere, in sala o sul divano di casa

Lettura 6 min.
Tilda Swinton in The Human Voice di Pedro Almodóvar

Alla fine il cinema è ancora lì. Nonostante i catastrofismi e le premonizioni più o meno disastrose circolate nei mesi scorsi e la (giustificata) preoccupazione di molti addetti ai lavori di tutti i settori della filiera (dalla produzione all’esercizio), una ripresa reale e significativa sembra essere arrivata per davvero. I dati di questo primo mese di riaperture sono incoraggianti e certificano quanto i cinema siano posti sicuri e per nulla a rischio contagi o focolai e ribadiscono risultati di studi e statistiche che circolano già da parecchio tempo (noi ne avevamo parlato qui).

Ma soprattutto ci dicono di un diffuso e ritrovato affetto per la sala cinematografica. Pur a capienza ridotta della metà o dei due terzi e con proiezioni programmate fuori dalle fasce orarie tradizionali, i cinema stanno registrando accessi consistenti e una sintonia che sembrava smarrita fra il pubblico e il grande schermo. Certo, le infatuazioni di questo tipo – specie in primavera – durano lo spazio di una sbornia e corrono il rischio di esaurirsi tanto in fretta quanto sono iniziate. Aggiungiamoci il fatto che lo streaming usurante cui ognuno di noi si è sottoposto negli ultimi mesi è venuto a noia, la voglia di uscire e socializzare è tanta e in estate le sale progressivamente chiuderanno lasciando spazio alle arene e capiamo quanto tutto questo sia potenzialmente molto effimero.

Tuttavia se c’è un momento in cui augurarsi la rinascita di un settore, già profondamente in crisi prima della pandemia, è senz’altro questo. Magari accettando anche che sala e streaming lavorino in parallelo e ragionando nell’ottica di una loro possibile integrazione, al fine di portare benefici da entrambe le parti, piuttosto di una spietata concorrenza.

Anche gli ormai consueti consigli di visione di questa rubrica vanno in questa direzione. Abbiamo selezionato alcuni titoli fra quelli in sala in questi giorni, ma vogliamo continuare a suggerire anche i film in streaming, aspettando che il calendario delle uscite torni a essere ricco e aggiornato come prima e che le opere più attese e ritardate per mesi (o addirittura per oltre un anno) vedano finalmente la luce. Anche se per tutto questo dovremo aspettare l’autunno.

“Rifkin’s Festival” di Woody Allen

Dopo un’attesa insolitamente lunga per un film di Woody Allen – dovuta a problemi produttivi figli solo in parte della pandemia – “Rifkin’s Festival” è finalmente arrivato in sala. Il quarantottesimo film del regista newyorkese racchiude tanti dei temi cari al suo autore – e il protagonista è uno dei suoi tanti alter ego – ma ha un tono in levare, molto più svagato e scanzonato del solito.

Ambientato in Spagna durante il Film festival di San Sebastián, racconta di Mort Rifkin (Wallace Shawn), un uomo sulla sessantina, ex insegnante di cinema e aspirante scrittore il quale sospetta che la moglie (Gina Gershon), capo ufficio stampa di un importante film in competizione al festival, lo tradisca col giovane regista del film (Louis Garrel). E per questo cerca consolazione nella compagnia di una dottoressa del luogo (Elena Anaya). Al di à dei risvolti romantici, utili ad accendere le tensioni necessarie alla commedia, il nocciolo del film è costituito dai sogni e dalle reminiscenze cinematografiche del protagonista. Mort immagina le situazioni della propria vita come scene di film di grandi autori del passato (da Fellini a Bergman, da Orson Welles a Godard e fino a Buñuel) e si abbandona spesso a ricordi nostalgici del bel cinema di una volta senza risparmiare frecciate e sarcasmo per quello del presente.

La verve e l’ironia sono quelle di sempre e i colori morbidi della fotografia di Storaro abbracciano alla perfezione questi sentimenti agrodolci. E anche se l’omaggio al grande cinema europeo è venato di una senilità malinconica e di un’ingenuità non proprio nelle corde di Allen, c’è sempre da divertirsi.
(Capitol / Uci Orio e Curno)

“The Human Voice” di Pedro Almodóvar

Trenta minuti, un set (al massimo due), un’attrice e una pièce teatrale. Di cosa ha bisogno Pedro Almodóvar per fare un grande film? Niente più che di questo si potrebbe rispondere. Poi certo, se l’attrice in questione è Tilda Swinton e la pièce un grande capolavoro di Jean Cocteau le cose possono sembrare un po’ più semplici. Ma è vero solo in parte.

Almodóvar adatta “La voix humaine” (già portata al cinema da Rossellini con Anna Magnani) ma ne restituisce una versione estremamente in linea con il proprio cinema intenso, caldo e ricco di sfumature. Le ultime ore della relazione di una donna, che apprende per telefono di essere stata lasciata dal proprio amante durante una chiamata che si interrompe di continuo, sono trasformate dal regista spagnolo in un annientamento. Non solo sentimentale ma anche fisico, materico, corporeo, in cui ogni oggetto, abito, elemento decorativo diventa metafora dello stato d’animo della protagonista.

Da maestro del mélo quale è Almodóvar costruisce attraverso le scenografie uno spazio pronto per essere smontato, disfatto e dato alle fiamme dall’enorme carica passionale alla base del racconto. E poi gioca con i colori, con la finzione e con la messinscena per restituirci, con tutta l’artificialità del cinema, un gioco al massacro che appare ancora più vero della realtà.
(Anteo Treviglio)

“Lasciali parlare” di Steven Soderbergh

Probabilmente la migliore fra le uscite di queste ultime settimane è l’ultimo film di Soderbergh. Girato a bordo della Queen Mary 2 durante una traversata atlantica da New York e Southampton con tre attrici fenomenali come Meryl Streep, Candice Bergen e Dianne Wiest, il film racconta di Alice, celebre scrittrice newyorkese che intraprende un viaggio nel Regno Unito per ritirare un premio letterario. Sceglie di andarci in nave invece che in aereo e decide di farsi accompagnare da due sue vecchie amiche dei tempi dell’università e dal giovane nipote. Durante il viaggio e il soggiorno inglese emergeranno ricordi, piacevoli reminiscenze ma anche antichi rancori.

La trama convenzionale è per Soderbergh l’occasione di riflettere su temi universali come il dolore, la morte e gli affetti più indissolubili. Nello spazio chiuso di un transatlantico (set perfetto per scappare dalla pandemia) si materializzano fantasmi, vecchie ferite tornano a sanguinare e i rapporti sopiti da tempo non si sgrovigliano più. Il senso di sospensione e precarietà e il pudore con cui il regista filma le fragilità dei propri personaggi, sono di una delicatezza e di una limpidezza straordinarie, ma avvertono anche della caducità del tempo e dell’irrisolutezza delle cose della vita. Sembra quasi un thriller “Lasciali parlare”, un film a incastri e nascondimenti che però, nonostante il titolo, non riesce a dire mai tutto fino in fondo.
(dal 27 maggio sulle principali piattaforme streaming)

“Gloria mundi” di Robert Guédiguian

Pochi registi hanno lo stesso rigore, la stessa forza d’animo e la stessa sincerità di Robert Guédiguian. Marsigliese di nascita, attaccatissimo alla sua città (in cui ha ambientato 19 dei 21 film che ha diretto) e al suo cinema umanista e militante, Guédiguian ha il pregio di aver creato, attraverso la propria filmografia, un piccolo universo. E “Gloria Mundi” è un altro tassello di quell’universo, questa volta un po’ più fosco e amaro del solito.

La storia ruota intorno a una famiglia di Marsiglia e ai rapporti logori fra i suoi componenti. All’inizio del film una delle protagoniste dà alla luce una bambina, Gloria, ma è un momento di felicità illusorio. La piccola nasce in un mondo egoista, gretto e profondamente materiale in cui le relazioni sembrano dominate, anche all’interno del nucleo familiare, da sentimenti futili e superficiali e dove lo spazio per l’empatia o la comprensione è quasi nullo.

È un film pessimista “Gloria Mundi”, uno dei più neri della carriera di un regista che sembra nutrire poca fiducia nel futuro e di credere ancora meno nelle persone, ma che tuttavia intravvede uno spiraglio anche nel più cupo degli universi. E come suggerisce il titolo, riecheggiante il motto latino Sic transit gloria mundi, la caducità delle cose terrene è ineluttabile, ma un po’ di Gloria può rinascere ovunque e dare speranza anche al più nero degli universi.
(Conca Verde)

“La donna alla finestra” di Joe Wright

Uno dei film più popolari del momento su Netflix è questo thriller psicologico diretto da Joe Wright con Amy Adams. Ambientato interamente in un appartamento di Manhattan racconta di Anna, una psicoterapeuta affetta da una grave forma di agorafobia e quindi impossibilitata a uscire di casa, che se ne sta tutto il giorno alla finestra a spiare il vicinato e a bere alcol. Proprio come il protagonista di “La finestra sul cortile” di Hitchcock – cui il film è dichiaratamente ispirato – Anna si convince di aver assistito a un omicidio avvenuto nella casa di fronte e da quel momento cerca in tutti i modi di far emergere la verità.

Non solo Hitchcock in realtà, i registi e gli attori del cinema classico americano citati più o meno apertamente sono tantissimi. Così come sono molteplici i richiami psicanalitici, le divagazioni oniriche e gli squarci che mischiano la realtà alla finzione, il sonno alla veglia, la verità all’inganno. Un universo simbolico quello di Wright dentro il quale lo spettatore viene portato all’interno della mente della protagonista fino a smarrirsi. Ma in fondo non è la risoluzione del mistero a interessare al regista, piuttosto la forma – articolata e rutilante – con cui confeziona il film. Una superficie sotto la quale non c’è niente da scoprire. Per qualcuno una perfetta metafora del presente, più probabilmente solo la strada senza uscita di un film suggestivo ma un po’ pasticciato (e pasticcione).
(Netflix)

Approfondimenti