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#allamiaetà: Attilio Pizzigoni, «il futuro ci viene incontro con l’antico»

Articolo. Dalla geometria di Euclide al Partenone, lo splendore del passato illumina l’oggi e il domani per l’architetto bergamasco, che in occasione di Bergamo e Brescia Capitale della Cultura 2023 fa luce su due tesori da valorizzare: la scuola d’architettura di Crotti e gli artisti locali del Novecento

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Attilio Pizzigoni

Il tesserino è il numero 130, l’anno il 1973. Attilio Pizzigoni si è iscritto all’Ordine degli Architetti di Bergamo a metà anni Settanta, dopo una formazione al Politecnico di Milano con grandi nomi della progettazione come Gregotti e Portoghesi. Ora il mestiere è esploso e gli architetti sono oltre 3000 nella sola provincia di Bergamo, dove si possono vedere i tanti progetti realizzati di Pizzigoni: dalla facciata laterale del Teatro Donizetti, alla premiatissima Casa Margiotta di via Angelo Maj a pochi metri dal Liceo Lussana, alla sede dell’ATB nei pressi della rotonda delle valli, alle case popolari di Colognola, al recupero del Castello di Malpaga. Progetti diversi, tra edilizia privata, pubblica e restauri e opere pubbliche, che punteggiano Bergamo, città amatissima dall’architetto.

«La nostra città è meravigliosa e come tutte le cose belle è riuscita a sopportare anche qualche sfregio meglio di altre, senza perdere il suo fascino» – spiega - «A dare forma alla Bergamo contemporanea come la conosciamo noi, nella seconda parte del Novecento, sono stati i piani regolatori, importanti modelli di avanguardia teorica come il Piano Muzio, il Piano Astengo o il Secchi, nonostante siano stati traditi quando si è trattato di metterli in atto».

Non c’è solo il costruito però ad affascinare Attilio Pizzigoni, ma anche le architetture del verde, «bellezze nascoste come i giardini interni sui colli o le ortaglie sui terrazzamenti a pochi passi da Città Alta, che ormai stanno scomparendo. Io sono nato là, in mezzo alle coltivazioni, sotto le mura, mi ricordo come si viveva lungo i sentieri che si arrampicavano sulle colline, ora invece nei pressi delle piscine ci sono solo palazzi e ville».

Il legame con la natura per Pizzigoni non è solo una questione di nostalgia, ma anche un’occasione persa: «avremmo potuto costruire un rapporto virtuoso tra Bergamo e la sua orografia, ma non ci siamo riusciti» – spiega – «Penso al Morla, il corso d’acqua che arriva in città e sorge dal Canto Alto: fino a Valtesse è ancora in natura, poi comincia a scorrere sotterraneo, stretto tra le case. Ci hanno perfino costruito sopra il Palazzetto dello Sport».

«Dal palazzo delle Arti Grafiche di via Zanica, ai quartieri di periferia dell’edilizia economica popolare, l’intera città in più zone nel Dopoguerra è stata costruita su delle urgenze, ci sono stati sprechi e interi palazzi bellissimi di fine Ottocento, come quelli in via Paleocapa, sono stati abbattuti».

Nonostante questo, secondo l’architetto bergamasco, la città non ha perso il suo fascino e, con questo, anche la sua capacità di farti sentire accolto. «Bergamo è un po’ un nido di ovatta e ti trattiene con sé, anche se personalmente da giovane sono stato molto attirato da Milano». Gli anni degli studi al Politecnico per Pizzigoni, infatti, sono un periodo felice di entusiasmo e condivisione, di vita da bottega rinascimentale insieme a grandi architetti come Gregotti, Rossi e Portoghesi. «Ricordo l’aula M del Politecnico come un laboratorio di sperimentazione continua. Gregotti veniva tutti i giorni e stava con noi fino a pomeriggio inoltrato, ci parlava dei libri che stava leggendo e noi divoravamo i suoi scritti del volume “Il territorio dell’architettura” o “L’architettura della città” di Rossi».

Con la consapevolezza di essere stato fortunato a vivere negli anni d’oro dell’architettura e del design italiano, che erano «un riferimento per il mondo intero», Pizzigoni rileva anche il lato d’ombra di un’epoca: «negli anni seguenti ho visto l’evanescenza di una classe di professori mediocri e il deperimento delle facoltà di architettura del paese». Oggi, secondo Pizzigoni l’architettura italiana nel mondo esiste solo grazie a Renzo Piano, «anche se lui è italiano per modo di dire, in più la nostra accademia l’ha riconosciuto solo dopo che il mondo l’aveva già celebrato».

Oltre a Renzo Piano, ci sono anche altre figure rimaste più in ombra che meriterebbero più attenzione, come ritiene l’architetto bergamasco: «è il caso di Sergio Crotti, assistente di Gregotti poi divenuto professore al Politecnico e a Bergamo: tutti gli architetti nati negli anni Settanta sono figli della sua formazione, non solo in città, ma anche a Brescia».

Da qui arriva lo spunto per un rilancio su Bergamo e Brescia Capitale della Cultura 2023: «Mi meraviglio del fatto che il mondo dell’architettura non sia preso in considerazione per quest’anno di eventi. Si sarebbe potuto dedicare spazio alla scuola bergamasca Crotti e lo dico pur avendo avuto antagonismi e incomprensioni con lui, ma lo merita» – spiega Pizzigoni – «Aveva fatto un piano dei borghi di Bergamo bellissimo ma trascurato e aveva istituito una scuola-seminario di architettura che si teneva in Sant’Agostino per 2-3 settimane attirando architetti da tutto il mondo. Con lui la città dovrebbe riconoscere anche il suo prezioso lascito di idee».

Ed è proprio sulle idee che è centrata la visione di Pizzigoni professore, docente di Architettura e Rappresentazione all’Università di Bergamo. Tra i fondamentali da condividere con i suoi studenti, un concetto, «progettare è prima di tutto un’attività di ricerca e ragionamento», e la visione dell’insegnamento come vocazione per cui «bisogna insegnare a pensare, un atto di amore per far nascere il gusto del sapere disinteressato, che viene prima del voto e delle competenze».

L’architetto bergamasco, inoltre, in ambito progettuale e didattico non nega il valore di tecnologia e innovazione, ma sottolinea l’importanza della consapevolezza del passato: «la storia contiene degli insegnamenti indispensabili per andare avanti, come diceva Heidegger: “il futuro ci viene incontro con l’antico”». Lo sguardo di Pizzigoni va ai piani di studio delle facoltà di architettura di oggi: «matematica e geometria nelle università hanno sempre meno spazio, eppure sono fondamentali per ragionare e per capire lo spazio; sono le matrici del pensiero progettuale, dalle origini antichissime».

Pizzigoni pensa quindi a Brunelleschi, personaggio chiave del rapporto tra antico e moderno a cui ha dedicato una pubblicazione. «Lui andava a Roma a misurare le rovine ed è stato capace di costruire l’opera più meravigliosa dell’ingegneria e dell’architettura italiana, la Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze». Un altro innovatore che viene dall’antico, di cui l’architetto ha scritto è Le Corbusier, «il maestro del Novecento, è ricerca, sperimentazione e avanguardia. Lui ha guardato al Partenone e ai Greci e senza la geometria euclidea il suo pensiero non potrebbe esistere».

Non solo architettura per Pizzigoni, ma anche editoria e arte: è lui ad aver fondato La Rivista di Bergamo e ad aver scritto decine di articoli di arte contemporanea. «Tra i professori che avevo in università c’era anche Mario de Micheli, un critico d’arte a cui mi ero molto affezionato: con lui è nata la rivista Arte Contro a cui abbiamo lavorato insieme». La passione per l’arte poi è proseguita nel tempo e ancora oggi Pizzigoni è attivo nel dibattito contemporaneo: «Bergamo ha la memoria corta, torno ancora all’opportunità della Capitale della Cultura 2023. Se fossimo in Francia o in Svizzera tutta la storia del Novecento Bergamasco sarebbe stata valorizzata: riscopriamo Piero Cattaneo, Costante Coter, la scuola di Funi e i giovani degli anni Cinquanta. Bisognerebbe fare grande mostra sull’arte del Novecento a Bergamo, sarebbe un’occasione per scoprire di avere un tesoro in casa».

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