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«Giovinette», a teatro con le calciatrici che sfidarono il Duce

Articolo. Domenica 23 aprile alle 21 nella Sala della Comunità di Casazza va in scena la storia della prima squadra di calcio femminile in Italia. Uno spettacolo teatrale dinamico e pieno di colpi di scena, che parla di sport, emancipazione e adolescenza, con commozione e divertimento

Lettura 4 min.
Giovinette (©Roberto Longoni)

Tutto è cominciato dal romanzo di Federica Seneghini «Giovinette» (Solferino 2020) che ha avuto il merito di riportare agli onori della cronaca la storia della prima squadra femminile di calcio italiana, nata a Milano fra il 1932 e il 1933 e durata solo otto mesi, prima che il regime fascista decidesse che non era proprio possibile, per delle signorine, giocare a calcio.

Poi «Giovinette» è diventato uno spettacolo teatrale, nato sul finire dell’emergenza Covid: «Ero in tournee per un altro spettacolo e ho conosciuto l’attrice Rita Pelusio e il regista Marco Rampoldi, che mi hanno proposto la regia di questo lavoro. È una storia affascinante e incredibilmente toccante. Mi ha convinto subito il cast e il fatto che ci fosse già un progetto ben strutturato» spiega la regista Laura Curino.

Lo spettacolo, già visto in anteprima a Ponteranica lo scorso novembre, sarà rappresentato domenica 23 aprile alle 21 presso la Sala della Comunità di Casazza (a questo link tutte le info sui biglietti). «Giovinette» è una co-produzione PEM Habitat Teatrali e RARA Produzione; l’adattamento drammaturgico è di Domenico Ferrari, la scenografia e le scelte musicali sono di Lucio Diana.

Non eroine, ma ragazzine

In una storia come quella raccontata da «Giovinette» è facile trovare spunti di riflessione: quello storico legato al fascismo, l’emancipazione della donna, il valore dello sport, le sfide dell’adolescenza, il ruolo dei media. Ma sono tutte considerazioni secondarie rispetto alla messa in scena, che in poco più di un’ora racconta a ritmo serrato la storia delle ragazze che l’11 giugno 1933 riuscirono a organizzare la prima partita di calcio femminile, in tempi in cui i giornali scrivevano che il Paese «aveva bisogno di buone madri, non di virago calciatrici» e si chiedevano se le pallonate non minassero la fecondità (ragion per cui in porta dovevano comunque giocare degli adolescenti maschi).

L’intento di queste giovinette non era quello di «sfidare il Duce», ma di trovare un loro spazio di divertimento e crescita personale, in un periodo storico dove per le donne erano previste ben altre priorità. Il Duce lo sfidarono loro malgrado. Le calciatrici provarono ad adattarsi in tutti i modi alle prescrizioni DEL Regime: giocando con lunghi gonnelloni, senza schiamazzare né mettersi in porta, ma con scarso successo. «Se c’è uno sport che la donna non dovrebbe praticare, esso è proprio il giuoco del calcio», come sentenziava la rivista mensile Lo Sport Fascista.

Le fonti storiche

Il libro, oltre alla storia romanzata delle prime calciatrici italiane, è corredato da un saggio di Marco Giani, che ripercorre decenni di discriminazione femminile nel mondo del calcio. In più sono riportati lettere, articoli di giornale e documenti originali dell’epoca, che aiutano a farsi un’idea del contesto politico e del clima sociale in cui nacque il Gruppo Femminile Calcistico (GFC) di Milano.

Anche nello spettacolo teatrale vengono citati gli scritti dell’epoca, che senza alcun bisogno di commento trasportano lo spettatore novant’anni addietro. In questo senso è anche una riflessione sul valore della comunicazione: in scena vengono utilizzati i giornali dell’epoca, le comunicazioni burocratiche, la propaganda. Vengono menzionati i beniamini del tempo, fra cui Giuseppe Meazza, l’idolo delle giovani calciatrici.

I costumi e la scenografia aiutano a calarsi in un tempo lontano: «Le giovani calciatrici giocavano a piedi scalzi o con le scarpe di tutti i giorni, già solo riuscire a procurarsi delle maglie tutte uguali fu una conquista pazzesca» racconta la regista. La scenografia è essenziale, dato che lo spettacolo è destinato anche a spazi non teatrali. Ci sono un campo e una panchina, di volta in volta quella dei giardini pubblici, della squadra, degli spogliatoi, degli innamorati.

Le tre attrici

A rappresentare le «Giovinette» tre bravissime attrici, ognuna con una sua cifra stilistica. Rita Pelusio, molto versata nel registro comico, interpreta la volitiva Losanna Stringaro: «Della Stringaro si conosce poco e, quindi, abbiamo potuto inventare di più – racconta la regista Laura Curino – supponiamo che non avesse i genitori. Rappresenta tutti quei ragazzini nati senza un ambiente familiare favorevole, per i quali la squadra diviene la famiglia e lo sport il modo in cui imparano le regole e la socialità. Stringaro è quella che convince tutti e informa tutti, vuole che si sappia che c’è una squadra di giocatrici e scrive ai giornali per tenerli informati».

Rossana Mola, con una lunga esperienza di teatro civile, interpreta Marta Boccalini. Le sorelle Boccalini, tifosissime dell’Inter, ebbero un ruolo di rilievo nella storia del Gruppo Femminile Calcistico. La passione per il calcio accomunava la già sposata Giovanna, maestra e madre di Grazia e di Giacomo (chiamato così in onore di Matteotti), e le tre sorelle ancora nubili, Luisa, Marta e Rosetta. Marta, timida sartina, nello spettacolo ha anche il ruolo di memoria storica.

Se la famiglia Boccalini ha sempre supportato le sue ragazze nello sport, non così avviene per la terza interprete di «Giovinette», Maria Lucchesi, interpretata da Federica Fabiani. Viene da una famiglia povera e semplice. Il padre, convintamente fascista, le impedisce di giocare a calcio. Maria è delle tre quella con un percorso di evoluzione più completo.

Prove di teatro, con allenamento

Gli scambi fra le tre sono frutto di un lavoro di improvvisazione, ma anche drammaturgico sulla base di fonti storiche. Sul palco tutto è naturale, ma dietro c’è un grande lavoro, anche di preparazione atletica. «Nessuna delle tre sapeva giocare a calcio – spiega la regista – hanno dovuto studiare, affidandosi ad amici calciofili e allenatori». Teoria e pratica, almeno i fondamentali: «Ho imparato a fare palleggi con un piede solo, mio figlio è molto orgoglioso» racconta Rossana Mola.

«In scena sono travolgenti, sembra che tutto scaturisca spontaneamente, sia il gioco del calcio sia quello della recitazione. Non a caso in inglese il verbo “play” indica sia il gioco sia la recitazione. Se penso a loro tre insieme sorrido» commenta la regista.

Il pubblico

A teatro, come allo stadio, non può mancare il pubblico. «La ricezione dello spettacolo ha superato le nostre aspettative – spiega la regista – quando abbiamo debuttato a Milano ogni sera nel pubblico c’era una diversa squadra di ragazzine». Calciatrici in erba, eredi ideali delle antiche «Giovinette». Lo spettacolo è adatto quindi anche a un pubblico giovane, oltre che di adulti.

«Questa è la storia di una squadra nei suoi soli otto mesi di vita, in cui succede di tutto. Al pubblico piace questo ritmo fatto di azione e avvenimenti più che di riflessione, noi raccontiamo gli eventi e teniamo tutti sulle spine. È divertente, appassionante, un pezzo di storia – conclude Laura Curino – Finisce male, perché il Gruppo Femminile Calcistico viene chiuso, ma loro rimarranno per sempre la prima squadra di calcio femminile italiana: hanno perso la battaglia, ma vinto la partita».

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