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«Pietra di Credaro» e «Flysch», il mattone Unesco della Bergamasca

Articolo. Originata da spaventose frane sottomarine, questa pietra è la protagonista del patrimonio costruito in Città Alta e sui Colli. Oggi questo materiale è apprezzato per l’edilizia residenziale contemporanea

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Il paesaggio di Città Alta, dei borghi e della prima fascia collinare dalla Brianza al Lago d’Iseo è scandito dalla presenza di una pietra di colore nocciola-dorato, talora con tonalità grigie più fredde. Fino all’avvento del cemento e dei mezzi a motore, è stata il mattone per eccellenza, con cui si costruiva tutto: mura, strade, case, chiese, palazzi, castelli, cascinali, selciati, muretti per i terrazzamenti. L’amplissima diffusione nelle costruzioni è testimoniata ancora oggi dal patrimonio storico del costruito, muto e che forse per questo passa un po’ inosservato: un paesaggio minerale e umano, che pietra su pietra porta in superficie la materia di cui è fatto il sottosuolo della città e dei colli. Infatti, l’immediata reperibilità e la facile estrazione dagli affioramenti prossimi agli insediamenti hanno favorito nei secoli la coltivazione dei giacimenti senza interruzioni fino alla metà del secolo scorso.

A Bergamo, ancora fino alla prima metà del XX secolo si costruiva prevalentemente utilizzando conci della «Pietra dei Colli», più economici rispetto ai laterizi. I conci erano talmente preziosi che, quando avvenivano crolli in Città Alta, spesso, per i proprietari dell’immobile, era più redditizio vendere i mattoni di pietra delle murature crollate rispetto a ricostruire per poi affittare. Anche gli edifici precedenti alle guerre del centro della città bassa, sotto l’intonaco, sono realizzati con murature in «Pietra dei Colli». Casi speciali sono invece prima della Seconda Guerra mondiale le realizzazioni di grandissimo pregio come la Torre dei Caduti, in bugnato “gigante” in «Pietra di Bagnatica», e alcune tra le più belle ville della città, tra cui La Bassiana, Casa Leidi, Casa Goggia, Villa Finazzi, e in provincia, a Sarnico la Villa Faccanoni.

Cosa è il «Flysch» di Bergamo

Il «Flysch» di Bergamo è un insieme di rocce che i geologi hanno compreso sotto un unico gruppo geologico in base alla genesi e alle caratteristiche deposizionali. Queste rocce si sono depositate nel Campaniano, cioè circa 65 milioni di anni fa e oggi affiorano lunga una fascia continua che si estende dalla Brianza al Lago d’Iseo. All’interno di questo gruppo di rocce si possono osservare variazioni deposizioni localizzate, tra cui quella nella porzione più orientale del deposito, che prende il nome di «Pietra di Credaro», caratterizzata da una composizione più ricca di detriti carbonatici.

La «Pietra di Credaro» dunque è una variazione laterale, un “sottoinsieme” del «Flysch» di Bergamo: la loro parentela è strettissima e la loro genesi la medesima. I geologi definiscono «flysch» le rocce sedimentarie costituite da un’alternanza ritmica di arenarie, cioè detriti sabbiosi, e argilliti, cioè detriti a grana più fine, fangosi. La composizione della roccia dipende da quella dei sedimenti detritici che la costituiscono ed è mista, silicoclastica e carbonatica. I «flysch» sono diffusissimi in tutto il mondo e ciascuno di essi è legato ad un momento particolare della storia evolutiva del pianeta.

I «flysch» si depositano in ambiente marino per l’accumulo di voluminose quantità di sedimenti detritici che vengono rimobilizzati da enormi, frequenti, spaventose e travolgenti frane sottomarine, innescate da eventi sismici connessi con le fasi iniziali di formazione di una catena montuosa: nel caso del «Flysch» di Bergamo erano naturalmente le Alpi. I sedimenti detritici vengono così rimaneggiati in «correnti di torbida» e depositati nuovamente secondo una tipica e ritmica successione di livelli di spessore centimetrico o decimetrico a granulometria selezionata.

Per gravità, prima si depositano i detriti più grossolani, le sabbie, di dimensioni millimetriche, a cui corrispondono nella roccia i livelli arenacei più o meno laminati, e a seguire le particelle più fini, sub-millimetriche, cioè i fanghi, che costituiscono i livelli argillitici. Nel caso del «Flysch» di Bergamo, ad ogni evento franoso, si depositava un ciclo di arenaria e argillite, il cui spessore complessivo raggiunge al massimo 80 centimetri. Le frane che si sono continuamente succedute nel tempo sono state numerosissime: diversi autori infatti stimano che lo spessore della Formazione del «Flysch» di Bergamo si aggiri intorno al migliaio di metri, mentre per la «Pietra di Credaro» lo spessore stimato è circa 350 metri. Successivamente alla deposizione, i detriti sciolti sono stati legati da cemento calcareo e trasformati in roccia: i livelli arenacei ne risultano molto compatti e tenaci, quelli argillosi invece molto teneri ed erodibili.

La lavorazione

Dell’ampio areale di affioramento del «Flysch di Bergamo», l’unica porzione ancora in coltivazione è quella appartenente alla «Pietra di Credaro» che affiora lungo la fascia pedecollinare da Bagnatica al Lago d’Iseo; i bacini attualmente in coltivazione sono quelli di Credaro, Castelli Calepio e Carobbio degli Angeli. Si tratta di siti attivi per l’estrazione fin dai tempi medievali, e da cui provengono le pietre con cui sono stati costruiti i castelli della zona. La coltivazione della «Pietra di Credaro» avviene in cave a cielo aperto, dove con l’accorto utilizzo di mezzi meccanici come martelli pneumatici e pale meccaniche si staccano dai livelli arenacei del fronte cava piccoli blocchi di dimensioni irregolari, sfruttando l’arrendevolezza dei livelli argillitici. L’estrazione avviene infatti seguendo i «corsi», cioè gli strati della roccia.

La lavorazione della «Pietra di Credaro» avviene in prossimità della cava, dove si selezionano le varietà – Medolo, Berretino e Giasöl – e si separano i blocchi in base alle loro dimensioni e alle loro caratteristiche geometriche. I blocchi di maggiori dimensioni vengono inviati alle lavorazioni pregiate, tra cui la realizzazione di colonne monolitiche, elementi decorativi, lastre da pavimentazione, soglie, davanzali, contorni per finestre, camini e altri manufatti come complementi d’arredo ed elementi di arredo urbano, su cui si applicano anche le lavorazioni artigianali a mano in base alle richieste. I blocchi di dimensioni più contenute vengono invece destinati alla produzione con trance meccaniche dei conci da muratura. La pietra si presta ad essere lavorata prevalentemente a spacco, oppure con finiture rustiche tradizionali come la bocciardatura, la sabbiatura, la spuntatura.

Accanto alle lavorazioni meccanizzate, persiste anche la tradizionale lavorazione a mano degli scalpellini che con punta e scalpello sagomano uno ad uno i cosiddetti «bolognini», i tipici conci con la faccia a vista convessa. Uno dei pregi più singolari della pietra lavorata a mano infatti è l’unicità, nell’armonia complessiva, di ogni singolo concio. Combinata con la posa artigianale realizzata da maestranze specializzate, tale unicità rende particolarmente gradevoli e ambite le realizzazioni, che possono anche essere studiate con un alto grado di personalizzazione. Una lavorazione recente e molto apprezzata dal mercato sono i conci a basso spessore con lavorazione artigianale, che permettono di eseguire pregevoli rivestimenti decorativi con pietra faccia a vista.

Il mercato della «Pietra di Credaro» spazia oggi dall’edilizia residenziale di pregio al restauro storico, soprattutto per le costruzioni storiche di Città Alta, mura comprese. E le mura veneziane di Bergamo sono davvero una realizzazione e una referenza speciale: riconosciute nel 2017 dall’UNESCO “Patrimonio dell’umanità”, in quanto appartenenti al sito seriale transnazionale «Opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da Terra-Stato da Mar occidentale», devono alla materia con cui sono costruite, cioè prevalentemente al «Flysch» di Bergamo, la loro longevità e la loro conservazione in piena efficienza.
Quindi, oltre a tutti i suoi pregi estetici e tecnico-applicativi, la «Pietra di Credaro» è anche una candidata ideale per il riconoscimento di «Pietra del patrimonio mondiale UNESCO».

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