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#allamiaetà: Richard Milella, i miei primi (quasi) sessant’anni nella musica

Articolo. Dj, Tour Manager, giornalista, autore, produttore, talent scout. La storia di chi è da sempre dietro le quinte, eppure sempre in prima linea

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Richard Milella

All’anagrafe è Paolo ma per tutti è Richard («non ricordo più chi mi chiamò così per primo, questo si perde nella notte dei tempi, forse fu alle medie ma forse mi sbaglio e comunque non mi interessa scavare»). Mi aspetta in un bel bar, un po’ defilato dal centro: in un certo senso, proprio come il suo impegno nel dorato ma complicato mondo della musica. Richard lavora nel mondo della musica italiana da diversi decenni, ricoprendo i diversi ruoli che il destino gli ha offerto nel variegato panorama delle sette note. Sempre con impegno e sempre con l’entusiasmo di un ragazzo. Ecco, è proprio questa l’immagine che risalta di lui: l’eterno ragazzo con il sorriso sbarazzino.

«Nessuno nella mia famiglia ha mai avuto particolari inclinazioni musicali e io non ho fatto eccezione. Però dai cinque anni o su di lì ho passato ore e ore attaccato alla Radiomarelli, l’apparecchio a valvole e con l’occhio magico, ad ascoltare tutto quello di musicale che passava la RAI. O era ancora era EIAR? Boh!»

Il giovane Richard ascoltava di tutto ma puntando di più sul genere melodico: da Modugno a Joe Sentieri, da Johnny Dorelli a Betty Curtis. Fu folgorato – per fortuna non per colpa delle valvole - quando, in una selezione della Carisch – «una sorta di vetrina che la RAI concedeva a turno alle case discografiche per presentare le proprie novità: era l’unico modo per ascoltare le nuove uscite perché il resto era tutto dedicato alla musica melodica italiana» – udì le note spensierate di «She Loves You» dei Beatles.

«Non avevo ancora dieci anni e fu una vera illuminazione; del resto, come per tanti giovani che, in quei primi anni Sessanta, scoprirono una nuova musica, nuovi ritmi, ma soprattutto di appartenere a un mondo giovanile che fino ad allora non era esistito. O non era mai stato riconosciuto».

Durante gli anni delle medie, la sua attenzione passò da un gruppo all’altro, più che altro complessi musicali del genere ye-ye e beat («ovviamente i Beatles, ma anche gente come l’Equipe 84, Ricky Shane oppure i Los Bravos») da solo o con i compagni di classe; dal semplice ascolto della radio, però, cominciò prima a cercare i numerosi complessini che stavano ormai spuntando qua e là come funghi in tutti gli scantinati o garage, finché la sua attenzione fu infine attratta dai gruppi che allora a Bergamo facevano sul serio: Mat 65, Raminghi, Grilli, Monaci, Boeing 18, Mandrilli, Terza Classe, Monelli, Lunghe Storie. Gruppi tosti, con chitarre nervose dove la melodia lasciava il posto alla rabbia giovanile e all’impegno politico. Il panorama della musica oscillava tra gli Scarafaggi di Liverpool e i Rolling Stones. E dietro stavano per arrivare tizi ancora più duri: Deep Purple e Led Zeppelin.

«Anche io ci provai: con amici mettemmo su un onesto complessino e riuscimmo anche a tirare fuori qualche suono decente. Stavamo dentro la tradizione della musica leggera italiana. Ma compresi presto che quello del musicista non era il mio ruolo e la mia esperienza durò infatti davvero poco.
Per la cronaca io suonavo il basso per imitare Sir Paul McCartney e il gruppo non ebbe mai nemmeno un nome».

Avendo capito che non era portato per maneggiare uno strumento - del resto, per “fare musica” non bisogna per forza prendere in mano una chitarra o picchiare su una batteria – ma volendo comunque “fare musica”, si orientò su altre strade. Decise così di scrivere. Dopo aver visto il concerto dei Raminghi, il suddetto e importante gruppo dell’ambiente musicale orobico, inviò per gioco la sua recensione al celebre settimanale musicale Ciao 2001 (che negli anni Settanta e Ottanta riusciva anche a vendere 250 mila copie) e se lo trovò pubblicato: era diventato collaboratore del giornale e non si fermò lì. Cominciò a scrivere anche per Super Sound, che aveva lo stesso formato di Melody Maker, e Musica e Dischi – la più prestigiosa e longeva rivista musicale specializzata italiana, un punto di riferimento per tutti i lavoratori del settore, anche per via dell’annuario Chi e dove.

Proprio la sua recensione sui Raminghi cambiò ulteriormente il suo destino nel mondo della musica: il frontman del gruppo, Franco Mussita – ovviamente figura di spicco della musica bergamasca – un giorno venne a prenderlo a casa. Letteralmente: dopo aver letto la recensione, chiese in giro chi l’aveva scritta e, indirizzato da amici comuni, arrivo nel quartiere di Richard: Boccalone e più precisamente Clementina, dietro il Ricovero. I vicini gli indicarono la casa.

«”Vè con mé”, mi disse appena aprii la porta. Chi l’ha conosciuto, Mussita, sa bene come fosse spiccio e determinato. Mi portò alla sua discoteca, il famoso Bla Bla di Scanzo, e mi disse che mi voleva come disc- jockey. Si trattava della sua prima discoteca e, al tempo stesso, negli anni Settanta il miglior esempio di locale da ballo per Bergamo e provincia. Potevo mai rifiutare una proposta simile? Per di più a diciotto anni?»

Con l’esperienza del Bla Bla, Richard si fece apprezzare anche come DJ e lavorò anche in altri locali che stavano aprendo nei dintorni, conquistando un certo seguito anche nel pubblico: la domenica pomeriggio, i ragazzi facevano il corteo con Ciao e Vespini per raggiungere le discoteche dove lui era alla consolle. Ovviamente il Bla Bla, ma anche il Sonora di Cenate, il Garden di Albano, il Gech Gech di Curnasco, il Calypso di Caravaggio«quello di Angelo Zibetti» per citare solo quelle in provincia. D’estate, invece, nei fine settimana partiva per i locali sull’Adriatico.

Non fece solo il DJ ma perfino il trainer degli aspiranti tali. «Infatti, quando alcuni amici o sedicenti tali mi chiesero di raccontare come fosse fare il DJ o addirittura di spiegare i rudimenti del mestiere, io accontentai sempre tutti. Quindi, senza alcuna remora, insegnai ad alcuni le basi dell’attività; naturalmente, questi “alcuni” sfruttarono le mie dritte per iniziare da soli la professione. Ci fu veramente chi poi andò a lavorare in discoteca o addirittura nelle Radio Private, anche di livello nazionale. E fin qua tutto bene, fui felice per loro. Peccato che, raggiunta la notorietà, fossero spariti dalla mia vita e se per caso ci incontravamo, fingevano di non conoscermi. Ma a questo tipo di atteggiamenti, in seguito, ci ho fatto l’abitudine».

A proposito di Radio Private, l’avvento della radiofonia privata sul finire degli anni Settanta fu una svolta epocale per il mondo della musica. Anche Richard lavorò in quel mondo, collaborando con alcune radio. «Lavorai a Radio Bergamo, RTB ma soprattutto con Radio Atlantide, un’autentica perla bergamasca, una vera e propria istituzione nel campo delle radio, nata dal mitico Corrado Manzoni. Per loro, organizzai diverse Feste nelle discoteche della zona, invitando i nomi più in voga del momento; data la popolarità della radio, le case discografiche mi concedevano gli artisti senza esitazione. Ricordo, per esempio, una magica serata nell’ottobre 1981 al Gech Gech di Curnasco con molti artisti, fra cui Riccardo Fogli, Enrico Ruggeri - appena rimasto orfano dei Decibel - Milk & Coffee, Geoff Duffo - un artista australiano poi eclissatosi - e Vasco Rossi; il Blasco, anche se era giù piuttosto famoso, non volle mancare a questa festa. Ovviamente fu un enorme successo: duemila persone ammassate e Vasco che si concedeva benevolmente a tutti, parlando, scherzando e cantando brani come “Voglio andare al mare”, “Colpa d’Alfredo” e “Siamo Solo Noi”, intonata poi da tutto il pubblico. Un furore. Fu veramente un evento».

Grazie a quella serata, Bergamo scoprì veramente Vasco e, in seguito, in tanti chiesero a Richard di organizzare dei concerti con lui; nei mesi successivi ne fece addirittura una decina fra le provincie di Bergamo, Brescia e Lecco.

Un altro incontro fondamentale per la sua vita professionale risale all’inizio degli anni Settanta: la neonata agenzia Trident di Milano, guidata da Angelo Carrara e Maurizio Salvadori. I due gestivano infatti artisti importanti e per loro seguì diversi tour, da uno sconosciuto Battiato (ogni sera era un happening non sempre bene accolto) a Bennato, al trio dei Trip, Rino Gaetano con i New Perigeo, molte band di area progressive e i Pooh che stavano diventando un gruppo da teatro e non più da balera.

Il suo compito era gestire i contatti con i vari teatri e fare in modo che tutto andasse nel migliore dei modi. In virtù di questo incarico ricordo che riuscii a portarli anche al teatro di Stezzano («credo si chiamasse Aurora») e perfino a Gazzaniga («forse al Continental») che erano più che altro dei cinema. Quello che faceva oggi si chiama Tour Manager, ma allora si faceva davvero di tutto. Oggi invece è diventata una figura veramente manageriale e, oltre tutto, basilare del mondo dei concerti: basti citare per esempio Diego Spagnoli che cura questo aspetto per Vasco Rossi.

«Comunque, fu un bel periodo, tanto lavoro ma anche vero divertimento. Purtroppo, abbandonai a malincuore quella collaborazione perché esigeva una presenza costante ed io che avevo anche un lavoro subordinato che non mi permetteva di affrontare tutti gli impegni. Oggi la Trident, con il solo Salvadori alla sua guida, cura gli interessi nel mondo di artisti come Jovanotti, Ramazzotti, Pausini, Pinguini Tattici Nucleari ed altri».

Per un certo periodo collaborò dal punto di vista promozionale con la Dischi Ricordi, una delle maggiori case in quel periodo, avendo così la possibilità di lavorare con Gianna Nannini, Patrick Juvet, gli Alunni del Sole e molti altri. In particolare, per Gianna Nannini e in concomitanza dell’uscita del suo album «California», fu incaricato da Mara Maionchi, allora responsabile della promozione della Dischi Ricordi, di girare per i negozi della Lombardia con il disco per farlo esporre in vetrina.

«Fu un’impresa abbastanza ardua, considerando la grafica fuori dal comune e abbastanza imbarazzante. Riuscii infine a convincere l’amico proprietario di un negozio di Bergamo, in zona stazione autolinee e quindi di grande passaggio. Il disco non passò sicuramente inosservato e in pochi giorni ne vendette più di 50 copie. Con la foto della vetrina espositiva e i dati di vendita, fu più facile convincere allora altri negozianti; alla fine l’ellepi fu un successo. Almeno a Bergamo».

Un artista che Richard ricorda con molto piacere – ma anche con dolore perché non è più con noi – è il grande Bruno Martino con il quale collaborò per i testi di un suo LP del 1982.

«Grande artista e grande uomo! Inviò la cassetta con le canzoni in uno studio di registrazione di Milano; lui arrivò con il treno accompagnato dal figlio Walter e alle 9 esatte cominciò a registrare la voce. Alle 13 aveva completato il lavoro, senza nessuna sbavatura e senza correggere una sola parola delle mie. Ringraziò immensamente tutto il personale per la collaborazione (me compreso), riprese il treno e se ne tornò tranquillamente a Roma. Questi erano i veri Divi, per me».

Si avverte una nota polemica e il nostro Richard non le manda certo a dire. Da bergamasco, dichiara di non avere un buon rapporto con la Bergamo musicale e non solo. «La nostra gente non è sempre alla mano e, mi dispiace dirlo, non sempre riconoscente. Non per niente i bergamaschi di successo (per esempio i Pooh, Ivan Cattaneo, Le Piccole Ore) hanno dovuto cercare altre strade al di fuori della nostra terra. Io stesso ho aiutato in tutti i modi un gruppo bergamasco ad emergere: te li ricordi i Folkstone? Il loro leader veniva spesso a casa mia lamentandosi che nessuno gli dava seguito. Ho intravisto in loro delle discrete qualità musicali e gli diedi tutta la collaborazione possibile. Parliamo di quattro anni di impegno, spese, contatti e contratti in Italia e all’estero, per far avere loro visibilità sia a livello italiano che europeo. Loro non erano particolarmente bravi e però molto originali e decisi di assicurare loro tutto il mio esclusivo lavoro.
E un giorno se ne sono andati dalla sera alla mattina senza nemmeno ringraziare»
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Non è l’unico episodio che ha amareggiato Richard: alcuni soci non hanno onorato il suo lavoro – né economicamente né moralmente – oppure molte Istituzioni locali alle quali si è rivolto per instaurare una collaborazione non hanno mai nemmeno risposto alle sue proposte.

«Saranno state solo coincidenze, però è comunque strano che abbia trovato maggiore accoglienza a Brescia, Verona, Mantova, Genova e altrove: mai detto fu più veritiero del “nemo propheta in patria”.
Eppure, ho almeno un’esperienza positiva e riguarda ancora la Provincia: da circa dieci anni sto collaborando con una delle feste organizzate a Malpaga, il Folk Metal Fest, e che raduna migliaia di giovani rockettari provenienti da tutta Europa. Devi sapere che l’Associazione Giovani Cavernago locale non interferisce nelle decisioni e nelle scelte artistiche: forse è proprio per questo che va avanti con successo da così tanto tempo».

Un giorno del 1983 fu chiamato da Severo Lombardoni per collaborare con la sua casa discografica, la famosa Disco Magic che in quel momento stava conoscendo un boom inaspettato e aveva dunque bisogno di produttori e partner. «Per lui creai una serie di disco-mix del genere Italo Disco che ebbero un ottimo successo: lavorare con Severo, una persona fra le più aperte, divertenti e corrette che abbia conosciuto nel campo musicale. fu veramente un enorme piacere e insieme a lui raccolsi molte soddisfazioni».

Negli anni Ottanta, nel 1986 o giù di lì, Richard fondò la sua società di edizioni musicali e consulenza a Bergamo in via Coghetti con la quale, per vent’anni, realizzò o contribuì a fare nascere molti lavori discografici, oppure aiutò parecchi neofiti a gestire correttamente i loro diritti in fase di trattativa con le major della musica, spesso in collaborazione con le varie Warner, Ricordi e così via.

«Con la mia società valorizzai diverse proposte musicali di genere rock e jazz; una volta, casualmente, scoprii durante il festival Arezzo Wave del 2003 un nuovo trio dal suono interessante. Avvicinai il loro leader e decidemmo di comune accordo di lavorarci su. Da lì nacquero gli Zen Circus - inizialmente solo Zen, poi io suggerii di aggiungere il Circus per evitare l’omonimia con un altro gruppo - e produssi di tasca mia i loro primi due CD, uno dei due fu pubblicato nel 2004 con il titolo di “Doctor Seduction” per la Le Parc Music/Self. Avevano talento e se ne accorse la Universal che in seguito li prese sotto la sua generosa ala. Io non potevo certo competere con quel gigante ma loro si dimostrarono molto corretti con me, avvisandomi e spiegando. Da lì scalarono la vetta del successo con tanti concerti sold-out. Naturalmente augurai loro buona fortuna e, ancora adesso e benché siano passati almeno vent’anni, mi invitano ai loro concerti quando si trovano in zona e passiamo poi del tempo a ricordare i loro inizi alla fame. Ragazzi a posto, si meritano il successo».

Tra tutte le persone conosciute – e furono davvero tante – una che Richard ricorda con grande piacere è il produttore inglese Paul Buckmaster: lo conobbe a un festival a Erba, in provincia di Como, nel 2013 ed era un vero gigante del mondo musicale britannico: ha prodotto i primi lavori di David Bowie, Elton John, Carly Simon, Angelo Branduardi e lavorato con gente del calibro di Rolling Stones, Leonard Cohen, Miles Davis, Guns & Roses e altri. «Una pietra miliare della musica! In un mondo dominato più che altro da persone finte e quasi inutili come quello musicale, non ho mai conosciuto una persona così affabile, gentile, cortese e disponibile. Pensa che stavamo pianificando una collaborazione: mi aveva mandato dei pezzi da valutare per il mercato italiano e avremmo dovuto vederci al più presto; purtroppo, invece, un aneurisma ce lo ha portato via prematuramente e ha interrotto bruscamente il progetto».

Sopraggiunta una sorta di stanchezza, dovuta anche all’incompatibilità con la “nuova musica” che stava affermandosi, qualche anno fa ha ceduto la società a uno Studio di Brescia e attualmente non produce più, anche se continua a collaborare ancora a titolo personale con chi ha il coraggio di esibire una proposta valida e musicalmente interessante. «È come cercare un ago in un pagliaio ma talvolta i miracoli accadono».

Come autore ha firmato una cinquantina di brani: per esempio, ha scritto per Bruno Martino e Piero Cassano dei Matia Bazar; la sua grande passione è sempre stata la musica leggera e melodica italiana e in questa scia si collocano le sue canzoni. Vanta anche una collaborazione con Vittorio Lombardoni, il patron della società di distribuzione SELF, che ha distribuito tutte le produzioni di Richard; per di più, ha curato la promozione dei tour di Orietta Berti, Le Orme, Claudio Simonetti, Gianni Belleno e altri, tutti artisti distribuiti in esclusive dalla SELF di Vittorio.

Richard Milella. Dj, Tour Manager, giornalista, autore, produttore, talent scout. L’eterno ragazzo sempre entusiasta di inseguire e realizzare un progetto, di far crescere un musicista o di comporre una bella canzone, di lavorare insieme a qualcuno che condivide la sua passione per la musica.

Sempre dietro le quinte, eppure sempre in prima linea.