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Accompagnare nell’invisibile: la spinta poetica, politica e spirituale di Lucilla Giagnoni e del suo “Magnificat”

Intervista. Nella programmazione culturale di Cisano Bergamasco torna la potenza espressiva dell’attrice fiorentina e di uno dei suoi spettacoli più famosi. Che afferma l’urgenza di una riappropriazione della forza curativa femminile

Lettura 4 min.
Lucilla Giagnoni

È un legame forte e duraturo, quello di Lucilla Giagnoni con il territorio bergamasco, fatto di fiducia reciproca e scambi fecondi con le maggiori realtà culturali locali. Un anno fa, il 23 ottobre 2020, l’attrice portava a Molte fedi sotto lo stesso cielo lo spettacolo-riflessione “Conversazione notturna intorno al Magnificat”; venerdì 8 ottobre tornerà nella bergamasca proprio con “Magnificat”, per la stagione culturale di Cisano Bergamasco organizzata dall’associazione I Numeri Zero (l’appuntamento è al Teatro Auditorium Don Renato Mazzoleni alle 20:30, qui il link per prenotare).

Ho sempre lavorato tantissimo a Bergamo; con Molte fedi, ad esempio, ho uno splendido rapporto generativo e di vicendevole ispirazione”, dichiara Giagnoni. “C’è poi una relazione collaborativa profonda con Emanuele Roncalli ed Emanuele Motta, con cui ho lavorato per ‘Pacem in terris’, la meditazione teatrale sull’enciclica di Giovanni XXIII. E ho anche un’immagine vivida di uno spettacolo per una festa di Sant’Alessandro, sotto una pioggia battente. È sempre un piacere tornare in questi luoghi”. Commenta l’Assessora all’Istruzione, Trasporti e Cultura del comune di Cisano Bergamasco, Daniella Frigerio: “Dopo un periodo buio, sentiamo il bisogno di ritrovarci, di ripartire. Ho scelto Lucilla Giagnoni perché il suo ‘Magnificat’ è un elogio al femminile, è la forza che salverà il mondo. Finalmente, dopo tanta differenza, vediamo la luce in fondo al tunnel”.

Abbiamo colto l’occasione del ritorno di Lucilla Giagnoni su un palco bergamasco per gettare uno sguardo sulla carriera, su nodi di riflessioni e ricerche e sulla concezione del lavoro teatrale dell’ideatrice e interprete di “Magnificat”.

LD: Oltre ad attrice, sei anche scrittrice, direttrice artistica, insegnante… Quale dei ruoli che ricopri senti più tuo?

LG: Il ruolo che mi calza come un guanto è quello dell’attrice. Quando sono in scena sono come un pesce nell’acqua. Semplicemente, senza presunzioni di sorta, mi viene semplice farlo; e questa semplicità è stata solo parzialmente una conquista, legata al fatto che ad un certo punto è scattato qualcosa, è diventato naturale. Ora, riesco a dare vita a un testo o a dei personaggi da subito. Questo, ovviamente, è anche un rischio: magari mi fermo al primo livello, nell’interpretazione, senza l’esigenza di approfondire.

LD: E gli altri ruoli?

LG: In qualche modo mi affaticano. Mi spiego: mi richiedono un coinvolgimento totale, quindi faticoso. E la cosa interessante è che riesco e devo integrare queste altre funzioni nel mio lavoro attoriale; vale a dire che considererei inutile fare solo l’attrice. Questo perché per me essere attrice è un ruolo sì artistico, ma anche politico, poetico e spirituale. In quello che scrivo, ad esempio, seguo le domande che mi sento porre dal mondo che mi circonda. Amo l’idea di essere in continuo dialogo e comunicazione, anche e soprattutto con le generazioni più giovani. Penso che il mio compito, stando nel mondo, sia quello di vedere e restituire cose che gli altri non vedono. A seconda del ruolo che ricopro cambio la modalità, ma non il mio intento profondo: anche in scena, il mio punto di partenza è sempre la testimonianza, in collegamento intimo tra il mondo e un altrove.

LD: Quali sono le tue figure di ispirazione tra maestri, collaboratori, pensatori che hanno attraversato la tua carriera?

LG: È una domanda a cui non è facile dare una risposta, perché con le figure di riferimento si sviluppa un rapporto controverso. L’amore spassionato è rischioso, perché se ami e ammiri qualcuno a un certo punto è necessario ammazzarlo, per poterlo superare e riuscire a esprimere pienamente te stesso. Mi vengono in mente più persone con cui ho collaborato alla pari, con cui quindi non si creava una sovrapposizione totale ma un’interazione complementare: Antonella Ruggiero, quindi una musicista, è stata una di queste, con cui ho avuto una splendida armonia grazie alla sua sensibilità e delicatezza; Alessio Bertallot, dj con cui sto lavorando per una serie di spettacoli su Dante, è un’altra. Ma è impossibile non citare mio marito, Paolo Antonio Pizzimenti, che ha realizzato le musiche di ogni mio singolo spettacolo, cogliendo al volo le mie ispirazioni ancora prima che io le esprima. E Massimo Violato, che mi supporta a livello tecnico, in modo impeccabile, come video maker e curatore delle luci. Poi, ovviamente, ci sono i maestri che nutrono il mio pensiero e le mie ricerche: Jung, Steiner, James Hillman, la sua allieva Selene Calloni Williams…

LD: Se la tua scelta professionale non fosse stata il teatro, cosa avresti fatto?

LG: Il medico. Ma non un medico come lo intende la società occidentale di oggi: sarei stata uno sciamano, quello che ti guarda e sa cogliere e leggere i segni del tuo corpo, come ti muovi e cosa esprimi. Insomma, un interprete dell’essere umano. Mi interessa molto questa funzione sciamanica, poiché ha a che fare essenzialmente con l’incontro con l’altro e con l’ascolto. Quindi la funzione non è strettamente legata a una terapia, perché non si tratta di curare una malattia. Non fraintendiamoci, le avversità vanno combattute, combattere è l’essenza stessa della vita. Semplicemente, anche gli eventi dolorosi che capitano hanno uno scopo. Lo sciamano sa esattamente superare e integrare questi eventi, accompagnare verso una dimensione più ampia, quella dell’invisibile. La fisica, d’altronde, ci conferma che il 95% della materia è invisibile, perfino sconosciuta, quindi una malattia, come molti altri eventi della vita, è un segnale di qualcosa di complesso che sopravviene. È però necessario farsi accompagnare in questo percorso. Penso faccia parte del mio ruolo: mi sforzo di fare sempre un passo più in avanti, esplorare, mantenendo cuore e anima aperti alle rivelazioni. Quindi, in effetti, è una funzione che ha molto in comune con quella sciamanica.

LD: In quale tuo spettacolo ti riconosci di più?

LG: “Vergine madre” racconta moltissimo di me, c’è dentro tutta la mia storia, da sempre. C’è poi “Anima mundi”, il prossimo spettacolo su cui sto lavorando e che sicuramente incarna la mia ricerca attuale. È incentrato sul rapporto tra l’essere umano, il mondo e la natura. Lo dedicherò a Leopardi, perché credo che si sia cristallizzato un equivoco sul suo concetto di natura matrigna: per il Leopardi poeta, che arriva a identificarsi in un’umile ginestra, la natura è tutta armonica. Siamo noi ad attribuirle delle qualità e siamo sempre noi a piegarla alle nostre esigenze, senza capire che ne alteriamo in modo irreversibile gli equilibri. È una ricerca per me – e non solo – particolarmente urgente. Infine, sicuramente “Magnificat” è lo spettacolo che più mi rappresenta, oggi.

LD: “Magnificat” ti rappresentava ieri e ti rappresenta ancora oggi?

LG: Sì, perché parla di qualcosa che è sempre necessario: la reintegrazione della forza femminile, cioè quella che ha cura dopo aver generato. Ci tengo sempre a precisare che il femminile esiste anche negli uomini, ma purtroppo, in generale, è stato soffocato. In “Magnificat” evoco miti e storie che rappresentano la soppressione della forza femminile, dalla “Bella addormentata nel bosco” al mito di Demetra e di sua figlia rapita da Ade. Se anticamente le società vivevano in un ordine umano di forza femminile armoniosa, quest’ordine è stato spezzato. Il maschile, privato dell’armonia con il femminile, entra nel suo lato ombra e da Potenza quale è diventa potere sulle cose e quindi dominio e prevaricazione.. La bellezza di “Magnificat” è che rimane uno spettacolo sempre vivo e permette un continuo rinnovo espressivo nel portare alla luce la necessità del femminile.

Sito Lucilla Giagnoni

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