93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Cosa sono gli alberi monumentali e dove si trovano a Bergamo e in provincia

Articolo. Li chiamano «monumentali» e all’apparenza il nome non sembra tanto preciso. Perché un monumento spesso è una cosa statica, marmorea, che sostiene la memoria di qualcuno o qualcosa, ma non è vivo. Invece gli alberi monumentali, è banale dirlo, lo sono

Lettura 5 min.
Uno degli olivastri di Luras (SS), considerati tra i più longevi d’Europa (foto Giovanni Careddu, fonte Wikipedia)

E vivono da decenni, da centinaia o migliaia di anni. Hanno attraversato la Storia – guerre, carestie, scoperte, nuove culture e nuove prospettive – hanno resistito all’azione dell’uomo, magari perché si trovano in particolari condizioni geografiche, o rappresentano qualcosa di altamente significativo per una comunità o un gruppo d’individui.

Gli alberi monumentali non sono semplicemente degli alberi «grossi» (per la loro altezza o circonferenza) o «vecchi», ma sono definiti così da una serie di criteri quantitativi e qualitativi. Criteri che non devono essere necessariamente presenti in toto, ma che rendono un albero speciale, prezioso: uno dei tanti tesori di un pianeta che abbiamo considerato per molti anni, e stiamo considerando ancora, una sorta di supermarket da cui estrarre ciò di cui abbiamo bisogno.

Una visione chiamata estrattivismo, sotto-ideologia dell’ideologia dominante, quel capitalismo che solo negli ultimi anni – anche a causa di catastrofi come la pandemia e il riscaldamento globale – stiamo mettendo in discussione a livello planetario, come genere umano. In modo ancora minoritario ma con una sensibilità in crescita, a cui gli alberi monumentali possono contribuire. Come è semplice: di fronte ad un albero monumentale non si può che esprimere stupore, meraviglia, e le emozioni contano, sono un punto a favore della necessità di difendere i nostri ecosistemi.

Quando un albero è «monumentale»

Dimensioni eccezionali, longevità (anche di piante molto vecchie che però non hanno grandi altezze), valore storico (cioè piante connesse ad un accadimento della Storia di particolare importanza), rarità (e quindi grande qualità biologica), caratteristiche paesaggistiche e storico-architettoniche (magari di un insieme di piante che rendono peculiare un territorio): sono i criteri grazie ai quali uno o più alberi possono essere definiti «monumentali».

Ma c’è di più: gli alberi monumentali hanno anche diverse funzioni importanti. Ad esempio sono un rifugio per la piccola fauna nelle zone ad agricoltura intensiva; oppure ospitano insetti, licheni e funghi. I più antichi possono fornire fondamentali indicazioni ai climatologi per lo studio del clima del passato – anche per confrontarlo con quello attuale, trovando così affinità e divergenze. Di grande rilievo è il loro essere banche di germoplasma, perché gli alberi monumentali sono piante resistenti ai cambiamenti e molto longeve, dunque i loro semi sono fortemente adattabili ad altri contesti per avviare nuove estensioni vegetative. Non da ultimo, gli alberi monumentali sono un’attrazione turistica, quando con turismo possiamo intendere la semplice visita di un luogo che merita di essere visto, oppure qualcosa di più: dinanzi ad un albero che ha qualche migliaio di anni possiamo sentire tutta la nostra brevità , la caducità dell’esperienza umana, che non ha alcun diritto di danneggiare ciò che ci sta intorno.

Oltre quattromila

Scriveva Tiziano Fratus – uno che di alberi se ne intende – qualche giorno fa su Il Manifesto: «magari vi appoggiate a una colonna vivente alta una trentina di metri e dal fusto colonnare, colossale, senza neanche farci caso, fino a quando l’occhio reclamerà l’adeguata attenzione: così, vi renderete conto che quei due frassini potrebbero essere benissimo inseriti, prima o poi, nell’elenco degli alberi monumento del nostro Belpaese». Un elenco che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha aggiornato di recente: si chiama elenco degli Ami (Alberi monumentali d’Italia) ed è disponibile in rete come un’iniziale “cartina” di segnalazione (facile da consultare) degli alberi monumentali del nostro territorio, magari cresciuti vicino a noi senza che lo sapessimo; oltre quattromila magnificenze vegetali che aspettano solo di essere scoperte.

Gli alberi più antichi d’Italia ad oggi sono l’Olivastro di Santu Baltolu di Carana, a Luras (provincia di Sassari) che ha circa 4000 anni; il Castagno di Nucifori-Sant’Alfio (provincia di Catania) che ha dai 3000 ai 4000 anni e l’Acero di Bosco Tassita a Caronia (provincia di Messina) che ha “solo” 700 anni. I più alti invece sono il Platano di Villa Erba a Cernobbio (provincia di Como) che arriva a 59 metri; la Sequoia gigante sulla strada del vino di Appiano (provincia di Bolzano) di 58 metri; e l’Abete di Douglas presso il Lago di Meugliano nel Canavese (provincia di Torino), terzo per soli due metri e con un’altezza di 56. Se invece parliamo di circonferenze conviene spostarsi a Palermo, dove il Fico di Villa Garibaldi e il Fico di Villa Niscemi (entrambi 36 metri) superano di poco il Fico dello Zen nell’omonimo quartiere (34 metri) e staccano il Fico di Villa Tasca (27,30 metri).

Alberi monumentali a Seriate

E a Bergamo? Se consultiamo l’Elenco Ami Lombardia scopriamo che sul nostro territorio ci sono ben 34 alberi monumentali, sparsi fra contesti urbani, di pianura, collina e montani. Il più alto è un esemplare di 50 metri di Abies alba, cioè Abete bianco, che si trova a Roncobello, ad un’altitudine di 1320 metri, in località Peghera, sulla Strada Alpeggio Mezzeno. Il secondo, anzi i secondi, si trovano a Seriate, ed impreziosiscono la splendida Villa Ambiveri: si tratta di un insieme omogeneo di Cedrus libani – detto comunemente Cedro del Libano – che va dai 33 ai 36 metri (la Villa e il parco non sono sempre visitabili); poco più basso è un altro insieme omogeneo, questa volta di Styphnolobium japonicum, la Sofora del Giappone, al Parco Piccinelli (Piazza Giovanni XXIII, 5) ancora a Seriate, piante che vanno dai 30 ai 35 metri.

Per quanto riguarda invece la circonferenza del fusto si difende bene – al confronto, ad esempio, degli enormi fratelli dei grandi parchi americani – il Cedrus deodara, un Cedro dell’Himalaya di 683 centimetri (quasi sette metri) che è facilmente visitabile al Parco Frizzoni (via Piave) di Pedrengo. Dopo di lui a Lovere nella Villa Milesi (via Guglielmo Marconi) un altro Cedro dell’Himalaya arriva a 584 centimetri di circonferenza e a Clusone, in via Clara Maffei 3, un insieme omogeneo di Sequoiadendron giganteum, cioè di Sequoie giganti, va dai 460 ai 530 centimetri.

Chi invece vuole scoprire alberi monumentali ma anche farsi una bella passeggiata in montagna, a 1510 metri in località Cimalbosco a Schilpario troverà un Acer pseudoplatanus, l’Acero di monte, alto 20 metri e con una circonferenza di 388 centimetri. Un’altra bella camminata è quella che vi porterà ai 1463 metri di Verzuda Bassa, località di Oltressenda Alta, per ammirare un insieme omogeneo di Fagus sylvatica, il comune Faggio, con altezza dai 18 ai 20 metri e circonferenza dai 350 ai 441 centimetri. Poco più in basso (1435 metri), sempre a Verzuda Bassa, un altro Faggio di 25 metri e 470 centimetri di circonferenza si staglia al terzo posto per altitudine fra gli alberi monumentali della nostra provincia.

Gli alberi monumentali e la «storia profonda»

Sono numeri che formano una classificazione in continuo aggiornamento e magari anche nella nostra provincia ci sono alberi che rispettano i criteri che vi abbiamo elencato sopra e che meritano di entrare fra i 4006 alberi monumentali italiani classificati fino ad oggi dall’Elenco Ami. Per segnalare alberi meritevoli di citazione nell’Elenco basta scrivere al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (centralino tel. +39 06.46651; mail [email protected] e [email protected]).

Quello degli alberi monumentali è un lavoro collettivo, che riguarda il territorio, chi lo abita ed è uno dei tanti tasselli vitali per il futuro del nostro pianeta. Ma è anche un modo affascinante per scoprire quella che uno fra i tanti che se ne occupano, lo storico indiano Dipesh Chakrabarty nel suo «Clima, Storia e Capitale» (Nottetempo) chiama «storia profonda». Ovvero la storia dei viventi e dei non viventi che – scorrendo prima e insieme alla Storia dell’essere umano – ha generato quelle cause che hanno forgiato il nostro essere homo sapiens. Consegnandoci uno sguardo più ampio delle diverse fasi del nostro percorso storico fino ad oggi e del domani che ci attende: «Per poter esistere, una politica complessiva del cambiamento climatico – scrive Chakrabarty – deve porsi in questa prospettiva: la constatazione che gli umani sono gli ultimi arrivati nella vita del pianeta e sono in una condizione più simile a quella di ospiti temporanei che di padroni esclusivi».

Uno spostamento di posizione dall’antropocentrismo ad una condizione “in rete” con tutto il resto del vivente e del non vivente. Che è poi ciò che ci suggeriscono gli alberi monumentali: spesso sulla Terra prima di noi e chissà ancora per quanto, se li sapremo tutelare insieme ai loro compagni più “piccoli”.

Approfondimenti