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Auguri Gaetano! Con la voce del grande baritono Paolo Bordogna

Intervista. Insieme a Hana Lee al pianoforte e al soprano Sara Blanch festeggerà con un recital, questa sera al Teatro Sociale, il compleanno di Donizetti. Arie dello stesso Donizetti e di Gioacchino Rossini

Lettura 5 min.
Paolo Bordogna

Oggi è il compleanno di Gaetano Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797) e per questo Dies Natalis il festival Donizetti Opera ha deciso di organizzare una sorta di festa di compleanno, ovviamente in musica. Due i momenti: alle 18.30 alla Basilica di Santa Maria Maggiore “Il sacro dopo Donizetti” , una Messa a voci sole con accompagnamento di organo di Matteo Salvi (1816-1887) e la Cappella Musicale di Santa Maria Maggiore diretta dal Maestro di Cappella Cristian Gentilini (all’organo Marco Cortinovis); alle 20 il Recital con musiche di Donizetti e Rossini eseguite da Hana Lee al pianoforte che accompagnerà il soprano Sara Blanch e il baritono Paolo Bordogna.

Da due anni ho preso casa a Bergamo, che è una città che amo moltissimo e sono contento di cantare per festeggiare Gaetano Donizetti” ci ha detto Bordogna, fra i migliori interpreti di opera buffa in questo momento, che ha cantato su molti palchi d’Italia, d’Europa e degli Stati Uniti.

LB: Lei oggi vive a Bergamo ma ha cominciato a cantare nel coro della Basilica di S. Andrea di Melzo.

PB: Erano i primi anni del liceo. Per la prima volta sentii un coro polifonico che faceva musica sacra colta, Mozart, Pierluigi da Palestrina, Händel. Rimasi colpito dalla possibilità che offre la polifonia di mettere insieme le voci e di creare un qualcosa che al mio orecchio risultava nuovo e affascinante. Da lì la passione per il canto, che iniziai a studiare.

LB: Oggi è uno dei maggiori interpreti della sua generazione per quanto riguarda il repertorio buffo, come ci è arrivato?

PB: Dopo alcuni anni di studio con diversi insegnanti (fra cui il baritono Roberto Coviello alla Civica Scuola di Musica di Milano, oggi Conservatorio intitolato a Claudio Abbado, ndr) ho capito che la mia vocazione andava verso il repertorio brillante e buffo. Ho una corda baritonale e in più un’attitudine scenica adatta al repertorio buffo, ma negli anni mi sono concesso anche alcune escursioni nel repertorio serio, sempre con un approccio che prima di tutto è di studio e di professionalità. Per me la musica è musica e a contare è lo spartito: quando mi chiedono di interpretare un ruolo che magari non conosco, scelgo in base allo spartito e alle mie possibilità interpretative rispetto ad esso. Ciò mi ha condotto a fare delle scelte di repertorio giuste, riuscendo ad avere una certa soddisfazione personale nell’ambito del repertorio buffo, sia in Italia che altrove.

LB: Per il repertorio buffo è molto importante anche la parte “gestuale” dell’interpretazione. Come ci si prepara?

PB: Esattamente come per lo studio della musica. In più ci vogliono delle doti di base: la voce per cantare e l’attitudine giusta per la recitazione. Ma non basta mai, è un percorso di continuo miglioramento. Me lo lasci dire: oggi viviamo in un mondo in cui si punta molto sulla dote innata, magari autodefinendosi artisti in poco tempo attraverso i social. Io ribadisco che per una vera professionalità nell’arte, sia essa il canto lirico, il teatro o il cinema, è necessaria la preparazione tecnica e professionale. È possibile avere un excursus rapido di visibilità, ma dura poco. Credo che senza basi tecniche una carriera non possa andare oltre i 5 anni.

LB: Al repertorio buffo ha dedicato anche un disco per la Decca, “Tutto buffo” nel 2015 (si può ascoltare qui).

PB: È una cosa che a me interessava da parecchio tempo. La Decca non aveva mai fatto un disco simile, partendo dalla scuola napoletana a quella moderna. È stata una bella esperienza fatta tutta in Italia, con direttore italiano, Francesco Lanzillotta, e orchestra italiana, l’Orchestra Toscanini di Parma. Mi ha dato molta soddisfazione, è un disco che è stato distribuito in tutto il mondo e ne vado ancora orgoglioso, un traguardo più unico che raro.

LB: Ha interpretato ruoli in opere di Donizetti, ma anche Mozart, Puccini, Rossini, Verdi. Quale ruolo le ha dato più emozione?

PB: Le darò una risposta magari scottante. Io non devo provare emozioni. Se provo emozioni mentre canto vuol dire che qualcosa non funziona. Ad esempio il ruolo di Sulpice ne “La fille du régiment”, per la sua peculiarità di padre, che mi tocca a livello emotivo e personale, mi porta alla commozione e devo stare attento. Il vero artista non si emoziona ma fa emozionare. Per il resto della domanda, non ho ruoli preferiti. Rispondendole in un modo che magari ha già sentito, il mio ruolo preferito è ciò che canto in quel momento. Certo, non accetto ruoli che non reputo adatti a me. Ho sempre fatto patti molto ponderati nella scelta dei ruoli, son stato forse lungimirante e credo di voler continuare su questa strada.

LB: Per il compleanno di Donizetti, il festival ha “invitato” anche Rossini. Come mai?

PB: Cominciamo a dire che sono due grandi compositori, due geni assoluti che hanno dato vita a opere dal volto straordinariamente umano, come dovrebbe essere sempre la lirica in Italia. Abbiamo scelto di accostarli perché hanno collaborato insieme e si stimavano reciprocamente. Per la prima parte sono state scelte delle cose rare di Donizetti e un’aria da “L’esule di Roma” che canto per la prima volta. È un’opera seria di Donizetti che ascoltandola i più direbbero sia un lavoro precursore di Verdi, ma ci si dimentica quanto ha scritto Donizetti e con quanta intelligenza teatrale. Poi ci sarà una parte centrale dedicata a Rossini da “Péchés de Vieillesse” e da “Il turco in Italia” per poi tornare a Donizetti con tre arie dal “Don Pasquale”, l’ultima grande opera buffa nella storia del melodramma – se vogliamo dimenticare il “Falstaff” di Verdi. Un’opera che del tutto opera buffa non è, perché Donizetti aveva capito che si stava andando verso l’opera malinconica. Rimane comunque un grande capolavoro assoluto e sono contento di fare questo concerto per festeggiare il compleanno di Gaetano Donizetti.

LB: I brani della prima parte sono annunciati come “musica da camera vocale e strumentale”. Qual è la differenza con l’opera lirica tradizionalmente intesa?

PB: Per musica da camera s’intende una musica che si avvale dell’ausilio del solo pianoforte o di un altro strumento solista e non dell’orchestra, ed è pensata dal compositore proprio per essere eseguita con pianoforte e voce. In questo senso c’è una grande tradizione liederistica tedesca, una francese nelle chanson, portata avanti da autori meravigliosi come Schubert e Beethoven. Noi in Italia spesso ci dimentichiamo che abbiamo autori che hanno scritto musica da camera bellissima, come Donizetti o Rossini fra gli altri. Di solito la musica da camera si adatta molto bene per un recital come quello di stasera. Vocalmente richiede un’interpretazione più intimista nell’espressività del canto e si crea un rapporto molto vicino con il pubblico, intendo proprio a livello fisico, a differenza dell’opera lirica dove c’è una distanza maggiore, anche solo per la presenza della buca dell’orchestra. Ai giovani e meno giovani che non conoscono il mondo della lirica consiglio sempre di venire almeno una volta ad assistere a questo tipo di concerti. Da parte mia spero sempre di coinvolgere anche il pubblico più scettico.

LB: A proposito di giovani. Credo sia innegabile che Donizetti Opera provi a “svecchiare” e attirare un pubblico più giovane attraverso gli allestimenti “modernizzanti” delle opere, una tendenza che ormai da anni è molto diffusa…

PB: Guardi, è giusto fare tutto ciò che è possibile per coinvolgere le nuove generazioni. Ma è la curiosità lo sprone principale. Ciò vale per la musica ma anche per la vita. Non vedo però questa grande crisi per quanto riguarda i giovani. In generale nella vita dobbiamo smettere di aspettare che siano gli altri a dirci cosa fare. Bisogna essere curiosi di tutto quello che la vita ci può offrire. Poi è lodevole ogni tentativo di coinvolgere nuovi spettatori, ma le dico che l’opera non è mai morta e non morirà perché è uno spettacolo completo e quando i giovani si avvicinano ad essa ne rimangono entusiasti, tanto che a volte il canto lirico diventa una professione.

LB: Infine, lei fino ad oggi ha avuto una grande carriera, ha cantato in molti grandi teatri in tutto il mondo, ha ricevuto riconoscimenti e soddisfazioni. Che cosa si augura per il futuro?

Per il mio futuro sono abbastanza sereno, continuerò a fare il mio lavoro, perché lo amo, e lo farò sempre mettendo tutto me stesso. È ancora preoccupante la situazione della pandemia, penso a ciò che sta succedendo in Germania e Austria, ma personalmente cosa mi auguro? Non lo so, sono in un momento della mia vita abbastanza sereno. Faccio quello che mi piace, sto allargando le mie vedute e il mio repertorio, vado incontro a nuove sfide che sono il sale per evitare la routine. Quello che mi auguro invece riguarda l’Italia, che ci sia un’attenzione sempre costante, soprattutto da parte della politica, verso l’opera lirica italiana. Magari non come all’estero, perché non succederà mai, ma almeno guardando a ciò che viene fatto oltre i nostri confini. La musica lirica italiana è un nostro grande patrimonio e dobbiamo sostenerlo.

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