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Luciana Maci, come funzionano le città intelligenti?

Articolo. Di smart city si è parlato molto negli ultimi anni, ma quali sono le sue caratteristiche e le tecnologie al centro? Lo spiegherà la giornalista ospite de Le Primavere di Como 2022, su Bergamo TV domenica 19 giugno alle 15

Lettura 4 min.
Luciana Maci a Como (Butti)

«La città intelligente non è soltanto caratterizzata dall’utilizzo di nuove tecnologie», chiarisce Luciana Maci, giornalista esperta in innovazione e tecnologia. I momenti più significativi dell’intervento che Luciana Maci ha tenuto nella Sala Bianca del Teatro Sociale di Como in occasione del festival Le Primavere saranno trasmessi su Bergamo TV domenica 19 giugno alle 15.

«Col tempo è emersa una definizione molto più adatta e semplice di questo fenomeno: una città intelligente è una città che fa leva sull’innovazione tecnologica per far vivere meglio i propri cittadini. L’auto che si guida da sola non è uno sfoggio di competenze hi-tech, ma può garantire maggiore sicurezza al guidatore e anche costituire un vantaggio per un cittadino disabile o un anziano che in questo modo può guadagnare spazi di autonomia».

L’intervista

EP: Ci sono città che sono sempre state intelligenti?

LM: Il concetto di innovazione è molto ampio e l’umanità ha sempre avuto bisogno di innovare per sopravvivere. Quando si parla di smart city, però, si parla di innovazione tecnologica mirata ad attivare servizi e funzionalità che riescono a rendere una città più agevole ed efficiente e, in ultima analisi, più bella da vivere.

EP: Quali sono le tecnologie al centro di questa rivoluzione?

LM: Sono molte. Tra le più rilevanti l’IoT, ovvero l’internet delle cose, l’intelligenza artificiale, i Big Data analytics: tutti strumenti che fanno già parte della nostra vita e che vanno integrati nella gestione dell’ambiente cittadino.

EP: Come si governa una città intelligente, con quali competenze e con quali figure?

LM: Con competenze nuove. Occorre conoscere le tecnologie che si sono sviluppate nell’ultimo decennio, capire i dati, conoscere i processi di intelligenza artificiale, ma non solo, anche il nuovo trend della sostenibilità. Servono competenze specifiche per ridurre le emissioni e creare spazi verdi. Per questo sono necessari amministratori con una visione green, e anche manager della mobilità. Ma, a monte, serve un cambio di mentalità.

EP: Come si comunica una città intelligente?

LM: Non è facile. Una recente indagine ha fatto emergere che solo una persona su due in Italia sa cos’è una smart city. È un concetto che si è evoluto rapidamente ed è tutt’ora fluido. Inizialmente era la città ipertecnologica, connessa e costellata di sensori. Oggi il concetto di smart city è più vicino alla tutela della salute, alla ricerca del benessere, e si estende fino alla cura degli anziani.

EP: Abbiamo esempi concreti da guardare?

LM: Sì e sono numerosi. Barcellona, per esempio, mette in atto una condivisione della governance della città con i propri cittadini, dimostrando come una smart city sia anche un luogo dove si condividono le scelte amministrative dal basso. Sempre in Europa, in un sobborgo di Copenaghen, è stato realizzato Copen Hill, un termo-valorizzatore a impatto zero che, oltre ad essere un bellissimo edificio, è anche un luogo di sport e divertimento. In Asia, Singapore è diventata città smart ancora prima che esistesse questa definizione.

EP: E in Italia?

LM: In Italia ci sono Milano e Firenze. Anche Bergamo è tra i primi sei posti tra le città digitali nella classifica ICityRank 2021.

EP: Quando avremo anche periferie intelligenti?

LM: Questo è un problema concreto, perché da sempre le periferie restano sullo sfondo, ma proprio uno degli scopi della smart city deve essere la connessione. La mobilità di condivisione, smart e micro, in questo caso, deve aiutare a connettere le periferie risolvendo la problematica dell’ultimo miglio. In città, l’utente ha una marea di mezzi a disposizione, pubblici e privati, poi però deve affrontare l’ultimo miglio, quello che gli permette di tornare fisicamente a casa, in periferia, e lì incontra i veri problemi logistici. In ogni caso, l’approccio alla periferia si lega sempre anche alle scelte politiche, che possono condizionare non poco le soluzioni per unire le zone di confine al centro.

L’incontro

È stata Luciana Maci, coordinatrice editoriale di EconomyUp per il Gruppo Digital360, a rompere il ghiaccio ieri pomeriggio nella Sala Bianca del Ridotto del Teatro Sociale per il primo appuntamento di questa decima edizione del festival Le Primavere. In una manifestazione che, quest’anno, ha per tema il “(Meta)verso la città ideale” era fondamentale iniziare chiarendo dei punti che serviranno come punto di riferimento per tanti altri incontri, ovvero “Come funzionano le città intelligenti?”, perché si fa un gran parlare di “smart cities”, si fanno tanti esempi, ma è importante stabilire quali sono le caratteristiche e il tema è di grande interesse a giudicare dal folto afflusso di pubblico che ha subito premiato questa nuova formula de Le Primavere.

Introdotta dal direttore de La Provincia Diego Minonzio e dalla curatrice della rassegna Daniela Taiocchi, Luciana Maci ha spiegato come «solo un italiano su due, secondo un’indagine recente, sa cosa si intende per Smart city. Pochi pensano che la propria città sia abbastanza smart, ma c’è ottimismo: tanti ritengono che entro dieci anni abiteranno in una smart city».

Ma cosa è esattamente? «Qualche anno fa si pensava a una città ipertecnologica, quasi da film di fantascienza. È una città dove vengono utilizzate e messe in pratica le nuove tecnologie, certo, ma è emersa la necessità di spazi verdi, minori emissioni e con una migliore qualità della vita». Inoltre, secondo l’Ue, significa trasporti urbani intelligenti, migliore gestione dell’acqua, dei rifiuti, dell’illuminazione, del riscaldamento. «Insomma, una città dove si vive meglio. Secondo iCity Rank sono smart Firenze, Milano, Bologna, Roma, Modena, Bergamo, Torino, Trento, Cagliari e Parma. Milano era sempre stata prima, è stata superata da Firenze durante la pandemia. Secondo un altro indice, incentrato sulla sostenibilità, al primo posto c’è Trento. Secondo il primo indice, Como è al 77° posto su 105 città». Ma va meglio secondo il secondo indice, quello della sostenibilità, dove Como è 29ma.

Ma a chi ci si può ispirare, qual è un modello di Smart city? «Per i rifiuti, c’è un esperimento in corso a Copenhagen, con dei sensori nei cestini. E poi c’è il termovalorizzatore CopenHill, a emissioni zero, che è anche una pista da sci». Molto importante lo sharing, la condivisione dei mezzi di trasporto. «Con la pandemia abbiamo smesso di spostarci e ci si chiede che ruolo possano avere gli uffici e ancora non abbiamo risposte certe. Però chi deve spostarsi, anche ora, magari prenderà il treno, poi metropolitana o bus o tram e arriverà a un luogo che potrebbe non collegarlo ancora al suo ufficio. Ecco che entra in gioco la micromobilità per coprire questo “ultimo miglio”. Questo percorso deve essere gestito in modo fluido, senza interruzioni. Devono esserci delle piattaforme preposte. Oppure a piedi e qui entra in gioco l’idea di semafori intelligenti, come a Vienna».

Per i parcheggi l’esempio è Barcellona, con sensori che comunicano agli utenti, attraverso app e dispositivi mobili, dove sono i posti liberi. Impressionante la casa-alga di Amburgo, con una facciata composta da microalghe che producono calore ed energia. Tantissimi spunti, insomma, per traguardi che non sono irraggiungibili, nemmeno per Como.

(Alessio Brunialti, da La Provincia di Como, 27 aprile 2022)

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