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Trevisan, lasciare le proprie canzoni agli altri

Intervista. Cioè ai produttori Riccardo Zamboni e Federico Laini. Che hanno dato una patina pop al secondo disco del cantautore bergamasco, «Questo Stupido Gioco», per la prima volta live a Edoné il prossimo 4 febbraio. Matteo ci ha parlato del suo progetto, di come è nato questo nuovo lavoro così diverso dal precedente, e di come vede la situazione musicale a Bergamo

Lettura 4 min.
Trevisan

È uscito il 20 gennaio per Edoné Dischi il secondo lavoro di Trevisan: «Questo Stupido Gioco» è arrivato dopo un po’ di anni da «Questa Sera non Esco», il suo disco di esordio del 2016, ben accolto dalla critica e dal pubblico. Matteo Trevisan gira da un bel po’ di anni tra palchi e studi, ed è dal 2011 che ha deciso di mettersi in proprio per raccontare il suo mondo con un cantautorato in italiano che ha però radici anglosassoni ben identificabili: c’è Nick Cave e c’è Tom Waits, ma anche Tim Armstrong, legati da un cantato che può richiamare un Vasco Rossi degli inizi (quello buono). Sentire il singolone di lancio «Davvero Davvero» per credere.

In questo secondo lavoro di novità ce ne sono tante: quella che salta subito all’orecchio è una palette produttiva decisamente allargata. Molto meno acustico e scarno del predecessore, in «Questo Stupido Gioco» i pezzi di Trevisan diventano la tela per il massimalismo produttivo del tandem Riccardo Zamponi-Federico Laini. Synth, tastiere, assoli di sax (la coda di «Davvero Davvero»): potrebbe sembrare it-pop, ma senza quell’indolenza un po’ di plastica che può facilmente rendere odiosi altri autori. Che la radice sia punk-rock resta evidente, e sembra quasi di sentire Trevisan che scrive questi pezzi chitarra e voce prima di farci versare sopra tutto il resto degli orpelli arrangiativi.

Il risultato finale è un bel disco di pop a tutto tondo, dove la melodia non manca, gli arrangiamenti sono caleidoscopici ma sempre coerenti, la sincerità di fondo non viene mai meno, e trovano spazio anche pezzi più tristi o riflessivi. In vista della serata del 4 febbraio all’Edoné dove presenterà live il disco, abbiamo raggiunto Matteo per farci raccontare meglio la nascita di questo disco.

LR: Hai cominciato la tua avventura solista dopo tanti anni di esperienza suonando con e “per” altri: come è nata questa voglia di provare a metterti in proprio?

MT: C’è stato un periodo in cui ero un po’ giù: non proprio depresso però sai, quando è appena finita una storia e rimani da solo. Avevo già provato a scrivere pezzi in precedenza, ma non ero ancora riuscito a trovare un linguaggio che mi andasse bene. In quel momento invece sono riuscito a trovare un metodo che fosse funzionale.

LR: «Questo Stupido Gioco» arriva dopo diversi anni dal tuo esordio «Questa Sera non Esco». Come mai questa “pausa” temporale?

MT: Un po’ per le solite lungaggini di quando fai queste cose “indipendenti”, e poi il biennio 2020-2021 è stato un periodo un po’ complesso per tutti. Riuscire a riprendere il filo ha allungato tutto ulteriormente.

LR: Quindi avevi iniziato a scrivere il disco pre-pandemia?

MT: Sì, alcune canzoni risalgono al 2018 e 2019. Poi essendo io da solo devo sempre pensare alla produzione. Lavoro da sempre con Riccardo Zamboni, che ha prodotto anche questo disco insieme a Federico Laini, però organizzare il tutto e decidere come fare prende molto tempo.

LR: A proposito di produzione: questo nuovo lavoro suona molto diverso dal precedente. Come sei arrivato a questa svolta?

MT: Ho iniziato a produrre le canzoni con altri musicisti, però i risultati sugli arrangiamenti non erano quelli sperati. Di solito quando hai un pezzo prima fai dei provini di arrangiamento, poi vai in studio e lo registri. Però Riccardo non era soddisfatto: in quel periodo aveva conosciuto Federico Laini e stava iniziando a collaborare con lui per alcune cose, così mi ha detto «proviamo a fare questa cosa: le canzoni tu le fai in studio chitarra-voce, poi noi ci lavoriamo sopra». Ed è quello che abbiamo fatto: hanno preso la mia traccia e ci hanno lavorato, mettendoci sopra tanti synth e tanta produzione. Hanno lavorato in totale libertà, io non ho mai detto nulla sulla produzione dei pezzi.

LR: Che effetto ti ha fatto ritrovare i tuoi pezzi così trasfigurati?

MT: È stato bello. Diciamo che i pro di questo metodo sono evitarti un casino di “sbattimenti”, perché lavorare con le persone non è mai facile: confrontarsi con altri musicisti può essere difficile, i rapporti possono diventare complessi. I contro sono che poi i pezzi devi suonarli dal vivo, e quindi abbiamo dovuto ri-arrangiarli nuovamente.

LR: Come ti sei sentito la prima volta che hai sentito i tuoi pezzi in questa nuova veste? Li hai trovati distanti, estranei a quello che avevi in mente o hanno incontrato da subito il tuo entusiasmo?

MT: All’inizio ovviamente c’è stato un po’ di shock, poi mi sono detto «ok, va bene».

LR: Quando ti vedremo dal vivo che tipo di live potremo aspettarci? Suonerai con una band?

MT: Farò anche dei pezzi da solo, altri invece accompagnati da una band: bassista, batterista e chitarrista. I pezzi sono sempre stati supervisionati da Riccardo Zamboni, che ci ha concesso anche questa gentilezza.

LR: Quindi la parte “nuova” di synth ed elettronica non ci sarà?

MT: Ci saranno dei pad del batterista, ma non tutta la parte di synth. Anche perché trovare un musicista che suoni quelle cose lì non è facile. La cosa più facile sarebbe stata farle suonare da chi le ha fatte in studio. Anche perché nel mio “ambiente” musicale, più punk-rock e rock-n-roll, non è così facile trovare gente che suoni quegli strumenti lì.

LR: Qualche pezzo con una storia particolare?

MT: Hanno tutti più o meno la loro storia e peculiarità. «Non Una Nave», che ho scritto nel 2020, pochi mesi dopo il disastro della pandemia: racconta anche quelle cose lì, soprattutto di persone a me care che hanno avuto delle perdite. È un pezzo che mi è molto caro. Quel periodo non è stato semplice per nessuno, ma per chi ha avuto lutti ovviamente ancora meno.

LR: Quindi è un disco in un certo senso figlio del suo tempo e delle contingenze storiche che stiamo vivendo.

MT: Assolutamente sì, quel periodo ha cambiato la vita di tutti. Qui da noi poi è stata particolarmente eclatante.

LR: Hai avuto influenze particolari che ti hanno guidato nella scrittura del disco?

MT: Non in particolare, anche perché quando scrivo non ascolto molto. Scrivo abbastanza a ruota libera.

LR: Il disco sarà disponibile in vinile?

MT: Edoné Dischi lo farà uscire solo in vinile come formato fisico, poi ovviamente in streaming. Mi sono trovato benissimo con i ragazzi di Edoné: stampare un vinile è molto impegnativo sia dal punto di vista finanziario che organizzativo, con grafica, stampa e tutto.

LR: Il pezzo del disco a cui sei più legato?

MT: «Davvero Davvero», il secondo pezzo in scaletta che è stato anche il primo singolo, mi piace particolarmente. Anche «Sassi», una ballata che ho scritto dopo una tendata in montagna.

LR: Come vedi la situazione musicale a Bergamo?

MT: Io ho sempre vissuto solo qua, quindi non so come sia la situazione nelle altre città. Però c’è sempre stata tanta gente che suona. La città è piccola però anche in provincia e nelle valli c’è una bella scena e tante cose interessanti. Siamo anche una delle città che possono vantare più gruppi “famosi”, dai Verdena ai Pinguini Tattici Nucleari. Quindi penso che ci sia un bel panorama. Magari dal punto di vista cantautorale al momento non c’è moltissimo, ma credo che arriveranno. Non arriverei a parlare di «scena» qui a Bergamo, perché ognuno si fa consapevolmente e giustamente un po’ i cazzi propri. Però ci sono tanti giovani che fanno hip hop, e tanti ottimi locali che supportano: Ink, Edoné, Druso, lo Spazio Polaresco, il Piazzale degli Alpini, il Pacì. Non so quante altre città possano dire altrettanto.

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