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I film protagonisti dei Golden Globe e dove trovarli

Articolo. Aspettando gli Oscar fra poco più di un mese, diamo un’occhiata alle pellicole già disponibili o in arrivo sulle piattaforme streaming italiane. Per non farci trovare impreparati

Lettura 6 min.
I care a lot di J Blakeson

Un paio di settimane fa si è svolta la cerimonia di premiazione dei settantottesimi Golden Globe. Un’edizione ovviamente diversa da tutte le altre: slittata in avanti di quasi due mesi rispetto al solito, organizzata senza pubblico, ospiti e vincitori e persino in una doppia location con le due presentatrici, Tina Fey e Amy Poehler, collegate rispettivamente da Manhattan e Beverly Hills.

I Golden Globe sono i premi assegnati al cinema e alla televisione statunitense dai giornalisti della stampa estera facenti parte della Hollywood Foreign Press Association e tradizionalmente anticipano temi e protagonisti degli Oscar, la cui cerimonia è successiva di circa un paio mesi. Quest’anno, causa pandemia, anche gli Oscar sono scivolati in avanti di parecchie settimane (si svolgeranno il prossimo 25 aprile) tuttavia le indicazioni che i Golden Globe hanno dato riguardo al comparto cinematografico sono piuttosto significative e i film premiati saranno senz’altro quelli in primo piano anche ai prossimi Academy Awards.

Il palmarès ha riservato poche sorprese. Tutti i favoriti (o quasi) hanno tenuto fede alle attese e i premi sono andati alle opere dai contenuti più manifestamente attinenti alle tendenze sociali del momento. Film con a sfondo tematiche come la diversità, la discriminazione (sociale, razziale, di genere) o dallo spiccato accento politico si sono imposte e hanno confermato, una volta in più, su quali orientamenti si sia posizionato il dibattito culturale in seno alla società americana.

Ma quanti – e quali – di questi film arriveranno dalle nostre parti? In realtà alcuni sono già disponibili, anche da parecchio tempo, sulle varie piattaforme streaming. Mentre altri potrebbero sbarcare nelle prossime settimane o mesi proprio in occasione (o in conseguenza) degli Oscar. Per non farci trovare impreparati proviamo allora a fare una ricognizione (in alcuni casi un ripasso) e andiamo a dare un’occhiata ai titoli più significativi premiati ai Golden Globe 2021.

“Nomadland” di Cloé Zhao

Il vincitore assoluto (e annunciatissimo) è stato “Nomadland” di Cloé Zhao. Prima dei due Golden Globe come miglior film drammatico e miglior regia aveva vinto anche il Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia lo scorso settembre, candidandosi come uno dei film più importanti della stagione. Racconta la storia di Fern, una donna di circa sessant’anni (interpretata da Frances McDormand) che rimasta vedova e senza lavoro in conseguenza della crisi economica, lascia la propria casa nel Nevada e con un furgone inizia a girare il paese in lungo e in largo mantenendosi con lavori stagionali, inseguendo climi più miti, incontrando persone e vivendo esperienze di ogni tipo.

È un film sull’America “Nomadland”. La regista – cinese di nascita ma cresciuta studiando cinema a New York – partendo dall’anima più profonda e tradizionale del Paese fonde la Storia, fatta di pionieri, di frontiere e attraversate, con la geografia, fatta invece di pianure sterminate, grandi cieli e strade dritte come un colpo di fucile. In mezzo ci infila le contraddizioni dell’America contemporanea e riflettendo sulle conseguenze delle politiche trumpiane descrive una nazione che lascia indietro gli ultimi e dimentica e insieme si sbarazza di chi – e sono tanti – non risulta conforme a una certa idea di modernità o non accetta le regole sociali più consuete.

Aderendo alla visione umanista di Fran Zhao, senza dubbio con un certo schematismo e cogliendo furbescamente lo spirito dei tempi, costruisce un film suggestivo, in cui le metafore sono tutte al posto giusto e le istanze del presente ben riconoscibili. In Italia arriverà su Disney+ subito dopo gli Oscar, quando i Golden Globe e il Leone avranno almeno un altro paio di statuette a far loro compagnia.

“Borat – Seguito di film cinema” di Sasha Baron Cohen

Un po’ a sorpresa (ma nemmeno troppa) come miglior commedia ha vinto “Borat – Seguito di film cinema”, il cui titolo per intero sarebbe “Borat – Seguito di film cinema. Consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan”. Si trova su Prime Video ed è il seguito di “Borat” (anche qui il titolo sarebbe molto più lungo ma ce lo risparmiamo) del 2006, il mockumentary pseudo demenziale incentrato sul fantomatico giornalista kazako Borat Sagdiyev inviato negli Usa dal governo del proprio paese per studiare usi e costumi americani.

L’intento degli autori e dell’attore protagonista, il comico e performer inglese Sacha Baron Cohen (premiato anche come miglior attore comico), è quello di mettere a nudo i pregiudizi della cultura americana (razzismo, sessismo, fanatismo religioso) attraverso una satira feroce e oltremodo provocatoria. Se il film del 2006 era ambientato nell’America di Bush Jr., quello del 2020 sente la necessità di aggiornare il discorso all’epoca di Trump. Ed è una variazione sul tema in cui sopravvive lo stesso spirito dissacrante al limite dell’offensivo. Borat è sgradevolmente razzista, volgare, retrogrado e incivile e maschera i propri comportamenti eccessivi sotto una finta ingenuità.

È ovvio che più della ripugnante arretratezza culturale e della gretta ignoranza del popolo kazako (troppo assurde per essere credibili, ma c’è chi si è lamentato), il film vuole far emergere la mostruosità della cultura occidentale. E se si accetta di scendere a patto con la pellicola, e di resistere alle peggiori e demenziali provocazioni, il messaggio, in tutta la sua naïveté, può anche giungere a destinazione. Ma è comunque un grande “se”.

“Soul” di Peter Docter e Kemp Powers

Il premio per il miglior film d’animazione – e qui non c’è stata gara – e la miglior colonna sonora sono andati a “Soul” di Peter Docter e Kemp Powers. La nuova produzione Pixar, disponibile su Disney+ già dallo scorso Natale, mai come questa volta è un film per bambini solo in apparenza. Non mancano certo trovate e personaggi pensati per il pubblico dei più piccoli, ma i temi centrali si rivolgono soprattutto agli adulti. La storia, ambientata fra la Terra e una specie di limbo che sta nell’aldilà, racconta dell’incontro fra due anime: quella di Joe, pianista quarantenne che non vuole morire e dell’anima senza nome 22, ancora in procinto di diventare umana, che invece non vuole nascere.

Ne viene fuori un film affascinante, a metà fra spiritualità e umanesimo, in cui emergono le grandi domande dell’uomo e si interrogano i massimi sistemi. E non soltanto riguardo il “dopo”, ma anche e soprattutto il “prima”. A cosa siamo destinati? Perché scegliamo una strada piuttosto che un’altra? Come e da dove nascono le nostre passioni? Quale significato ha ogni singolo giorno della nostra vita? La risposta – senz’altro un po’ facile e sbrigativa – sta forse nella frase con cui il film si apre: “proviamo qualcos’altro!”.

Una specie di monito a cercare l’unicità e la straordinarietà nel quotidiano, ad appassionarsi alle piccole cose (una fetta di pizza, un motivo musicale, un tramonto, una foglia secca che cade dall’albero fluttuando nell’aria) e a non smettere mai di sognare. La vita, quella vera, è molto più complessa di così, ma in fondo quello dell’anima resta un mistero antico e inestricabile quanto quello della vita e provare a renderlo un po’ più semplice è certamente un buon punto di partenza.

Gli altri

Di alcuni degli altri film premiati avevamo già parlato negli scorsi mesi in diverse occasioni (“Il processo ai Chicago 7”, “Ma Rainey’s Black Bottom”, “Promising Young Woman”) mentre di molti altri sentiremo parlare nel prosieguo della stagione. Come di due opere incentrate sulla tematica razziale che stanno accendendo il dibattito negli Usa in queste settimane e destinati a far discutere: “The United States vs. Billie Holiday” di Lee Daniels (su Hulu) e “Judas and the Black Messiah” di Shaka King (ad oggi su HBO Max). Oppure come all’opera premiata come miglior film in lingua straniera, “Minari” di Lee Isaac Chung, incentrato sulla vita di un ragazzino coreano-americano trasferitosi con la famiglia in Arkansas negli anni Ottanta e dei suoi sforzi per inserirsi in un mondo completamente estraneo.

“I Care a Lot” di J Blakeson

Tornando però ai titoli già disponibili per lo streaming, chiudiamo parlando del film per cui Rosamude Pike si è aggiudicata il premio come miglior attrice protagonista in una commedia: “I Care a Lot”. Diretto dal regista britannico J Blakeson e su Prime Video da fine febbraio, per la verità non è esattamente una commedia. Anche se non mancano trovate e battute brillanti si tratta infatti di un thriller ambientato nel mondo della sanità americana. La storia è quella di Marla, giovane manager senza alcuno scrupolo morale, che ordisce truffe elaborate e all’apparenza del tutto legali, per derubare anziani (ma nemmeno troppo) non autosufficienti (ma nemmeno troppo) rinchiudendoli in case di riposo con la complicità di queste ultime e facendosi nominare loro tutrice legale grazie alle perizie di medici conniventi e le ordinanze di giudici babbei. Il giorno in cui però sceglie la vittima sbagliata, le cose prendono una brutta piega.

Il pregio del film – pur nei suoi eccessi aderenti al cinema di genere e alla necessaria “sospensione dell’incredulità” che richiede allo spettatore per accettare i momenti di inverosimiglianza della trama – è quello di toccare uno dei punti nevralgici su cui si regge il sistema sanitario privato americano: quello della cura della terza età. E di mostrarne l’impressionante distorsione cui è stato condotto dalle logiche capitaliste. L’idea del film di non costruire un j’accuse, ma piuttosto di spingere sul tasto dell’immoralità nonostante la catarsi finale è senz’altro vincente. Il risultato, pur in un impianto narrativo piuttosto tradizionale e forse un po’ superato, colpisce senza dubbio a livello emotivo e anche per merito di tutti gli attori protagonisti: non solo Pike ma pure una splendida e immortale Dianne Wiest e uno spassosissimo Peter Dinklage.

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