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Difendere i propri sogni come Riccardo Sinigallia

Intervista. Il cantautore romano torna a esibirsi live venerdì 30 luglio allo Spazio Polaresco per Summer Revolution. Abbiamo chiacchierato un po’ con lui a proposito della sua musica e dell’ultimo anno

Lettura 5 min.
Riccardo Sinigallia

Il curriculum di Riccardo Sinigallia è da peso massimo del panorama pop italiano: produzioni con Niccolò Fabi, Max Gazzè, Tiromancino, Luca Carboni e – tra i più recenti – Coez e Motta, ma anche collaborazioni con Frankie hi-nrg, Marina Rei, Mina e Celentano.

Eppure, la sua dimensione da solista è sempre stata più sfumata e sfuggente, esattamente al crocevia tra quel mainstream che ben conosce e una canzone d’autore più genuina e indipendente. Sinigallia, per dirla in altro modo, è un nome che passa – ogni tanto – in radio ma resta Autore con la maiuscola, che fa sempre fondamentalmente pop ma non rinuncia alla sperimentazione sia sonora che testuale.

Dall’esordio omonimo nel 2003, in cui elettronica e scorie trip hop erano al servizio di pezzoni indimenticabili come “Bellamore”, fino all’ultimo “Ciao Cuore” del 2018, un’elegante scampagnata in territori al confine con l’it-pop, la costanza nel percorso di Riccardo è stata la coerenza. Con sé stesso e la sua musica, anzitutto.

Venerdì 30 luglio potremo vederlo live allo Spazio Polaresco, nella cornice di Summer Revolution. Abbiamo scambiato due chiacchiere con lui per capire come mai, a tre anni dall’ultimo album e senza nuovi progetti annunciati, arrivi ora questo mini-tour.

LR: “Ciao Cuore” è ormai di tre anni fa! Che pezzi porterai in questo live, vecchi, nuovi o entrambi?

RS: Non ci saranno pezzi nuovi, perché non ne ho scritti se non come collaborazioni o per colonne sonore di film. Ma non ho scritto canzoni nuove per me, per il mio repertorio. Ho preso un po’ le distanze, nel senso che è un periodo in cui non sto sentendo la necessità di scrivere nuovi pezzi. Sicuramente ha influito questo tempo “sospeso”, perché mi ha aiutato a staccarmi da questa idea di me stesso come generatore di canzoni. Perché altrimenti poi si rischi di entrare in un circolo da cui è difficile uscire: fa diventare tutto una specie di loop esistenziale egoriferito. Per un po’ ho sentito proprio il bisogno di prendermi una pausa. Ora invece sta cominciando a tornarmi un po’ la voglia di mettermici, quindi chissà, magari a breve ricomincerò a scrivere.

LR: Come mai allora questi piccoli live?

RS: Un paio di persone me l’hanno proposto, poi da una data ne è nata un’altra e così via, quindi a un certi punto è nata l’idea di questo “mini-tour”. Forse mi farà anche bene, sai, per recuperare le mie canzoni e un po’ di voglia di trovarsi. Dopo questo strani periodo poi scopriamo nuovi significati nelle canzoni, e quindi senza grandi aspettative ma c’è grande curiosità.

LR: Quindi questo è il primo live che fai da un bel pezzo, giusto?

RS: Esatto. Ho fatto piccole cose in giro, acustiche o da solo o magari in streaming, ma come tour a tutti gli effetti è il primo che faccio da quello di “Ciao Cuore”.

LR: Come ti senti a riguardo? Ansia da prestazione, magari paura di trovare un po’ di ruggine, oppure sei solo curioso?

RS: Ansia no: sono arrivato, ormai da qualche anno, a un punto in cui sono completamente sereno. Ho risolto tanti dei conflitti che avevo in precedenza. Ho sempre avuto un senso di grande precarietà facendo questa attività: non mi sono mai sentito a mio agio nel calcare i palchi o suonare ai concerti; ho sempre avuto paura di annoiare, di non essere abbastanza entertainer, di avere troppe pause o scrivere canzoni non adatte a un pubblico che si vuole divertire. Da un po’ di tempo invece sono molto sereno perché tutte le volte che suono mi accorgo che tante delle persone presenti non si trovano lì per caso ma vengono proprio in cerca di quello. Quindi da qualche anno scatta sempre un bellissimo rapporto, e sono molto sereno.

LR: Nel lockdown ti sei proprio preso una pausa totale dalla scrittura insomma.

RS: Dalla scrittura sì, ma dalla musica no, nel senso che ho studiato moltissimo: dai sintetizzatori modulari al riprendere la chitarra facendo le scale. Ho studiato parecchio, cosa che non facevo da molto tempo; credo da quando ho studiato pianoforte per un po’. Mi è piaciuto molto e mi sono reso conto una volta di più di quanto la musica possa essere una risorsa nei momenti più difficili.

LR: A proposito di synth modulari: tu hai sempre flirtato con l’elettronica lungo tutta la tua produzione. Penso soprattutto al tuo primissimo disco – quello omonimo – ma in generale è un fermento che rimasto sempre sotteso alla tua musica, a volte più e altre meno ma sempre e comunque presente.

RS: Nei miei dischi dipende molto da quello che succede quando mi metto lì. Perché l’elettronica mi affascina molto, ma è una lotta sempre aperta con la musica libera e continua che permette di generare uno strumento senza sequenze o pulsazioni, come può essere quando scrivo al piano. Quindi in realtà sono sempre in conflitto tra le due cose, e credo che ci sarà sempre elettronica nella mia vita. Perché è qualcosa che ho dentro in primo luogo anche come ascoltatore: ho proprio la necessità di sentirla. Però non ho quella ossessione per l’elettronica come prodotto musicale: nel senso che mi piace quando è libera e suonata. Difficilmente mi piacciono i dischi di musica elettronica pura, è molto raro. Quando è al servizio di qualcosa di più ampio – almeno dal mio punto di vista – allora invece mi piace inseguirla.

LR: Tu sei sempre stato un artista dalla dimensione ibrida: a metà strada tra mainstream e cose più radiofonicamente esposte da una parte, e il fare le tue cose senza rendere conto a nessun altro dall’altra. È qualcosa che hai ricercato tu, o è semplicemente il naturale risultato della musica che hai fatto?

RS: Anzitutto dividerei la mia attività personale da quella di produttore. Quando ho partecipato in dischi di altri ho seguito le direttive e i desideri di chi aiutavo. In molti casi il desiderio principale era di emergere dall’anonimato e ottenere un riscontro anche commerciale. Da qui sono nate molte cose che hanno funzionato. Per quanto riguarda i miei dischi non ho mai fatto questo ragionamento perché per una scelta sia molto razionale che molto istintiva, quando mi sono ritrovato a dei bivi ho sempre cercato di difendere il mio sogno da bambino. Nei miei dischi ho sempre fatto quello che volevo fare. Come escono, escono. Dopodiché, se passano in radio – ma non succede spesso – sono molto contento, perché più ascoltatori hanno più questo mi gratifica. Ma non è per me una priorità. La priorità è che siano opere per cui io possa essere riconoscente a me stesso per sempre.

LR: Questo è qualcosa che poi arriva al pubblico. Spesso vieni definiti come uno dei pochi “onesti” del pop, nel senso che questo sincerità di intenti verso te stesso nella musica in qualche odo ci finisce ed è percepibile dall’ascoltatore. Anzi, probabilmente è una parte importante del tuo successo.

RS: Penso di sì. Penso sia anche necessario per me perché non potrei fare altro. Quando faccio qualcosa di onesto so quanto lo pago, e cambia anche il mio respiro quando canto le parole delle mie canzoni. Ci tengo tanto a mantenere la mia produzione discografica limpida e a me corrispondente. È qualcosa cui non rinuncerò mai. Questo non significa che se mi devo dare una pettinata in ascensore prima di entrare a casa di qualcuno non me la do.

LR: Quanto è diverso il Riccardo Sinigallia di oggi da quello degli inizi?

RS: In realtà sono sempre lo stesso, anche di quando avevo dodici anni. Guardo alle canzoni che provavo a scrivere allora e non sono così diverse da quelle che scrivo adesso. Le traiettorie che traccio e che inseguo sono le stesse. Però cambia tutto quello che c’è stato intorno e in mezzo: la vita. Che ti porta da un lato ad avere più esperienza, e dall’altro meno ingenuità e spavalderia. Una cosa positiva sicuramente è la maggiore conoscenza di alcune cose proprio a livello musicale.

LR: “Ciao Cuore” è il tuo disco più it-pop: per tante sonorità ricorda certe cose che stavano iniziando a passare abbondantemente in radio tre anni fa se non prima. Ti eri trovato ad andare da quelle parti anche tu per coincidenza, o c’era qualcosa in quei pezzi che ti aveva colpito per cui avevi provato a farlo tuo?

RS: Magari inconsciamente può essere. Sicuramente c’è stato un momento in cui scrivendone le canzoni ho pensato potesse essere l’ultimo disco “da giovane”. Sapevo già che dopo avrei chiuso con quel tipo di approccio, sentivo che avrei abbandonato quelle linee e quelle strutture tipiche della forma canzone; che già abbandonavo di tanto in tanto, ma in quel disco ho deciso proprio di fare un ultimo album in cui gioire della forma strofa-ritornello-strofa-ritornello. Quindi era un’intenzione abbastanza naturale, l’ho fatto con gioia. Sono canzoni che anche risentite ora, mi lasciano contento di averle fatte. Ho sempre la gioia di fare una canzone che arrivi a tutti seguendo forme canoniche. Però al contempo ho anche la voglia di distruggerle, quelle forme.

LR: Quindi il prossimo Sinigallia che dobbiamo aspettarci sarà meno canonico.

RS: Sicuramente “Ciao Cuore” è stato un saluto finale a questo approccio. Credo di aver fatto l’ultimo disco di quel tipo lì.

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