93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

#coseserie: «Skam Italia» 5, quello che i ragazzi non dicono

Articolo. Su Netflix dal 1 settembre e al primo posto nella classifica delle serie tv più viste di questi giorni: la quinta stagione, che riprende l’originale format norvegese, racconta il punto di vista degli adolescenti, le loro paure e – in questa stagione – quello che i giovani maschi si vergognano di dire

Lettura 5 min.
Elia (Francesco Centorame)

Cominciamo dal titolo: «Skam» è una parola di origine norvegese che può essere tradotta come «vergogna», «imbarazzo» o «disagio». «Skam Italia» è il remake di una web serie andata per la prima volta in onda in Norvegia nel 2015, in cui, appunto, ogni stagione è incentrata su un giovane protagonista che deve affrontare e gestire un disagio. E, come se non bastasse, confrontarsi con le pressioni sociali tipiche della sua età, coi suoi coetanei, coi primi amori, con la difficoltà di non sapere chi è e dove vuole andare.

Dopo il successo della quarta stagione (della quale vi abbiamo parlato qui) che ha avuto come protagonista Sana, una ragazza musulmana che si trovava a gestire la perenne tensione del vivere tra due mondi – quello di una cultura occidentale e quello della cultura islamica – il regista e sceneggiatore dell’adattamento italiano, Ludovico Bessegato, ha puntato su una quinta stagione che avesse come protagonista Elia (Francesco Centorame) che si era innamorato di lei. O almeno così sembrava alla fine dell’ultima stagione.

Boys don’t cry

Quando penso all’adolescenza mi viene in mente la metafora del gambero che ci presentò la professoressa di francese come brano da tradurre alle scuole medie. La traccia era tratta da un testo di psicologia del pediatra Francois Dolto che paragonava gli adolescenti a gamberi che, quando perdono il loro guscio, rimangono per prima cosa sprovvisti di difese, ma sono anche animati da un desiderio di vita che li spinge ad uscire, abbandonando una corazza divenuta soffocante.

Quel testo che man mano prendeva forma, scatenava le risa dei miei compagni, per i quali, l’immagine di questo gambero, molliccio e sfigato, si sarebbe depositata nella superficie dei ricordi da archiviare nella memoria a brevissimo termine. In me, però, quella visione suscitava una certa tenerezza. Me lo immaginavo mentre si nascondeva dietro agli scogli, in attesa che spuntasse fuori una nuova corazza, consapevole che qualora fosse stato colpito, le ferite sarebbero rimaste visibili per sempre, pur coperte da un involucro che si limiterà a coprire le cicatrici ma non a cancellarle.

L’elemento chiave della narrazione di «Skam» è che il punto di vista del protagonista viene raccontato attraverso l’espediente narrativo della focalizzazione, attraverso il quale veniamo direttamente proiettati nel mondo del personaggio, mettendoci nei suoi panni, guardandolo coi suoi occhi. E così eccoci qui, tutti nei nostri sedici anni a sognare di raggiungere i tanto agognati 18, per salire sul podio della libertà e dell’indipendenza. Poi il fatidico momento arriva e ti accorgi che non è cambiato niente, che la scuola è finita, il tuo guscio è caduto e ora sei tu l’unico responsabile di te stesso. Sarò all’altezza delle aspettative? Ce la farò a realizzare i miei sogni? Sono queste le domande che attanagliano il povero gambero.

Elia ha 18 anni, i suoi amici stanno tutti frequentando l’università ma lui è ancora fermo al liceo, dopo essere stato bocciato alla maturità, l’unico del suo gruppo a non avercela fatta. Ha il volto pulito, un sorriso mozzafiato, è affascinante, spiritoso, ma, nonostante questo, non ha mai avuto una ragazza. Pur avendo la fama di uno che le conquista tutte, nessuna sembra mai interessargli davvero.

Così la campanella del liceo ricomincia a suonare e mentre tutti i rituali dell’istituto riprendono a cadenza quasi naturale, per lui niente è più lo stesso perché non ci sono più i suoi amici di sempre: Martino, Luca, Giovanni, coi quali ha formato una band ma che non riesce a vedere più così facilmente, visti i ritmi di vita diversi. Come se non bastasse, Elia ha deciso di andare via di casa per stare lontano da un padre col quale parla a malapena e dalla compagna del padre, che digerisce poco.

Le puntate sono brevi, durano venti minuti ma i ritmi sono tutt’altro che serrati: dilatano il tempo narrativo a seconda delle sensazioni che si vogliono trasmettere. Dunque la focalizzazione ci porta all’esterno in un contesto fatto di feste tra giovani, corteggiamenti e divertimento, ma ci accompagna anche nella camera di Martino. Siamo con lui quando piange di fronte allo specchio e non possiamo fare a meno di sorridere quando mette dei fiori sulla tomba della madre, rubandoli da quella del suo «vicino» e promettendole che avrebbe fatto di meglio.

Quest’assenza sottintesa permea la narrazione, il rapporto padre-figlio, risulta inevitabilmente attorniato da un’atmosfera di malinconia che mai sembra abbandonarci davvero, perché forse i destinatari di questi prodotti mediali sono anche i genitori che spesso, per paura neanche ci provano a bussare su quel guscio, giudicato impenetrabile, troppo duro da scalfire.

Ci affrettiamo a definire l’adolescenza come una fase di passaggio, un periodo complicato che in un modo o nell’altro si concluderà con una risoluzione. Per Elia finire l’adolescenza e diventare adulto significa andare a vivere da solo. Ma non ha la più pallida idea di come fare per pagarsi le bollette.

La verità è che abbandonare quel guscio ci fa maledettamente paura. Perché quando siamo piccoli, e c’è qualcosa che ci spaventa, possiamo invocare l’aiuto della mamma, la quale immediatamente accorre e ci assicura che andrà tutto bene. Ci crogioliamo tra le sue braccia avendo come unica certezza la sensazione che non ci lascerà mai. Quando siamo piccoli non abbiamo timore di dire quello che ci passa per la testa, esprimiamo le emozioni in disegni improbabili e ci basta un cerotto sul ginocchio per dimenticarci del dolore. Ma quando cresciamo, è come se tutto ciò che abbiamo dentro si trasformasse in un pesce predatore che minaccia la nostra incolumità e noi siamo quel gambero che vorrebbe fuggire ma che non può scappare da se stesso. E soprattutto, non riesce a parlare con i suoi perché «Tanto non capirebbero».

I dolori del giovane Elia

Dopo aver scardinato i temi dell’identità sessuale e delle differenze culturali, arriva il momento di capire qual è il segreto che inibisce Elia, che gli causa ansia da prestazione, che lo mette a disagio all’idea di spogliarsi di fronte agli altri. È davvero Sana la ragione per la quale respinge tutte le ragazze?

L’unica cosa buona dell’anno da ripetente al liceo è Viola (Lea Gavino), una ragazza che pur apparendo come una novità nella vita di Elia, in realtà appartiene al suo passato. Lei c’era in quell’estate al campo estivo, quando suo padre andò a prenderlo e gli disse abbracciandolo che sua madre se n’era andata. È con lei che riscopre la spensieratezza di quando era bambino e giocavano a pingpong senza le preoccupazioni dei grandi. Eppure, ancora una volta la allontana, senza una spiegazione.

Fino a che non trova il coraggio di confessarlo ai suoi amici: è affetto da ipoplasia peniena, una patologia che colpisce lo 0,6% della popolazione mondiale e che a causa di una ridotta produzione di testosterone, comporta una riduzione delle dimensioni dell’organo genitale maschile rispetto alla media. Il tema è certamente spiazzante, intimo, una patata bollente che nel giro di poche ore fa il giro della scuola, trasformando Elia in bersaglio di vessazioni, risatine, commenti inappropriati.

«Skam», dunque, ci mette di fronte alla questione della mascolinità tossica che determina la prestanza fisica degli uomini sulla base del possesso di determinati requisiti fisici. Elia ci ha provato durante tutta l’adolescenza ad essere all’altezza di quelle aspettative, utilizzando creme, leggendo libri, ma soprattutto rinunciando a vivere la sua sessualità per paura di sottoporsi al giudizio altrui.

L’immagine degli adulti che ne viene fuori non si discosta troppo da quella reale: incapaci di comprendere il linguaggio dei giovani, radicati nelle loro convinzioni, fermi ad un’educazione sessuale che – quando c’è – risulta meccanica, anacronistica, inadeguata.

L’altro tema spinoso è quello della violenza sessuale che l’ex psicologo della scuola perpetrava nei confronti di alunne minorenni – inclusa Viola. Adescandole nella trappola di una relazione consenziente con un uomo più grande, in cui le giovani donne si ritrovano in una ambigua posizione di vittime inconsapevoli, della quale a fatica riescono a prendere coscienza.

La notizia per Elia si trasforma nell’ennesima delusione: anche l’unica persona con la quale riusciva a parlare delle sue difficoltà, era come tutti gli altri uno di cui non ci si può fidare. Dalla sua, però, il ragazzo ha un’arma potentissima: un gruppo di amici e amiche fraterni che gli dimostra comprensione, affetto, donandogli il coraggio e la fiducia che gli consentiranno di affrontare le sue paure e di mostrare agli altri le sue cicatrici per scrollarsi di dosso il peso ingombrante di un guscio che offuscava la sua luce.

«Skam» ci mostra uno spaccato di vita adolescenziale autentico e attuale. Che preme per farsi strada, per far ascoltare la sua voce. Sono questi gli adulti che stiamo consegnando al domani, con le loro cicatrici, il loro sorriso, la loro dignità. Ora tocca a noi grandi chiederci se stiamo facendo davvero del nostro meglio, per rendere meno spaventoso il loro futuro. Al povero gambero l’ardua sentenza.

Approfondimenti