93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Giorno della Memoria 2021. Se “inciampi” nella memoria, è impossibile dimenticare

Articolo. L’ex Carcere di Sant’Agata, Alessandro Zappata, le pietre d’inciampo: a Bergamo, le iniziative dell’Assessorato alla Cultura del Comune per il 27 gennaio riportano a casa la storia. Perché in fondo ricordare non è solo un dovere, ma anche un diritto

Lettura 4 min.
L’ex Carcere di Sant’Agata (Disma Ballabio 2018)

Il 27 gennaio è stato proclamato, per legge della Repubblica Italiana, “Giorno della Memoria”, con lo scopo di ricordare il giorno in cui, nel 1945, il campo di Auschwitz si mostrò agli occhi del mondo, con il suo carico di orrori e violenza.

Eccoci di nuovo qui. Come ogni anno, il 27 gennaio ricorre, per legge, il dovere di ricordare. Ma ricordare è solo un dovere o anche un diritto? E se ci pensiamo davvero, come e che cosa ricordiamo? Quando abbiamo rinunciato a costruire una memoria pubblica per naufragare nell’inconsistenza de “La Repubblica del dolore” (il titolo è di un illuminante volume di Giovanni De Luna, che vivamente consiglio)?

Abbiamo perso la memoria

Monumenti ieratici, retorici, da venerare e osservare a distanza, che finiscono per diventare alibi per non ricordare proprio nulla. La ripetizione continua di una contabilità delle vittime, così iperbolica da diventare astratta.

10 milioni di vittime nei campi di sterminio nazisti; 400 mila morti e 11 milioni di profughi in dieci anni di guerra in Siria; “solo” 1096 migranti che nel 2020 hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo quando nel 2019 erano circa 1.835…

L’iterazione ossessiva in ogni contesto, dai media ai libri di scuola, delle medesime immagini “simboliche” della Shoah, talmente riprodotte da essere diventate mute. L’acquiescenza a una “tv del dolore” che per commuovere l’audience dilata, grida e banalizza le emozioni del lutto e della sofferenza.

A Bergamo si cambia passo

La premessa pare desolante, ma in realtà è suscitata dalla bella sorpresa riservata dal programma con cui quest’anno l’Amministrazione comunale di Bergamo celebra la ricorrenza del Giorno della Memoria, sia pure se necessariamente pensato per essere fruito via web, social e radio.

Già da qualche anno le iniziative elaborate dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo in collaborazione con istituti, musei, biblioteche, associazioni e realtà culturali della città, accanto alle cerimonie istituzionali, sono andate alla ricerca di modi e linguaggi nuovi per fare memoria (tra gli altri, ricordiamo lo spettacolo teatrale “Matilde e il tram di San Vittore”, che ha riportato in luce il ruolo dell’ex caserma Montelungo nel sistema di deportazione nazifascista).

Quest’anno tuttavia ci pare che, finalmente, la nostra città faccia un passo importante verso la “demolizione” di quelle forme che hanno finito per svuotare di senso e di emozione il nostro rapporto col passato. Un bel segnale in una città che la pandemia ha risucchiato con prepotenza nel faticoso ma necessario processo dell’elaborazione del lutto e della memoria pubblica.

Tre gli aspetti che più di tutti ci fanno drizzare le antenne nel programma delle celebrazioni del Giorno della Memoria.

Innanzitutto Isrec nel 2021 ha messo al centro del suo lavoro di ricerca l’ex Carcere di Sant’Agata in Città Alta, oggi bene comune e spazio per attività culturali, artistiche e aggregative ma che è stato luogo della repressione nazifascista. Tra quelle pietre ancora possiamo “sentire” l’incrocio di vite vere che qui si sono interrotte, di persone che non hanno fatto più ritorno alle loro case. Lo racconta bene il libro “Se quei muri potessero parlare” di Elisabetta Ruffini.

E quei muri la ricerca li fa parlare eccome. Da quelle pietre ascoltiamo le storie di uomini e donne detenuti nelle prigioni di Città Alta prima di essere deportati in Germania. Li abbiamo dunque dentro il nostro tessuto urbano, nella vita di tutti i giorni, i veri luoghi della memoria. Troppo comodo espropriarli di questo ruolo, smettere di interrogarli e delegare il nostro dovere alla memoria al giganteggiare in mezzo a piazze (o peggio ancora, a rotonde) di monumenti ieratici, statici e autoreferenziali.

La seconda sorpresa del nostro Giorno della Memoria è il riaffiorare, dalle pietre di Sant’Agata e dalla ricerca, della figura di Alessandro Zappata, la cui storia era solo parzialmente nota. Si credeva fosse guardia carceraria di San Vittore e solo il confronto tra diversi studiosi ha permesso di riannodare il filo perduto della sua vita, collegando Bergamo con Milano fino al campo di Flossenbürg, dove è morto da deportato per aver aiutato i detenuti di Sant’Agata.

Una storia esemplare di collaborazione scientifica tra Isrec, ANED Bergamo e Comitato per le Pietre d’Inciampo di Milano, che ha portato – ed è questa la terza sorpresa – alla donazione al Comune di Bergamo della “Pietra d’Inciampo” dedicata a Zappata, inizialmente destinata al carcere milanese e che ora invece sarà posata proprio sulla soglia dell’ex Carcere di Sant’Agata. Anche la nostra città entra così a far parte di quella mappa internazionale della memoria che è il progetto delle Pietre di Inciampo. Nato nel 1992 da un’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig, oggi è un “monumento” (o meglio un contro-monumento) diffuso che conta 75.000 “segnali” disseminati in Europa.

Che cos’è una Pietra d’Inciampo?

Materialmente è una piccola targa di ottone, grande quanto un sanpietrino che, collocata sulla soglia delle case o dei luoghi di lavoro di persone che sono state vittime della persecuzione nazifascista, riporta il nome della vittima, l’anno di nascita, la data e il luogo della deportazione e la data di morte. Non solo ebrei, ma oppositori politici, militari, rom e sinti, omosessuali, testimoni di Geova, deportati nei campi di sterminio o giustiziati.

Eppure quella pietra 10x10 cm è una piccola, grande rivoluzione contro la fragilità della memoria pubblica. Ogni inciampo è l’irrompere, casuale quanto inaspettato, nella nostra coscienza di una vita interrotta. Un “monumento per difetto”, come lo ha definito Adachiara Zevi, che scompagina le coordinate rassicuranti del rapporto tra architettura e memoria. Con la sua discrezione, il lavoro di scavo storico che presuppone per riportare alla luce e restituire dignità di persone a chi ha vissuto una storia di persecuzione, deportazione, crudeltà. La sua capacità di traghettare il ricordo privato, familiare, nel tessuto urbano e dunque nella memoria collettiva.

Un segnale che non impone, non celebra, non descrive e non rassicura, ma che interroga, inquieta e affida a chi ci inciampa il compito di costruire la memoria.

A questo valore, nel caso della prima Pietra d’Inciampo di Bergamo, si aggiunge anche il valore del dono, perché la memoria pubblica è condivisa. Non c’è posto per la “competizione”: tutte le vittime sono accomunate da un crudele filo nero, ma sono persone tutte diverse e l’unica missione delle Pietre d’Inciampo è quella di riportale a casa.

La posa della prima Pietra d’Inciampo è inserita nelle Cerimonie istituzionali, celebrate nella mattinata del 27 gennaio. Il calendario del Giorno della memoria accoglie poi le iniziative delle principali istituzioni culturali cittadine, chiamate nella costruzione di un programma condiviso. L’Assessorato Educazione alla Cittadinanza, il Museo delle Storie, il Sistema Bibliotecario Urbano, la Biblioteca Civica Angelo Mai propongono incontri on line che puntano al coinvolgimento di tutta la cittadinanza, con una particolare attenzione per gli istituti scolastici. Lab80 e S.A.S. propongono film in streaming, mentre Radio GAMeC PopUp dedica una puntata della sua programmazione al tema della Memoria.

E’ possibile consultare il programma del Giorno della Memoria 2021 - on line Edition nell’agenda di Eppen.

Approfondimenti