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L’Icaro spirituale di Luca Aquino e della sua tromba solitaria

Articolo. Il musicista di Benevento il 19 marzo al Museo della Cattedrale per Bergamo Jazz Festival. Un progetto che dialoga con l’elettronica, il silenzio e gli spazi

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(foto Andrea Boccalini)

In quell’allargamento ai più diversi campi della parola jazz, verso una sorta di idea di musica totale dalle rotte imprevedibili, l’intenzione di un disco e di un progetto dal vivo in solitaria hanno trovano sempre più spazio. Sono molteplici i significati di una scelta simile. C’è un misurarsi con sé stessi, tecnico ma soprattutto interiore. C’è un’esigenza di avanscoperta completamente libera dal dialogo con altri musicisti / strumenti secondo un interplay, si spera, il più possibile prolifico. C’è infine una dimensione di interazione con il silenzio, la costruzione di una solida architettura bilanciando pesi e contrappesi – che in certi casi considera fondamentale anche il luogo dove la performance avviene.

Tutto questo descrive precisamente l’“Icaro Solo” di Luca Aquino, disco del 2010 e successiva “azione sonora” di uno dei più quotati trombettisti italiani, capace di un suono evocativo effettivamente in vibrazione. Aquino sarà a Bergamo Jazz Festival giovedì 19 marzo negli spazi preziosi del Museo della Cattedrale, perfetto per la verticalità spirituale del nostro (ingresso 5 €, ore 18, in collaborazione con il Museo Bernareggi).

Sono un amante dei luoghi dotati di un suono particolare – ci racconta – Mi piace sfruttare i riverberi naturali di chiese e musei, ma anche di un cortile o di una moschea. Ogni posto ha le proprie caratteristiche, ‘suona’ soprattutto nei riverberi e dialoga con la mia tromba”. È da queste coordinate che prende il volo Icaro, l’“Icaro involato” di Raymond Queneau ispirante un’esecuzione mai uguale a sé stessa.

Dopo aver letto il libro di Queneau ho deciso che avrei affrontato Icaro da solo, quando inizialmente il progetto era per una band. Dopo questa esperienza ho iniziato a preferire ensemble non troppo ampi e ho rivalutato l’importanza del silenzio”. La tromba in primo piano a riempire l’aria, l’elettronica in brevi striature che si infilano negli interstizi. Nel disco anche dei suoni ambientali di un trapano, per un jazz da meditazione che “nasce da un lavoro di scrittura e si sviluppa per via improvvisativa, prendendo anche i colori dei luoghi dove ho suonato, dalla Scandinavia all’Oriente. In un decennio ho fatto quasi trecento live”.

Dicevamo prima di un lavoro di bilanciamento, per il beneventano l’interazione è “con il silenzio, ma pure fra tromba ed elettronica. Il tutto muta a seconda del mio stato d’animo. Non ci sono percentuali fisse di presenza dell’una o dell’altra. L’elettronica però cambia spesso. Live dopo live ho bisogno di rinnovarla e di alimentare la mia curiosità, inoltre essa stessa evolve in continuazione. Invece il suono acustico della tromba è il ‘mio’, mi appartiene”.

Aquino viene da un percorso che fino ad oggi ha avuto diverse direzioni. Dopo tutto questo tempo “Icaro Solo” avrà assunto per lui un valore preciso all’interno della sua discografia. “È stato il mio terzo lavoro, lo considero il più grande insegnamento che ho avuto fino ad oggi dai miei dischi. Fare un disco intero di quasi sola tromba e poi salire sul palco da solo con lo strumento non è semplice: io mi sono imposto di fare questa cosa, e in questi anni mi ha dato tanta forza. È stato un rifugio spirituale”.

C’è un altro libro che negli ultimi anni è stato fondamentale per Luca, “La strada” di Cormac McCarthy: “Di recente ho avuto tre paresi facciali in momenti diversi. Ho recuperato ma mi hanno segnato molto. ‘La strada’ mi è stato d’aiuto, mi ha riportato ad una dimensione più essenziale. Ciò che è accaduto è stato un insegnamento: a non avere fretta ma a prendere il tempo per quello che è, godersi il momento, una passeggiata, il quotidiano”.

Le paresi sono stato anche un obbligo, prima di fermarsi e poi di ricominciare: “Ho dovuto reimparare a suonare, cambiando totalmente impostazione e quindi suonando in modo differente. Il mio primo approccio con la tromba è stato a vent’anni, dopo le paresi ho dovuto riprendere gli esercizi, farne tanti. Mi sono misurato con la sofferenza ed è stato necessario imparare ad attendere”.

Sito Bergamo Jazz Festival

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