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La bollente estate anni ‘80 di “Tropicana” somiglia a una doccia fredda

Articolo. Quattro artisti si interrogano amaramente sul senso di ciò che fanno, sorseggiando bottiglie (molotov) di succo Tropicana, nell’aria il celebre tormentone del Gruppo Italiano. Sabato 25 luglio sul palco di Lazzaretto on stage lo spettacolo della compagnia milanese Frigoproduzioni

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Il debutto nel 2017 allo storico festival calabrese Primavera dei Teatri. Poi le tante repliche fra cui quelle al Franco Parenti di Milano nel 2019. Di questi tempi solo gli spettacoli che funzionano davvero riescono a durare nel tempo. È il caso di “Tropicana”, lavoro di Frigoproduzioni presentato a Bergamo da Shakespeare is Now! Teatro Ex Drogheria – che punta a portare sui palchi bergamaschi titoli di pregio, apprezzati da pubblico e critica. L’appuntamento è per sabato 25 luglio (ore 21.30) all’interno di Lazzaretto on stage, il teatro a cielo aperto da 300 posti, non uno di più, voluto dal Comune di Bergamo al Lazzaretto chiamando in causa varie realtà del territorio, fra cui i tipi dell’Ex Drogheria (biglietti come sempre su vivaticket.it).

Cos’è “Tropicana”? Prima di tutto è una nota marca di succhi di frutta, dall’idea di un siciliano trapiantato in Florida. Ma è pure un brano uscito nel 1983 che ha reso il Gruppo Italiano una band di successo e la canzone un tormentone dell’estate di quell’anno. Infine, è uno spettacolo di Frigoproduzioni, al secolo Francesco Alberici, Claudia Marsicano e Daniele Turconi (che si sono avvalsi della collaborazione di Salvatore Aronica come quarto interprete). Uno spettacolo, va detto, che si è portato a casa diversi premi (uno fra tutti: il premio Ubu 2017 vinto dall’attrice Claudia Marsicano come miglior attrice under 35).

Tutto chiaro? Ok, ma perché uno spettacolo su un motivetto che ha spopolato nei villaggi vacanze? La verità è che “Tropicana” (la canzone) non è affatto quel che sembra ed è su un abnorme malinteso semantico che si basa il suo successo. Se la melodia infatti è accattivante e ballabile, il testo è in realtà agghiacciante: su uno sfondo apocalittico di esplosioni atomiche ed eruzioni, l’umanità inebetita si gira dall’altra parte perché affascinata da ciò che vede alla TV, nella fattispecie uno spot pubblicitario (del succo Tropicana, appunto).

Un’immagine quasi profetica di un’epoca a venire, quella degli anni ’80, che avrebbe inaugurato per l’Italia una fase di spumeggiante ed edonistico declino politico e sociale: “La nascita della TV commerciale di Berlusconi, di Drive in e poi di Colpo grosso, le bionde in bikini e la sessualità becera mostrata in tv, il primo Vacanze di Natale e il ‘cinepanettone’. Per noi che siamo tutti nati dopo il 1983, quel degrado rappresenta la norma e quella canzone è come uno schizzo di quegli anni: un punto di origine del nostro presente”, spiega Francesco Alberici, drammaturgo e attore di “Tropicana” in un’intervista rilasciata alla rivista Stratagemmi – Prospettive Teatrali. Ed è beffardamente ironico che le evocazioni apocalittiche del brano siano state totalmente ignorate dalla massa di ascoltatori, che hanno fatto di “Tropicana” un inno al benessere facile e spensierato.

Il tutto in uno scenario grottesco, una sorta di distorsione della realtà che sfocia nel più totale nonsense. “Di che parla davvero questa canzone? Perché nessuno ci ha mai fatto caso? E a che serve indagare questo brano?” si chiedono gli ideatori dello spettacolo. Proprio in questo cortocircuito di significato, in cui “un involucro colorato nasconde sempre il nero”, (però fingendo che non sia così) si innesta la creazione teatrale di “Tropicana”.

In scena quattro giovani attori impersonano un gruppo di musicisti che a inizio anni ’80 tentano di scrivere il famoso pezzo, ma al contempo interpretano anche loro stessi. I quattro si dibattono tra la volontà di creare qualcosa di bello e il bisogno di sfondare, facendo emergere dinamiche di gruppo artistiche e commerciali. In che modo tutto questo si interseca e quali conflitti genera? Cosa resta di autentico di una spinta creativa e di un lavoro di ricerca che non possono prescindere dal sistema di mercato che li regola e li appiattisce?

Attraverso un gioco metateatrale i quattro mettono in scenauna sorta di autoanalisi di un gruppo di artisti che vuole arrivare da qualche parte, ma che viene invece masticato dall’individualismo”, spiega ancora Alberici. È tutt’oggi attuale, a tre anni dal debutto, questa riflessione sociale e identitaria, anche con gli occhi di un attore premiato, riconosciuto, valorizzato? Abbiamo intervistato Alberici in merito alla genesi dello spettacolo e alle sue trasformazioni nel corso dei suoi tre anni di vita.

Le riflessioni che c’erano in ‘Tropicana’ sono ancora molto attuali e lo continueranno a essere, perché il sistema – questa sorta di liberismo e utilitarismo imperante – non è cambiato. Per noi, personalmente, le cose sono sicuramente cambiate: siamo in punti diversi della nostra carriera, eppure lavorare in questo ambito è sempre una guerra e una frustrazione uniche. Nel panorama teatrale italiano le risorse sono scarse, i riconoscimenti mancano. È sconfortante trovarsi senza un minimo di garanzia e credibilità artistica.

Questo ristagno può essere in parte considerato un fenomeno generazionale: “Il problema è che viviamo in un sistema-paese completamente bloccato. Una persona di trent’anni è per tutti un ragazzino. Anche in teatro è così: sicuramente è un settore in cui è necessario andare lentamente, rispettare dei tempi e delle dinamiche, ma è assurdo essere considerato un giovane aspirante attore a più di trent’anni. Non lo sono: è da dieci anni che opero e lavoro nell’ambito teatrale, ma noi trentenni, considerati ‘giovani’, non possiamo accedere a certi posti o opportunità. Ci sono proprio dei blocchi”.

Riflessioni amare, quindi. Eppure lo spettacolo è comico: gli attori si fanno portavoce di una satira quasi grottesca e a tratti surreale. Il pubblico ride, e molto, ma non solo. “Sono molto soddisfatto di come viene accolto lo spettacolo. Abbiamo sempre avuto spettatori con una bella capacità di recepire serenamente il comico che diventa triste, sconfortante. Anzi, il pubblico ha colto molto di più di quanto abbiano fatto alcuni operatori teatrali. È uno spettacolo che va rivisto, perché ha vari livelli di lettura: magari uno la prima volta si fa due risate, ma poi torna e vede chiaramente ciò che c’è qualcosa di desolante dietro la comicità. Abbiamo ricevuto anche molti altri rimandi e sono stati colti vari spunti di riflessione”.

Svariate le chiavi di lettura che sono emerse negli anni, a mano a mano che lo spettacolo cresceva. “È bello che uno spettacolo che ha già qualche anno possa continuare a dire qualcosa, anche perché ‘Tropicana’ ha avuto una lunga gestazione (due anni!). Non avrebbe avuto senso fare cinque repliche e basta, non è la nostra idea di teatro. Noi crediamo nell’idea di repertorio. Perché uno spettacolo si assesti e assuma una forma definitiva bisogna fare almeno quindici repliche, e così è stato per ‘Tropicana’. Al suo debutto durante Primavera dei Teatri era una versione molto diversa. Alcune cose non funzionavano, così abbiamo deciso di modificarlo e nel tempo è cambiato molto, vivendo ben cinque versioni diverse”.

In altre parole una mutazione quasi fisiologica: “In generale, poi, negli anni uno spettacolo cambia rimanendo lo stesso. Il compito degli attori è seguire delle partiture, quindi nel tempo si ha sempre più confidenza, e ci si prendono anche delle libertà, modificando leggermente alcune battute. ‘Tropicana’ di base è uno spettacolo comico: dalle prime repliche ad oggi abbiamo sicuramente sviluppato un’ottima sintonia tra di noi”.

Recitare in quattro in scena con leggerezza ed efficacia, in effetti, non è scontato. Se il lavoro di scrittura e riscrittura di “Tropicana” è stato sicuramente travagliato, anche il processo di armonizzazione tra i quattro attori in scena è stato lungo e complesso.

Noi lavoriamo sulla scrittura di scena, non abbiamo qualcuno che ci consegna le battute: il testo si costruisce in prova. Io e Claudia avevamo già lavorato insieme, e anche con Daniele avevamo già esperienza. Salvatore, invece, era una new entry: non è stato facile comunicargli quello che volevamo trasmettere. Ma il lavoro di armonizzazione è sicuramente la parte più interessante e affascinante: credo che in scena ci si debba accordare come degli strumenti musicali, trovando la giusta complicità e il giusto affiatamento”.

Sito Frigoproduzioni

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