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#coseserie: «Prisma»: scomporre i colori dell’adolescenza per riportarli alla luce

Articolo. Dopo il successo della quinta stagione di «Skam Italia» Ludovico Bessegato approda anche su Prime Video alla regia di una serie che racconta ancora le sfumature dell’adolescenza. Offrendoci uno spaccato su un gruppo di ragazze e ragazzi che ci mostrano che l’amore, l’identità e la sessualità, non sono solo cose “da giovani”

Lettura 5 min.

Lo ammetto, dopo aver visto «Skam Italia 5» (ne ho parlato qui), le mie aspettative erano molto alte. Al tempo stesso avevo un po’ di dubbi rispetto alla possibilità di trovare spunti narrativi ulteriori e addirittura più interessanti, mantenendo viva l’attenzione dello spettatore sul medesimo tema: l’adolescenza. E non mi riferisco solo all’intrattenimento fine a se stesso e alla necessità di sapere come andrà a finire, ma al bisogno di estrapolare dalla visione della serie un punto di vista inedito che mi faccia prendere coscienza di un aspetto della realtà che prima non conoscevo. O, che, quantomeno, mi spinga a volerne sapere di più, a volerlo approfondire. Che poi è ciò che dovrebbero fare le serie tv se vogliamo dare loro una dignità, al di là dell’entertainment.

Tutto questo è successo con «Prisma», che certamente parla il linguaggio dei giovani. Si riconoscono i riferimenti spiccati alla cultura della generazione Z: la musica trap, la comunicazione per messaggi, le reaction, le stories. Ma la serie si arricchisce di riferimenti alla filosofia, alla mitologia, alla poesia che forse sono delle chiavi strategiche per spingerci a prendere il prodotto sul serio e a fidarci di chi lo ha scritto.

Il prisma in geometria è un poliedro che presenta due poligoni uguali e paralleli – le basi – e da parallelogrammi – le facce – che uniscono i lati corrispondenti dei poligoni di base. Non a caso, nella locandina della serie è proprio in questo poliedro che vengono proiettati i volti dei protagonisti. Ma il prisma è anche un sistema ottico rifrangente limitato da due piani non paralleli, utilizzato per scomporre un raggio di luce nei suoi componenti, i colori. Dunque ognuna delle otto puntate di «Prisma» prende il nome di un colore e tutti insieme si uniscono simbolicamente nell’ultima puntata intitolata «Bianco». Il bianco è il colore che mette insieme tutti gli altri nello spettro visibile che in fisica include tutti i colori percepibili dall’occhio umano. È dunque grazie a questo prisma, in senso metaforico e no, che la luce bianca si disperde e disperdendosi prendono forma gli altri colori. Infine, nel linguaggio figurato il prisma si riferisce a ciò che è in grado di scomporre il caleidoscopio di una realtà complessa, per consegnarla, senza filtri, all’osservatore. Chiaro, no? Fine della lezione di geometria e di ottica.

Ebbene, in «Prisma», la serie, si può rintracciare anche quest’ultimo significato. Perché quella che Bessegato ci restituisce non è altro che la storia multiforme e multi faccia di un gruppo di adolescenti che vive a Latina e che cerca punti di riferimento in un mondo che assume la fluidità come caratteristica fondante. Perché sì, è vero che tutto scorre, parafrasando Eraclito alla buona, tutto cambia e tutto si evolve. Ma, ad un certo punto, bisogna smettere di farsi trascinare dalla corrente del fiume e decidere da che parte stare.

Nessuno mi conosce meglio di…

I due protagonisti di «Prisma» sono, apparentemente, due gemelli: Marco e Andrea, entrambi magistralmente interpretati da Mattia Carrano, che nel loro gruppo si collocano entrambi saldamente ai margini. Marco è introverso, impulsivo, concentrato sui suoi allenamenti di nuoto e viene spesso deriso e vessato dai suoi compagni. Il suo alter-ego gemello Andrea ne segue i gesti da lontano, lo osserva e lo protegge con lo sguardo finché gli riesce, mentre dentro costringe un segreto che tiene nascosto in un baule chiuso a chiave nel seminterrato di casa. Marco ha la disforia di genere, Marco si sente una donna, prigioniero di un corpo che non sente suo, non fino in fondo. Non finché non riesce ad indossare un paio di tacchi e un vestito, gelosamente custoditi in un cassetto da chiudere rigorosamente a chiave perché i suoi non riescono a capire cosa accade in lui.

Assieme ai vestiti Andrea nasconde un libro di poesie che si intitola «Dolore Minimo» scritto da un’autrice transessuale, Giovanna Cristina Vivinetto, alla quale, in parte, la storia si ispira: «non mi sono mai conosciuta / se non nel dolore bambino / di avvertirmi a un tratto / così divisa. Così tanto parziale».

La mitologia classica racconta che gli dei Ermes e Afrodite si unirono e dal loro amore nacque Ermafrodito, un giovane bellissimo del quale una ninfa si innamorò perdutamente. Il giovane rifiutò le sue avances. Così la ninfa, mentre il ragazzo era immerso in una fonte d’acqua, gli si avvinghiò addosso e chiese agli dei di unirli in un solo corpo che assunse proporzioni e busto femminili e genitali maschili. Al tempo stesso anche Ermafrodito ottenne la realizzazione di un desiderio: chiunque si fosse immerso nuovamente in quella fonte avrebbe subito la stessa sorte.

Andrea è solo un bambino quando ascolta questa storia parafrasata – letta da suo fratello Marco. Ma ciò che sente dentro lo spinge a scappare di casa per raggiungere il «Giardino delle Ninfe» a Cisterna di Latina, per tuffarsi in quelle acque magiche, nella speranza che realizzino ciò che sente dentro. Tuttavia, l’unica cosa che rimedierà sarà una strigliata da parte dei genitori, un raffreddore e dei vestiti bagnati.

Al di là della mitologia e dei racconti, la realtà è più dura e complicata: Bessegato ci porta nuovamente nel presente, nel quale i social proiettano Andrea in un limbo che lo colloca a metà strada tra la realtà e la finzione, tra la menzogna e la verità. Per esprimere sé stesso, infatti, crea un profilo nel quale posta delle foto che mostrano il suo lato nascosto femminile, che non può rivelare a nessuno, neppure al suo doppio. Le sue didascalie attireranno l’attenzione di Daniele (Lorenzo Zurzolo) col quale inizierà una fitta comunicazione via chat, in cui però il legame e l’intesa tra i due si fondano su una contraddizione in termini. Per esprimere la sua autenticità, Andrea deve fingere di essere una donna. O cominciare a esserlo.

Trovare sé stessi in un mondo che cambia forma e colore

Sarebbe però estremamente riduttivo ricondurre «Prisma» alla questione dell’identità di genere, perché il prisma, come già detto, ha facce plurime, ognuna con una sua dimensione che dà coerenza e consistenza al poligono e alla storia. C’è Nina (Caterina Forza) che si rivelerà un’amicizia preziosa per portare Andrea a superare le sue paure e a uscire fuori, emergere, esistere per ciò che è. C’è Carola (Chiara Bordi) che dietro all’apparente spirito di reginetta della scuola ci porta nel suo mondo fatto di protesi, invasi e di una fragilità che si nasconde mostrandosi, necessariamente, in superficie. E c’è pure Daniele (Lorenzo Zurzolo) che dietro alla sua faccia da schiaffi (e da autentico bullo), nasconde una profonda sensibilità, un dissidio interiore che lo rende simile alla sua anima gemella sconosciuta: deve scegliere chi vuole essere. Il bulletto della scuola? Un bravo ragazzo? Un nuotatore professionista? Un rapper di successo? Lui che ha sempre deriso quelli che si mettono le gonne, potrà mai innamorarsi di un uomo?

E c’è suo fratello Marco che da quella reginetta della scuola riceve un’importante lezione: se non vuoi che gli altri ti considerino fragile, smettila di farti vedere solo come tale dagli altri. Continua a camminare e a sorridere, anche se ti manca una gamba, anche se la tua mano sanguina. Poi c’è la provincia, c’è Latina con la sua lentezza, la sua noia, le sue contraddizioni, i suoi simboli. E c’è un elemento in più – e quindi un passo in avanti – rispetto a «Skam». Ci sono i genitori, i padri, le madri, le sorelle maggiori. Ci sono le soffitte e i magazzini nei quali nascondersi, ci sono le case in cui tornare, ci sono gli schiaffi che arrivano più forte sull’anima che sulla faccia. Ma soprattutto ci sono le carezze, ci sono gli abbracci e le preghiere.

Perché prima di essere giovani che hanno bisogno di affermarsi, siamo figli che hanno bisogno di una mano sulla fronte, di una pacca sulla spalla, di qualcuno che metta a tacere i mostri sotto al letto e dentro al petto. Non importa quanto lontano andremo per sfuggirgli: per quelli non saremo mai abbastanza grandi da smettere del tutto di averne paura.

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