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Philipp Bonhoeffer e il borgo medievale dove musicisti e scienziati riscoprono la loro creatività

Articolo. Per Le Primavere 2022, il cardiologo e liutaio tedesco ha presentato il suo progetto «Il poggio – Scienza & Musica», un borgo toscano trasformato in un luogo di incontro e contaminazione tra scienza e arte. L’appuntamento verrà trasmesso su Bergamo TV domenica 29 maggio alle 15

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Philipp Bonhoeffer (Foto Butti)

«È successa una cosa che non avevo il coraggio di sognare»: così Philipp Bonhoeffer, cardiologo infantile, liutaio e musicista introduce il suo progetto, «Il poggio – Scienza & Musica», un borgo medievale a rischio spopolamento che ha trasformato in un luogo di incontro per musicisti e scienziati. Bonhoeffer ha raccontato la storia completa di questo sogno diventato realtà in un intervento alla Sala Bianca del Teatro Sociale di Como lo scorso 29 aprile, dal titolo «Le città e la loro anima. I luoghi nati da un sogno» – che verrà trasmesso su Bergamo TV domenica 29 maggio alle 15.

Quella che Bonhoeffer si è costruito a Montecastelli Pisano (questo il nome del borgo) è una seconda vita, all’apparenza molto distante dalla prima, che l’ha visto come cardiologo di spicco tra Italia, Africa, Francia e Gran Bretagna. Dalle grandi città a un minuscolo paesino toscano, in un’evoluzione atipica tra tutte quelle possibili della nostra dimensione abitativa presente e futura. Un tema esplorato su tutti i fronti da Le Primavere 2022, il festival de La Provincia di Como che ha ospitato l’intervento di Bonhoeffer, nel quale il tema è proprio la città, intesa come «agglomerato di quartieri interconnessi fra di loro non più da “consumare” ma su cui investire come donne e uomini».

Il tema di questa edizione è stato «(meta)verso la città ideale»: un viaggio tra le città che conosciamo e quelle che conosceremo. Un’esplorazione su più fronti, «utilizzando la specificità dei diversi linguaggi scientifici e artistici, secondo dialoghi interdisciplinari che uniranno la letteratura, l’architettura, il teatro e la musica», con le voci di «filosofi, storici, ingegneri, architetti, psicologi e testimoni dell’anima delle città».

Ora è il turno di Bonhoeffer, nato e cresciuto in Germania, in un ambiente scientifico e musicale. Dopo aver studiato medicina a Milano e cardiologia a Pavia, diretto il Reparto di Cardiologia dell’Institute of Child Health al University College di Londra e progettato un catetere, efficace ed economico, per il trattamento della stenosi mitralica, ha coltivato altri interessi al di fuori della medicina. Fin da bambino suonava il violino e la viola ed era appassionato di liuteria. Dal 2010 ha ampliato il suo interesse per gli strumenti ad arco dedicandosi alla costruzione di violini, sotto la guida di Stefan Peter Greiner.

Nelle sue parole: «ho avuto due grandi interessi nella mia vita: da un lato scientifico, medico e dall’altro musicale. Sono cresciuto in una famiglia di ricercatori, che aveva anche una vena musicale. È così che mi sono sempre confrontato con le incompatibilità tra il mondo scientifico e quello musicale: nella musica non c’era spazio per la razionalità delle scienze, nella medicina non c’era quella libertà di pensiero irrazionale che è necessaria nella musica».

Proprio da qui, dall’osservazione di questa incompatibilità apparente, è partita la sua riflessione: «più andavo avanti negli anni e più mi rendevo conto che quell’approccio era sbagliato alla base. La verità è tutto il contrario. C’è compatibilità tra l’arte in genere e le scienze. Così ho iniziato a esplorarla, innanzitutto per me, ma poi, più in generale, anche per altri, per interesse scientifico».

«Sono sempre stato affascinato dalla pluridisciplinarietà», continua, «già quando mi dedicavo esclusivamente alla medicina. Mi veniva da pensare, per esempio, che determinate tecniche imparate col violino, tecniche di cultura del movimento, si potevano insegnare come gestualità in medicina, oppure che l’interazione tra musicisti in un quartetto d’archi non è tanto diverso da quella che si viene a strutturare tra medici e infermieri sul tavolo operatorio».

Così è nato un sogno. O meglio, «una serie di coincidenze che hanno realizzato un sogno». Una storia in evoluzione lenta e costante, fonte di continue sorprese, che è iniziata in un modo del tutto inaspettato: nell’incrocio tra le colline toscane, un paesino sperduto e… un pianoforte. Anzi, due.

«Un mio zio aveva un podere in Toscana», racconta Bonhoeffer: «ci trascorrevo molto tempo quando ero giovane, ero innamorato di quel posto. Così, quando lui mi ha detto che non se la sentiva più di mantenerlo, non ci ho pensato due volte a comprarlo. È tutt’oggi uno dei posti che preferisco al mondo. Da lì si vede Montecastelli, questo paesino sperduto in cima a una collina, composto da quattro case in croce. Lo osservavo e mi chiedevo chi vivesse in un posto del genere. Incuriosito, ho cominciato a fare qualche concerto lì e, insomma, da cosa nasce cosa».

«Per una strana serie di coincidenze mi sono ritrovato a comprare due pianoforti», spiega: «uno, bellissimo, era quello che volevo da sempre, e l’ho sistemato nella casa che occupavo nel podere; il secondo, appartenuto al mio bisnonno, che ho comprato da mio zio ma che non sapevo dove mettere. Così mi sono trovato a cercare casa per il pianoforte. E ho comprato la prima casa a Montecastelli».

Quella che segue è una storia di concerti, chiese sconsacrate, complessi medievali e sale per la musica, che ha portato alla creazione di un luogo di accoglienza, di incontro e di scambio per musicisti e scienziati. «L’idea fondamentale», spiega Bonhoeffer, «è quella di portare insieme persone provenienti da ambienti diversi, perché si incontrino, si scontrino e si scambino idee».

L’edizione di quest’anno de Le Primavere cita «Le città invisibili» di Italo Calvino per spiegare l’approccio al tema centrale della città: «D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Così ho chiesto a Bonhoeffer quale fosse la domanda a cui risponde «Il poggio». «Una delle domande che mi sono posto quando ho iniziato», mi spiega, «è stata: “È possibile interessarsi di argomenti fondamentali per la nostra esistenza senza fare grandi pensieri di utilità?”».

«Ho l’impressione che oggi si calcoli tutto in termini di efficienza e ritorno economico», continua. «Il fatto è, però, che la cultura non ha un utile immediato né sicuro. La mia sarà anche una visione molto idealistica, ma penso che, se alle persone è permesso riunirsi senza un diretto interesse economico, questo permette la libertà di pensiero, che a sua volta fa nascere le cose più grandi. Per dire: quando hanno posto la prima pietra del Duomo di Firenze, non credo che abbiano pensato a quanti fedeli si sarebbero presentati né agli introiti che avrebbe portato agli alberghi circostanti».

Riassume così quello che è successo con «Il poggio»: «L’idea non è l’efficienza. È un progetto che prima è stato realizzato e poi ha dimostrato la sua efficienza». È andata bene, ma sarebbe potuta andare storta in moltissimi versi. Bonhoeffer parla di «fragilità delle idee»: «ci sono molti momenti in cui un’idea si può guastare. In un progetto come questo le persone del paese possono non volere un’intrusione esterna, oppure le belle arti possono mettersi di traverso. Perché un progetto funzioni, ci vogliono le giuste persone, la giusta fortuna e la giusta partecipazione».

Un elemento, quest’ultimo, che non è mai mancato. Fin da subito gli abitanti del paese di Montecastelli sono stati coinvolti in prima persona. Come per la sala da concerti, in cui non c’è una sedia uguale all’altra: «all’origine i quartetti da camera si eseguivano in stanza private, in cui si radunavano tutte le sedie che si trovavano in casa. Così mi è venuta l’idea di chiedere a chi voleva di portare una sedia per la nostra sala da concerti, per renderla più divertente. Chi assiste ai nostri concerti ora può sedersi su una sedia da barbiere, sulla sedia di un contadino toscano o sulla sedia di un premio Nobel». Una piccola storia di successo, che, si spera, possa ispirare le città del futuro.

L’incontro

Grazie al festival Le Primavere si incontrano persone davvero straordinarie. È sicuramente il caso di Philipp Bonhoeffer, che ha letteralmente ipnotizzato il pubblico della Sala Bianca del Ridotto del Teatro Sociale raccontando una storia. La sua storia.

Una storia che ha inizio molti anni fa in Germania, dove è nato e cresciuto e arriva in Toscana, a Montecastelli Pisano. «Devo, e me ne scuso, parlare un po’ di me – esordisce – Io sono cresciuto in una famiglia scientifica e musicale. A un certo punto ho deciso di dedicarmi alla medicina e ho deciso di trasferirmi in Italia. E avevo una grandissima passione per gli strumenti musicali, fin dalla giovane età e, infatti oggi la mia occupazione principale è la costruzione di violini». Come c’è arrivato? «Io lavoravo in Kenya e insegnavo cardiologia, ma questa attività era illogica: perché potevamo diagnosticare la malattia, ma poi non c’erano cure. A un certo punto sono riuscito a curare un po’ di casi, poi dalla necessità di curare bambini con determinate malattie, ho sviluppato un’idea, una tecnologia per il cateterismo cardiaco. L’accesso alla tecnologia mi ha dato un’altra idea, per impiantare una valvola nei pazienti senza ricorrere alla cardiochirurgia».

E questa è solo la prima parte della sua vita. «Arriviamo a Montecastelli, alla rivitalizzazione di un borgo. Io avevo esperienza nel business, con progetti scientifici, una certa storia di innovazioni, avevo interesse scientifico e anche musicale e poi degli amici entusiasti. Per far rinascere un paese ci vuole un’idea, e una strategia operativa, una tematica come veicolo, una visione, naturalmente anche il supporto amministrativo e i mezzi economici. E poi ci vuole la materia prima: un bel borgo!
Io non avevo quasi niente di tutto questo: c’era solo il borgo e un po’ di soldi. La verità è che la Toscana è bella, l’ho conosciuta grazie a uno zio che aveva una casa che poi ho preso io. Il mio sogno in quella casa era avere un pianoforte, perché qualcuno mi accompagnasse quando suono violino e viola. Un altro mio zio direttore d’orchestra mi ha proposto un altro pianoforte, quello del mio bisnonno che era una grande musicista e compositore e la casa Bösendorfer ne aveva creato uno apposta per lui. Allora ho preso il secondo pianoforte, ma a quel punto mi serviva una seconda casa. Che ho trovato a Montecastelli. Ho conosciuto la gente, mi hanno chiesto se non potevo tenere qualche concerto»
. E ne ha tenuti, all’aperto, con grande successo, tanto che il sindaco gli disse di tenerne altri al chiuso. Ma non c’era una sala. «In realtà c’era, ma era così brutta che non ve la faccio neppure vedere in foto. Me la concessero gratuitamente, purché venisse rimessa a posto, non si sapeva neppure di chi fosse. Ma alla fine l’abbiamo recuperata e abbiamo fatto altri concerti, ma... Dove potevo far dormire i musicisti? Serviva una foresteria...».

Una nuova impresa: «Ho fatto una follia: restaurare il complesso medioevale vicino alla sala. È diventato un luogo di accoglienza, di incontro e scambi per musicisti e scienziati. Credo infatti che gli uni abbiano bisogno degli altri: i musicisti dovrebbero sapere almeno come funzionano orecchio e cervello; gli scienziati dovrebbero essere più fantasiosi». Insomma, passo dopo passo, senza idea né progetto, il professor Bonhoeffer ha letteralmente trasformato un intero paese. Dal 2010 ha ampliato il suo interesse per gli strumenti ad arco dedicandosi alla costruzione di violini, sotto la guida di Stefan Peter Greiner.

(Alessio Brunialti, da La Provincia di Como, 30 aprile 2022)

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