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La meditazione in movimento di “Ksama” di Daniele Salvitto

Intervista. Domenica 13 settembre al Chiostro del Carmine per Festival Danza Estate. Uno spettacolo dove la pratica fisica incontra nel corpo quella dell’Ashtanga Yoga. Per un gesto artistico e spirituale straordinariamente profondo

Lettura 4 min.
Daniele Salvitto

Negli ultimi anni la diffusione delle discipline orientali in occidente testimonia l’esigenza di spiritualità di tante persone che vivono una vita “tossica” per vari motivi. È facile banalizzare la pratica dello yoga, del buddismo e dell’induismo, trasformandole in uno spiritualismo spurio e sincretico. Diverso quando queste filosofie vengono affrontate con rigore, come ad esempio fa Daniele Salvitto. Danzatore dalle molteplici esperienze (ha lavorato anche con il Cirque du Soleil) che in “Ksama” porta le pratiche di “meditazione in movimento” dell’Ashtanga Yoga sul palco.

Salvitto sarà domenica 13 settembre al Chiostro del Carmine di Bergamo per Festival Danza Estate in collaborazione con il Teatro Tascabile (ore 18, qui per i biglietti, l’altro spettacolo sarà “Golden Variations” di Camilla Monga e Filippo Vignato). Lo abbiamo intervistato, rendendoci conto di come l’apparente prossimità che oggi hanno queste pratiche non significa coglierne necessariamente tutta la complessità e il possibile beneficio. Anche quando si tratta di una performance artistica.

LB: “Ksama”, cioè?

DS:Kshama è una parola in sanscrito. Significa atto di pazienza, temperanza, tolleranza, indulgenza e in un certo senso perdono. Fare proprio lo Kshama, averne cura e praticarlo, aiuta a contrastare la delusione, la rabbia, la gelosia e la falsità.

LB: Immagino che all’origine di portare sul palco tutto questo ci sia un’esigenza personale.

DS: Al cento per cento. Non mi definisco un coreografo, mi piace molto lavorare per altre compagnie. Mi capita però in certi momenti particolari di sentire l’esigenza di buttare fuori dei pensieri personali. Come è accaduto due anni fa, quando c’è stato uno di questi momenti particolari, di difficoltà personale, che mi ha indotto a concepire questo spettacolo in cui lasciarsi andare, a livello fisico e mentale, arrivare al limite, maturare la tolleranza e la capacità di perdonare e perdonarsi.

LB: Mi viene da dire che tolleranza, pazienza, temperanza, indulgenza sono parole che entrano con difficoltà nel nostro quotidiano spesso competitivo e di corsa…

DS: Sì, sono concetti molto distanti dal nostro sentire comune e quotidiano. Il punto è riuscire a ridimensionare il proprio ego e lo Kshama può aiutare. È uno degli yama, le pratiche di “purificazione” sia fisica che spirituale dell’Ashtanga Yoga, diffuso in tutto il mondo da Krishna Pattabi Jois all’inizio del Novecento, partendo dall’insegnamento del grande maestro Tirumali Krishnamacharya, con il quale Pattabhi Jois studiò per quasi tre decenni. Ho cercato di fare tesoro di tutto questo attraverso un percorso che sto facendo tutt’ora. Prima attraverso la pratica personale e poi in una forma di spettacolo che è comunque una forma di meditazione, però rivolta al pubblico, a quelle persone che sentono il desiderio di acquietarsi.

LB: Ridimensionare il proprio ego, mica facile quando il messaggio diffuso è di gonfiarlo e porlo davanti a tutto e tutti…

DS: Certo, però pensa ad esempio a quando un ballerino va a vedere uno spettacolo di qualcun altro. Esce dal teatro e subito dice “io l’avrei fatto così”. Senza prendersi il tempo di pensare a ciò che ha vissuto, subito antepone a tutto il proprio io. Ma a cosa serve tutto questo? Abbiamo veramente bisogno di questo tipo di giudizi che esistono anche nella vita quotidiana? Facci caso, quando parliamo con le persone non ci lasciano finire nemmeno di parlare che replicano subito, spesso sembra che neanche ti ascoltino.

LB: Chiaro, percepisco molto rigore nel modo in cui ti sei approcciato a questa materia. Tu sei anche diplomato in Ashtanga Yoga.

DS: Sono insegnante da due anni, è il mio lavoro, che mi permette di portare avanti il percorso artistico.

LB: Ho visto alcuni filmati in cui mostri questa pratica, mi sembra difficile che una persona “normale” possa cimentarsi in questa forma di “meditazione in movimento”. Serve una preparazione fisica eccezionale, no?

DS: Non è detto, ci sono tanti livelli e la bravura di un maestro riguarda la capacità di adattare la pratica alla persona che si ha davanti. Ad esempio in questo momento sto insegnando ad una persona di sessant’anni con due ernie. È ovvio che non può mettersi i piedi in testa come faccio io, ma piano piano, con la pratica di alcune posizioni, può fare molto.

LB: Senza soffrire?

DS: Solo all’inizio può esserci un po’ di sofferenza e ci si può arrendere. Tuttavia ci sono tante posizioni semplici e fondamentali nell’Ashtanga Yoga che possono dare un grande beneficio. Già riuscire a mantenere una posizione seduta, con la schiena dritta e una respirazione profonda è importantissimo. Non servono chissà quali esercizi di contorsionismo.

LB: Mi ha stupito quando, a fronte di tutto ciò, tu hai lavorato anche con il Cirque du Soleil, un mondo molto distante da “Ksama”…

DS: Ho lavorato con il Cirque du Soleil per l’Expo. È sicuramente uno spettacolo più commerciale, ma con l’utilizzo di un linguaggio molto contemporaneo che è interessante. Mi reputo un danzatore versatile e cerco di variare la tipologia degli spettacoli a cui do il mio contributo, per evitare di finire in una ripetizione fine a sé stessa. C’è però un’idea che accomuna il Cirque du Soleil a “Ksama” ed è la necessità che la danza sia spettacolo ed eviti di essere troppo concettuale ed ermetica come spesso accade. Il messaggio è fondamentale e deve arrivare al pubblico attraverso la bellezza della coreografica e del corpo danzante.

LB: Tornando allo Kshama, ti sei chiesto come mai negli ultimi anni la pratica yoga e le filosofie orientali come il Buddismo e l’Induismo siano così diffuse in occidente?

DS: È una domanda a cui da molto tempo cerco di rispondere e non sono il solo. All’inizio lo yoga veniva percepito come una sorta di “ginnastica per i ricchi”, ora questo pensiero sta evolvendo, anche se in Europa siamo indietro rispetto agli Stati Uniti. I social hanno aiutato parecchio, permettendo agli insegnanti di rivolgersi a molte persone per spiegare e mostrare cosa è realmente una pratica yoga.

LB: A volte però ho l’impressione che queste pratiche e queste filosofie vengano prese feticisticamente dal loro contesto originario e trasferite nel nostro, che però è radicalmente diverso…

DS: Ci sono approcci superficiali e altri più seri e approfonditi. Di fondo c’è la necessità di un’alternativa alle vite preimpostate che viviamo. Ci viene imposto un ciclo che porta a una vita molto stressante: nasci, cresci, vai a scuola, coltivi amicizie sociali, lavori, fai un figlio etc. Nulla di male in sé, ma se i ritmi vengono dettati da qualcosa che è esterno da me ad un certo punto posso sentire la necessità di coltivare la mia parte più spirituale e lo yoga e le altre discipline in ciò aiutano molto. In fondo “Ksama”, attraverso il gesto artistico, pone agli spettatori questa domanda: la tua vita è veramente tua? Non ti stai forse negando il tempo di vivere davvero? Non do risposte, è la domanda che è molto importante.

Sito Festival Danza Estate

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