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La cultura che cura. Quando il welfare è danza, memorie, creatività e arte

Articolo. Musica, teatro, cinema e l’esperienza della bellezza sono una medicina che funziona, aumentando il benessere della persona, il suo senso di autoefficacia e anche la sua salute. A confermarlo i risultati di diversi esperimenti scientifici, di cui uno guidato dal professor Enzo Grossi, che studia il welfare culturale, ossia quell’insieme di pratiche in cui la salute passa proprio dall’esperienza artistica e creativa, diffuse anche nella bergamasca

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Uno scatto da un laboratorio di Tantemani

Non lontano da Cuneo c’è la Basilica di Vicoforte, con la sua cupola ellittica, la più grande al mondo nel suo genere, alta ben 74 metri. Al suo interno degli splendidi affreschi: 6000 metri quadrati dedicati alla vita di Maria. Poco più sotto a 63 metri di altezza, imbragate in totale sicurezza, cento persone sono sospese nel vuoto per vivere un’esperienza di contemplazione di quella bellezza da una prospettiva unica. Dietro quell’intenso momento di meraviglia in realtà c’è un esperimento scientifico datato 2016. Obiettivo è rilevare gli effetti benefici dell’arte e della cultura: in seguito a quella particolare esperienza, l’ormone dello stress misurato tramite un prelievo nei cento volontari durante la visita è sceso in media del 60%.

Un dato che si aggiunge agli studi dell’università statunitense di Berkeley, in cui si rileva una diminuzione dei marcatori infiammatori dopo aver vissuto esperienze culturali e al fatto che è scientificamente dimostrato quanto ascoltare musica durante la chemioterapia aiuti a ridurre la nausea. Un valore terapeutico di arte e cultura che in Canada si concretizza in visite ai musei prescritte dal medico curante e regolarmente rimborsate dallo Stato come fossero farmaci. Anche nella bergamasca diverse sono le iniziative in cui le arti sono un utile alleato per aumentare la salute e il benessere delle persone di ogni età.

«Vivere esperienze estetiche funziona, ce lo dice la scienza. La cultura, quindi, può davvero allungare la vita e aumentare il livello di benessere fisico, non solo psicologico, oltre a migliorare il senso di autoefficacia e della percezione di sé, favorire la memoria o contrastare ansia e depressione, sostituendosi in alcuni casi anche alla necessità di prescrivere alcuni farmaci». A parlare è il professor Enzo Grossi, docente di Cultura e salute nella facoltà di medicina delle Università della Svizzera Italiana e di Torino, a capo del team di ricerca che ha portato quel gruppo di cento volontari sotto la cupola ellittica di Vicoforte.

In cerca del bello e della cultura per ritrovare salute e benessere

Non è necessario per forza ammirare sospesi nel vuoto degli affreschi per stare meglio. «Per qualcuno è l’arte, per altri la musica, il cinema o la letteratura, ognuno di noi ha delle inclinazioni differenti» spiega il professor Grossi, autore del libro «Cultura e salute, la partecipazione culturale come strumento per un nuovo welfare», scritto a quattro mani con la manager culturale Anna Ravagnan «ma vivere esperienze estetiche ha impatti concreti sul nostro organismo, lo conferma la scienza: il bello modifica alcuni tratti del nostro codice genetico, si attivano i neuro-ormoni che riducono lo stress e aumentano le connessioni tra le cellule nervose riducendo ad esempio il senso di solitudine».

Condizione che può essere contrastata recuperando ad esempio l’arte del racconto, mentre l’Alzheimer si può combattere anche grazie a opere d’arte e danzando si può rincontrare il proprio corpo anche se si soffre di Parkinson o ancora arginare depressione e disagio psicologico cimentandosi con la creatività o con il fascino di un cartone animato realizzato con le proprie manine se si è un bambino allettato in ospedale. Al termine del filo rosso che collega queste attività un termine: welfare culturale. Se di norma si sente parlare di welfare nell’ambito di politiche sociali o aziendali, associare questa espressione alla cultura può stupire.

Eppure, questo concetto, riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è definito dall’enciclopedia Treccani come «un nuovo modello integrato di promozione del benessere e della salute e degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale». Un modello che può essere declinato in molteplici tipologie di attività, dalla promozione della salute, all’inclusione, all’invecchiamento attivo, all’introduzione di progetti come terapie complementari a percorsi terapeutici tradizionali, al loro utilizzo come supporto alla relazione di cura o come mitiganti per alcune condizioni degenerative.

Star bene con la cultura, tra ospedali, musei e il Grand Hotel di San Pellegrino

Ed è proprio la possibilità di arginare alcune patologie come l’Alzheimer e altre demenze la base di « Custodire memorie ». Il progetto «consiste nel portare alcune riproduzioni dei dipinti del museo in un luogo per la cura di queste patologie: il Centro Eccellenza Alzheimer di Gazzaniga, dove saranno occasione per riattivare memorie ed emozioni dei pazienti – spiega Lucia Cecio, responsabile dei servizi educativi dell’ Accademia Carrarauna terapia sperimentale che costituisce un approccio non farmacologico al problema, in cui il patrimonio del museo diventa parte dei soggetti di cura».

Non solo centri espositivi, ma anche altri spazi del patrimonio cultuale locale tra splendide dimore storiche come Villa Canton, il Grand Hotel San Pellegrino con il suo fascino liberty e il Centro Civico San Bernardino sono diventati teatro e occasione di suggestione estetica per un altro progetto di welfare culturale, questa volta itinerante: «Dance Well Diffuso – Ricerca e movimento per Parkinson» (ne abbiamo parlato qui). Proposto da «Festival Orlando» in collaborazione con Teatro Grande di Brescia e Accademia Carrara, il progetto nato a Bassano del Grappa nel 2013 e ispirato a modelli olandesi, ha portato «al centro l’espressione corporea per persone di ogni età, giovani e anziani, malati e caregiver, permettendo loro di immergersi nella musica e nello splendore dei luoghi di cultura – spiega il direttore artistico di «Orlando» Mauro Danesi Grande l’entusiasmo per poter vivere questi spazi spesso poco conosciuti, per fare un’esperienza ricca di piacere, libertà, immaginazione e bellezza, maturando la consapevolezza che i corpi sono belli tutti, al di là dell’età, della malattia».

Quando invece le condizioni fisiche impediscono di uscire dal reparto d’ospedale è l’arte ad andare incontro alla persona, anzi ai bambini, e la corsia scompare: «“Quando mi dedico alla scatola luminosa con i cartoni animati, le pareti della mia stanza non le vedo più, non sento il tempo che passa” mi ha detto uno dei piccoli partecipanti al progetto “Cartoni animati in corsia”» spiega Vincenzo Beschi, direttore artistico di Avisco , realtà bresciana attiva nel settore audiovisivi in ambito socio-sanitario dietro quest’attività. Un’attività che «porta in pediatria al Papa Giovanni proiezioni e incontri per la sonorizzazione dei corti realizzati dai piccoli e le attrezzature tecniche per la produzione cinematografica di cartoon con cui i bambini imparano a creare un cartone animato».

Dai giovanissimi ai senior, il welfare culturale in bergamasca si traduce anche in progetti diffusi sul territorio come « La compagnia dei racconti ». «Un percorso di comunità coordinato da Candelaria Romano, nato con l’obiettivo di contrastare l’isolamento sociale e le solitudini involontarie degli anziani, costituito da una fase di condivisione delle storie personali con dei volontari, confluite poi in un libro» spiega Nadia Savoldelli, vicepresidente dell’associazione Il cerchio di gesso . Obiettivo del progetto, realizzato in collaborazione con il Consorzio Sol.Co, è intervenire in direzione dell’invecchiamento attivo, tra autobiografia, video e attività che porteranno questa esperienza anche nelle scuole superiori da settembre per aprirla al dialogo intergenerazionale.

Dedicato invece ai giovani adulti è il « Laboratorio Tantemani », un progetto di Cooperativa Sociale Patronato San Vincenzo che utilizza la creatività come strumento di costruzione di relazioni, inclusione sociale e competenze per persone con disabilità intellettiva. Chi partecipa a queste attività, che vanno dalla serigrafia alla ceramica, «matura la sensazione di essere un contesto in utilità, sente di avere un posto nel mondo e di essere protagonista, in un contesto non giudicante – spiega la coordinatrice educativa del progetto Francesca Marinelli Ciò che è creativo non è mai giusto o sbagliato e poi è una palestra: attraverso arte e creatività non si è mai standardizzati e super precisi e questa cosa forma tantissima alla vita».

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