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Quando per raccontar(si) possono bastare sette parole

Articolo. Non una di più, né una di meno. Invitare ad andare dritti al punctum delle cose, in un’epoca in cui i termini si sprecano, è l’obiettivo del progetto «7 parole per un racconto», ideato dallo scrittore Claudio Calzana. Due i Tornei Letterari aperti, uno a tema «Estate» e uno a tema «Soldi», in collaborazione con la rivista Just-Lit

Lettura 4 min.
Alcuni volumi della collana 7parole illustrati da Annamaria Gallo

Non ho mai avuto il dono della sintesi. La vista di un foglio bianco mi spaventa, per cui cerco di riempire ogni spazio a mia disposizione con un fluire di pensieri che spesso chi mi legge definisce «troppi». Per questo, la prima cosa che metto in chiaro chiacchierando con Claudio Calzana, scrittore bergamasco ideatore del progetto «7 parole per un racconto», è che io di battute a disposizione per i miei articoli ne ho tantissime – per fortuna!

Quello che fa Claudio, sul portale 7parole.it, è invitare tutti coloro che hanno voglia di sperimentare e sperimentarsi, senza limite d’età, a produrre racconti composti da sole sette parole, punteggiatura esclusa. Lo spunto si deve allo scrittore guatemalteco Augusto Monterroso. In versione originale, un suo racconto conta per l’appunto sette parole, che in traduzione diventano otto: «Cuando despertò, el dinosaurio todavìa estaba allì» («Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì»).

Più che un portale web, 7parole è un campo da gioco. Attualmente, due sono le sfide attive. Un Torneo Letterario dedicato all’estate, aperto fino al 31 agosto, e uno ai soldi, organizzato in collaborazione con la rivista «Just-Lit», a cui è possibile partecipare fino al 15 settembre. Entrambi i tornei sono gratuiti: basta registrarsi sul sito e leggere il regolamento. Ad ogni iscritto è concesso l’invio di un massimo di sette testi per competizione, che dovranno naturalmente rispettare il limite di sette parole (titolo e punteggiatura esclusi) e possedere una dimensione narrativa. «Il racconto è l’irruzione del Mistero – scrive Calzana citando Flannery O’Connor – o, più modestamente, la sorpresa che prevale sull’attesa. Certo, l’impresa sta nel condensare tutto quanto in 7 parole, ma proprio qui sta il bello della sfida». L’autore del racconto migliore riceverà in dono una plaquette con il proprio testo illustrato dalla pittrice Annamaria Gallo. Oltre al piacere che si ricava dallo scrivere, naturalmente.

Com’è nato il tutto

Chiedo a Claudio di definirsi in sette parole. Preferisce usarne una sola, «flâneur», un termine francese reso celebre dalle poesie di Charles Baudelaire. «È colui che va in giro, vagabonda senza meta, pronto a farsi colpire e sorprendere dalle cose che arrivano. Apparentemente è uno sfaccendato. Diciamo che mi piace pensare di essere pronto a cogliere le cose belle, le cose nuove».

Nato a Bergamo nel 1958, negli anni Claudio ha fatto parecchi lavori, tra cui l’insegnante, il titolare di impresa, il responsabile di progetti culturali ed editoriali. Nel 2004 ha vinto il premio Galbiate per un racconto da cui – su sollecitazione di Andrea Vitali – è nato il suo primo romanzo, «Il sorriso del conte». Attualmente in pensione, mi parla al telefono da Roncola bassa, un paese di poche anime dove forse è più facile dare forma ai pensieri.

L’idea di invitare giovani e meno giovani, intellettuali e non, a comporre racconti in sole sette parole è sorta verso la fine del 2021. «Per dare una svolta al mio blog, dove ho sempre continuato a scrivere pensieri, poesie, riflessioni, ho proposto a chi mi leggeva di scrivere racconti di sette parole a tema libero e di mandarli alla mia mail. La sera stessa, mi sono ritrovato con 106 racconti». Gli invii si sono moltiplicati nei giorni a seguire. Iniziato quasi per gioco, il primo Torneo Letterario ha raccolto 385 racconti, opportunamente selezionati. Alcuni infatti sono stati scartati perché non rispettavano le regole. «Anche chi scrive racconti di cinque parole sbaglia», sorride il mio interlocutore.

Il progetto piace. Qualcuno si commuove leggendo il testo del primo racconto premiato: «Nacque sotto una buona stella, morì crocifisso». Qualcuno preferisce il secondo: «Aladin espresse il desiderio di usarne otto». L’edizione 2022 del Torneo viene organizzata in collaborazione con la «Rassegna della Microeditoria» di Chiari. Arrivano 715 racconti da tutta Italia e dall’estero.

L’iniziativa sbarca anche negli Stati Uniti, per la precisione a San Francisco, che ospita un torneo in collaborazione con Italingua, una scuola di italiano. E ancora, il progetto riceve il sostegno del Consiglio Nazionale Forense, l’istituzione che rappresenta tutti gli avvocati italiani e viene inserita come prova speciale nella terza edizione del concorso nazionale «Letteratura per la Giustizia». «Ti passo quest’anima dalle sbarre, conservamela» è il testo del racconto che si aggiudica il primo posto.

Nel frattempo, Claudio lavora a un sito, un vero e proprio portale su cui risulti facile registrarsi e partecipare ai tornei, con tanto di piattaforme social annesse. Viene coinvolta la rivista letteraria «Just-Lit», si ampliano la giuria e il team di lavoro. Alla squadra composta da Calzana, Andrea Rizzini, co-autore del progetto, e la pittrice Annamaria Gallo, si aggiungono la vicepresidente della FAI – Fondazione dell’Avvocatura Italiana Francesca Sorbi, il direttore de «Il Dubbio» Davide Varì, la presidente della «Rassegna della Microeditoria» Daniela Mena, la direttrice di «Just-Lit» Rossella Monaco, la redattrice di «Just-Lit» Sara Meddi, la germanista, poetessa e giornalista Maria Tosca Finazzi, il libraio e scrittore Alan Poloni e la scrittrice Nadia Busato.

Giocare con le parole

A Calzana il termine «concorso» non piace. Preferisce utilizzare il termine «torneo». Perché con le parole si gioca, e quando giochi ti accorgi di quanto ti faccia bene. Forse è per questo che l’iniziativa è stata adottata recentemente anche dai detenuti del carcere di Opera, grazie alla collaborazione con una volontaria. «Abbiamo premiato un racconto di uno dei detenuti con un riconoscimento speciale, all’interno di un Torneo dedicato al viaggio in collaborazione con la rivista “Just-Lit”. Il vincitore si chiama Giuseppe e ha scritto “Sicilia”, un racconto di sette parole in più stanze dedicato alla terra che non vedrà da trent’anni, credo… Non so per quale delitto sia in carcere, ma mi sono commosso. Non mi interessa chi sia, a me interessa aver dato un’occasione».

In un mondo in cui le parole si sprecano, forse fare sintesi è terapeutico. «Aiuta ad andare dritti alla sostanza, al “punctum”, come diceva Roland Barthes. Qual è il punctum dell’estate? Qual è il punctum dei soldi? Devi partire da una riflessione. Non puoi partire dalla semplice prosa. Perché quando cominci a scrivere senza pensare: “ombrellone”, “mare”, “spiaggia”, “gelato”… Quello non è un racconto, è un elenco».

Quando scrivi, soprattutto quando sei chiamato a scrivere un racconto breve, non esprimi ciò che sai. Esprimi ciò che sei. Questo Claudio l’ha capito soprattutto dalla sua esperienza come insegnante, vissuta nel tentativo di donare agli alunni un gesto attento, uno sguardo, un modo di essere. Credo di averlo capito anche io, se penso agli insegnanti che ho incontrato. Non ho dubbi nel dire che ricordo la dolcezza della mia maestra delle elementari più che le date della Guerre Persiane.

Avrei tante domande da fare al mio interlocutore. Mi limito a chiedergli che sensazione prova quando incontra di persona i vincitori dei Tornei che organizza. Attorno al progetto «7 parole per un racconto» si è creata una vera e propria community, che chiede ora di poter valutare i racconti; che discute, legge, scrive, a volte utilizzando il proprio nome e cognome, a volte un nickname. «Ti dico quello che è successo durante la “Rassegna della Microeditoria” a Chiari – mi confida Claudio – Hanno parlato i vincitori del Torneo, compreso un ragazzo di diciotto anni di nome Giacomo Callegari, che ha vinto il premio Under 25 con un racconto bellissimo. Ha detto delle cose con una profondità impressionante. Le persone che partecipano sono persone che parlano nello stesso modo in cui scrivono. Hanno troppa stima e cura delle parole per sprecarle, per buttarle via. E quando parlano in pubblico, chissà perché quello che dicono corrisponde a ciò che scrivono».

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