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Alberto Bortolotti, desincronizzare la città per vivere felici

Articolo. La pandemia ha introdotto diversi cambiamenti urbani, primo fra tutti la necessità di limitare i congestionamenti. Per ridurre traffico e non avere più una sola “ora di punta” possiamo pensare a orari diversificati per il lavoro, la scuola, i servizi. Lo spiega l’architetto milanese, ospite de Le Primavere di Como 2022, su Bergamo TV domenica 19 giugno alle 15

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Alberto Bortolotti a Como (Butti))

E se desincronizzassimo la città? La vita diventerebbe più vivibile distribuendo su orari diversi i nostri impegni quotidiani, in modo da avere meno traffico e meno stress? Se lo è chiesto Alberto Bortolotti, architetto e urbanista milanese, giovedì 28 aprile nella Sala Bianca del Teatro Sociale di Como. I momenti più significativi dell’incontro, parte della decima edizione del festival Le Primavere, verranno trasmessi su Bergamo TV (canale 15) domenica 19 giugno alle ore 15.

Consigliere Iunior dell’Ordine degli Architetti di Milano, Bortolotti collabora con il Politecnico di Milano e ha svolto il proprio apprendistato presso lo studio del Commissario Presidenziale per la Politica Architettonica Coreana Seung H-Sang. È autore del saggio «“Modello Milano”? Una ricerca su alcune grandi trasformazioni urbane recenti».

L’intervista

MM: È davvero possibile cambiare gli orari della città?

AB: A Milano è stato sperimentato qualcosa di simile durante la pandemia. Per evitare il congestionamento delle metropolitane, l’idea è che bisognasse aprire alcuni luoghi della città in “ritardo”, ad esempio le banche aprivano alle 10. Oppure le scuole con orari di ingresso diversificati.

MM: E adesso?

AB: Per desincronizzare servirebbe un intervento nazionale, ad esempio per cambiare gli orari delle scuole. Oppure accordi con associazioni di categorie per favorire lo smart working e sincronizzazioni in maniera diversa degli orari di lavoro. Per ora, dalla pandemia rimane una maggiore flessibilità del lavoro, anche se non più uno smart working permanente. Ma non è l’unico cambiamento urbano introdotto dal Covid.

MM: Cos’altro è cambiato?

AB: Cambia il modo di vivere gli spazi della città: piazze, strade, musei, centri di aggregazione. Si afferma il concetto di “città a 15 minuti”, dove tutti i servizi di base per il cittadino sono disponibili entro un quarto d’ora a piedi. Questo rafforza la vita di quartiere. Anche la digitalizzazione ha un forte impatto sugli spostamenti, prima di tutto perché permette di farne di meno (con lo smart working, rendendo accessibili online più servizi) e poi perché li semplifica, pensiamo all’auto in car sharing che trovo e pago tramite app.

MM: Iniziative che servono anche a ridurre l’inquinamento, giusto?

AB: Lavorare sugli spazi pubblici favorisce una forte decarbonizzazione della città. Si svuota il traffico dal centro creando hub più periferici e una città policentrica. Servono regolazione e interventi per rendere attrattive le zone meno interessanti della città, è un lavoro complesso.

MM: Lei sostiene che ora non vi siano più condizioni privilegiate per le città nell’essere riferimento del proprio territorio, bensì è diventato fondamentale rappresentare una porta per il flusso di capitali finanziari che si sposta rapidamente in un network di città globali. Cosa significa?

AB: Storicamente le città contavano in base al numero di abitanti, con la globalizzazione il cambiamento è radicale. La mondializzazione dei processi economici ha reso importanti anche città più piccole, pensiamo ad esempio a Zurigo. Per fare un esempio, Lagos – città nigeriana di 16 milioni di abitanti – è meno competitiva di Rotterdam, città di medie dimensioni con 600mila abitanti ma il porto commerciale più importante d’Europa. L’importanza delle città trascende anche le logiche del potere amministrativo.

MM: Esiste un “modello Milano”?

AB: A partire dalla sua posizione geograficamente favorevole, nel cuore dell’area padana e al contempo baricentro di flussi di scambio tra la nazione e l’Europa, Milano ha un carattere fortemente gravitazionale, portando la città a “con-fondersi” con il territorio. È in questa complessa geografia che si sviluppa la capacità di relazionarsi con una rete interdipendente, legando realtà provinciali attorno al cuore del capoluogo di regione. Questa concezione, per così dire “allargata”, del sistema Milano, è prodotta non solo da un’analisi dei flussi e delle reti presenti, ma avvalorata dalla prospettiva assunta da alcuni istituti di rating quali il McKinsey Global Institute Cityscope, il quale considera la città di Milano non tanto nei suoi confini amministrativi, quanto più inglobando l’intera regione urbana, definendo un vero e proprio “sistema policentrico” ospitante quasi 8 milioni di abitanti, con un PIL complessivo stimato di 358 miliardi di dollari.

MM: In questo scenario, qual è il ruolo di città più piccole, come Bergamo?

AB: Fare gioco di squadra fra città dell’hinterland e sviluppare strategie comuni e filiere del valore che fanno perno su Milano.

L’incontro

Parola chiave “desincronizzazione” per l’incontro di ieri pomeriggio proposto dal festival Le Primavere, nella Sala Bianca del Teatro Sociale con Alberto Bortolotti. Vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Milano, ricercatore nel campo delle politiche urbane del dipartimento di architettura e studi urbani del Politecnico, ha ragionato con il caporedattore de La Provincia Vittorio Colombo e con il collega Mauro Brolis, giornalista di eco.bergamo proprio rispetto alla desincronizzazione delle città, partendo dal cosiddetto “Modello Milano”.

«È l’unica città italiana che è riuscita a codificare uno sviluppo di sé dentro i processi di interdipendenza economica globale, parallelamente alla crisi delle istituzioni nazionali ed europee – spiega – Il Cresme stima che ci siano 4,2 milioni di persone afferenti al suo sistema urbano, quindi ha una capacità attrattiva molto forte. Attira anche dal Piemonte, dalla Liguria e dall’Emilia Romagna, quindi anche oltre il suo ruolo di capoluogo lombardo. È considerata a pari importanza con Parigi, Londra, Amburgo e Monaco, è una città che può concorrere, assieme a Roma, al ruolo di “global node”».

Ma esiste un “modello Milano”? «È stato il sindaco Giuseppe Sala a lanciarlo – risponde – ma non credo che sia replicabile. Ma questa narrazione è molto forte e contribuisce a creare sviluppo urbano di successo». Non senza aspetti critici e negativi: «Una città come Milano detta legge nei territori provinciali, generando una condizione “tirannica” della città nei confronti della provincia. In questo scenario, il ruolo politico dei sindaci delle città globali si è fortemente consolidato. Sicché, nella globalizzazione le grandi sfide di sviluppo urbano si giocano sulla capacità dei governi di esercitare state-craft facendo leva sulle città, utilizzando un potere di tipo relazionale-strategico».

Come si è trasformata Milano? «Questa trasformazione si è sviluppata in un periodo storico ben preciso che è quello che coincide con la nascita del sistema euro, con la finanziarizzazione delle banche nazionali e la concentrazione dei relativi spin-off Milano (Eni, Enel, Ras, San Paolo, ecc.), operazioni inedite che collocano la città nella mappa degli investitori nazionali». Così si moltiplicano le zone della città dove si stanno attuando cambiamenti. E Bortolotti azzarda anche un parallelo con Singapore e con altre grandi città in via di mutazione, «sebbene vi siano caratteristiche molto diverse che le contraddistinguono. Milano sta subendo interventi molto più grandi Di altre realtà internazionali».

E arriviamo alla desincronizzazione, accelerata dalla pandemia e dal lockdown che ha visto Milano attrezzarsi in modi che non sembravano possibili per la città che ha il mito della frenesia, della velocità e del lavoro costante. «È cambiata la mobilità – considera Bortolotti – al punto che adesso si sta ragionando di pedonalizzare parte di un’arteria importante come Corso Buenos Aires. Importante in questo senso è anche la “decarbonizzazione”, la riduzione delle automobili». Altro tema è quello dell’“urbanistica tattica” che consiste nell’adozione di interventi localizzati, realizzati con mezzi leggeri e un ridotto processo burocratico, ma di forte impatto visivo, con lo scopo di innescare un miglioramento della vivibilità urbana partendo dalla partecipazione dei cittadini. Peraltro «Milano ha inintenzionalmente riavviato la propria corsa alla dimensione internazionale, con notevoli criticità legate alle disuguaglianze salariali, all’accesso alla casa, al decentramento amministrativo».

(Alessio Brunialti, da La Provincia di Como, 29 aprile 2022)

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